Quando si pongono tali questioni, alcuni
reagiscono accusando gli altri di pretendere di fermare irrazionalmente il
progresso e lo sviluppo umano. Ma dobbiamo convincerci che rallentare un
determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità
di progresso e di sviluppo. Gli sforzi per un uso sostenibile delle risorse
naturali non sono una spesa inutile, bensì un investimento che potrà offrire
altri benefici economici a medio termine. Se non abbiamo ristrettezze di
vedute, possiamo scoprire che la diversificazione di una produzione più
innovativa e con minore impatto ambientale, può essere molto redditizia. Si
tratta di aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di
fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di
incanalare tale energia in modo nuovo.
Per esempio, un percorso di sviluppo produttivo
più creativo e meglio orientato potrebbe correggere la disparità tra
l’eccessivo investimento tecnologico per il consumo e quello scarso per
risolvere i problemi urgenti dell’umanità; potrebbe generare forme intelligenti
e redditizie di riutilizzo, di recupero funzionale e di riciclo; potrebbe
migliorare l’efficienza energetica delle città; e così via. La diversificazione
produttiva offre larghissime possibilità all’intelligenza umana per creare e
innovare, mentre protegge l’ambiente e crea più opportunità di lavoro.
Questa
sarebbe una creatività capace di far fiorire nuovamente la nobiltà dell’essere
umano, perché è più dignitoso usare l’intelligenza, con audacia e
responsabilità, per trovare forme di sviluppo sostenibile ed equo, nel quadro
di una concezione più ampia della qualità della vita. Viceversa, è meno
dignitoso e creativo e più superficiale insistere nel creare forme di
saccheggio della natura solo per offrire nuove possibilità di consumo e di
rendita immediata.
[…]
Affinché sorgano nuovi modelli di progresso
abbiamo bisogno di « cambiare il modello di sviluppo globale »,136 la qual cosa
implica riflettere responsabilmente « sul senso dell’economia e sulla sua
finalità, per correggere le sue disfunzioni e distorsioni ».137 Non basta
conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita
finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema
le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta
di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia
un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può
considerarsi progresso. D’altra parte, molte volte la qualità reale della vita
delle persone diminuisce – per il deteriorarsi dell’ambiente, la bassa qualità
dei prodotti alimentari o l’esaurimento di alcune risorse – nel contesto di
una crescita dell’economia. In questo quadro, il discorso della crescita
sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che
assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e
della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si
riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine.
Il principio della massimizzazione del profitto,
che tende ad isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione
concettuale dell’economia: se aumenta la produzione, interessa poco che si
produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio
di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la
perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o
aumentare l’inquinamento. Vale a dire che le imprese ottengono profitti
calcolando e pagando una parte infima dei costi. Si potrebbe considerare etico
solo un comportamento in cui «i costi economici e sociali derivanti dall’uso
delle risorse ambientali comuni siano riconosciuti in maniera trasparente e
siano pienamente supportati da coloro che ne usufruiscono e non da altre
popolazioni o dalle generazioni future».
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