giovedì 29 ottobre 2015

La grande mistificazione del cibo naturale



È sbagliato mitizzare il passato, perché i cibi erano inaffidabili e pericolosi. E il concetto di “naturale” è più culturale che scientifico. A tutto vantaggio del marketing
di Cristina Tognaccini

«È stato detto, dimostrato e ribadito in quasi tutte le salse che non c’è niente di più culturale dell’idea di natura. Nondimeno ci sono altrettante prove del fatto che non c’è niente di più difficile da sradicare dell’idea che esistano situazioni che sono per definizione naturali o più naturali di altre. Un’idea che in sé non avrebbe nulla di problematico se non viaggiasse sempre in compagnia, per motivi che dipendono anche dalla nostra natura, del pregiudizio per cui ciò che è considerato “naturale”, in quanto tale viene giudicato più “buono”, più “giusto”, più “sano” e più “sicuro». A scriverlo è Gilberto Corbellini, storico della Medicina, studioso di Bioetica ed Epistemologia Medica, nel suo saggio “Perché gli scienziati non sono pericolosi”.

Insomma siamo davvero sicuri che esista una differenza tra ciò che è naturale, e ciò che viene considerato artificiale? E ancora, siamo sicuri che sia più sicuro e sano? A chiederselo è Dario Bressanini, un chimico e ricercatore
dell’Università degli studi dell’Insubria, che per Le Scienze cura il blog Scienza in Cucina, dove da diversi anni ha intrapreso una crociata contro questo mito da sfatare. Da chimico, Bressanini sottolinea come una qualsiasi sostanza in natura sia composta da atomi legati tra di loro. Che questa sia estratta da una pianta o riprodotta in laboratorio, il risultato non cambia, otterremo sempre la stessa sostanza con la stessa formula chimica. Che differenza c’è allora tra le due? Tanto per fare un esempio, la vitamina C che si trova in farmacia è sì naturale, nel senso che “l’ha inventata” la natura perché si trova negli agrumi, ma quella contenuta nelle pasticche deriva da un processo industriale. Ma questo non implica che sia diversa, meno efficace o tossica per questo motivo.

«Per un chimico una “sostanza naturale” è una molecola che già esiste in natura e viene prodotta da qualche processo o organismo» scrive Bressanini nel sul blog. «Se io poi ne faccio la copia identica in laboratorio è ancora la stessa “sostanza naturale”. In altre parole, chi ha effettivamente costruito la molecola, sia esso un chimico in laboratorio o un complesso ciclo metabolico di una pianta, non ha assolutamente influenza sulle sue proprietà. Ed è una fortuna che sia così, perché molte sostanze chimiche utili che si trovano in natura sono di difficile estrazione, o molto rare, o troppo costose da separare dalle altre molecole. Per molte persone invece una molecola è “artificiale” se proprio quella molecola lì è stata sintetizzata in laboratorio, anche se è assolutamente indistinguibile da quella prodotta per esempio da una pianta».

Non solo, il concetto di sano, buono e innocuo, che spesso si associa a quello di “naturale” non sempre è così veritiero. In natura ci sono anche molte sostanze da evitare o che possono essere tossiche e pericolose, soprattutto a seconda della dose in cui si assumono. Il metileugenolo per esempio, naturalmente presente nelle piantine ancora piccole del basilico genovese come forma di difesa, in alcuni esperimenti sui topi si è dimostrato cancerogeno. Ma in quantità di gran lunga superiori alla dose che assumiamo tipicamente mangiando il pesto. Così come le idrazine presenti nei funghi, l’allil isotiocianato nella senape e così via. «Assumiamo migliaia di sostanze tossiche o potenzialmente tossiche, con cui il nostro corpo ha a che fare ogni giorno per limitare i danni» sottolinea Bressanini. «Sostanze, ci tengo a sottolinearlo, che sono naturalmente presenti negli alimenti. La questione, come ben argomentava Paracelso, è in quale dose assumiamo queste sostanze. E questo anche mangiando i proverbiali manicaretti della nonna preparati con prodotti coltivati nel proprio orto e con animali allevati nella fattoria di Nonna Papera».

È anche vero che a volte il marketing sfrutta il concetto di naturale a proprio vantaggio, veicolando messaggi fuorvianti. Come il caso di una famosa mortadella sulla cui etichetta si poteva leggere “100% naturale, solo ingredienti naturali (senza conservanti e antiossidanti di origine chimica)”. Il che fa pensare che non siano presenti conservanti di origine chimica come i nitriti, aggiunti per evitare il rischio di botulino e percepiti come qualcosa di negativo. «Ma se si va a vedere l’etichetta», raccontava Bressanini durante il convegno “Nel piatto di domani”, svoltosi lo scorso anno «c’è scritto che contiene “conservanti (nitrito di sodio) di origine naturale”. In realtà il conservante c’è, e non potrebbe essere altrimenti, ma vogliono sfruttare questa idea di naturale. Visto che tra gli ingredienti compare il sedano, che non è l’ingrediente della mortadella ma è uno dei vegetali che assorbe più nitriti e nitrati dal terreno, se io dovessi inventarmi una giustificazione di questo tipo, potrei coltivare del sedano che assorbe tanti nitrati e nitriti, per poi farci un estratto e aggiungerlo alla mortadella. In questo modo aggiungo anche i conservanti, ma sono di origine “naturale”».

Allargando il discorso ai piatti che mangiamo ogni giorno, da diverso tempo si è radicata l’idea che il tradizionale, il naturale, il chilometro zero è meglio. In controcorrente con la frenesia che impone la società moderna, per cui spesso si mangiano cibi già pronti e confezionati. Il concetto di fast e moderno contro lo slow food e il ritorno al passato insomma. Anche su questo però c’è chi la pensa in maniera diversa, e se vogliamo un po’ controcorrente. In un articolo pubblicato su Jacobin Magazine, ripreso poi da InternazionaleRachel Laudan, una storica britannica dell’alimentazione, spiega come «la moda del cibo naturale non ha basi storiche. Perché se oggi possiamo mangiare di più con meno lavoro è merito dei metodi di produzione moderni». Insomma il tanto ricercato e desiderato ritorno la passato, quando si mangiava in maniera “più sana” è un mito da sfatare, perché non è andata esattamente così. Anche in passato i problemi c’erano ed erano diversi.

Laudan insomma va contro quelli che lei chiama i “luddisti culinari” – perché assomigliano agli operai inglesi del primo ottocento che accusavano le macchine di distruggere il loro stile di vita – che disprezzano il cibo industriale e raccontano un mondo passato “fantastico” che in realtà non è mai esistito se si va a scavare. «In passato non tutto ciò che era naturale era buono» scrive. «La carne fresca era dura e maleodorante; il latte era tiepido ed era chiaramente un’escrescenza corporea; la frutta era così aspra da essere immangiabile e le verdure fresche erano amare. Il cibo naturale era anche inaffidabile: il pesce cominciava subito a puzzare, il latte diventava acido, le uova marcivano. Spesso era anche indigeribile e tossico».

Per questo negli anni i nostri antenati hanno inventato una serie di trattamenti, strategie e metodi, per renderlo più buono, digeribile e mangiabile. Senza contare che il concetto di fast food era già presente al tempo dei romani – che mangiavano focacce al miele e salsicce già pronte al mercato – e in generale in tutte le società. Ovunque infatti c’era bisogno di qualcosa da mangiare velocemente e lontano da casa quando si stava via per lavoro. «Oggi ci preoccupiamo dei pesticidi sulle mele, del mercurio nel tonno, del morbo della mucca pazza – scrive ancora Laudan – ma ci dimentichiamo che ingerire cosa da mangiare è sempre stato pericoloso. Molte piante contengono tossine e sostanza tossiche, in passato l’acqua a volte era inquinata e causava malattie intestinali, il pane conteneva gesso per aumentarne il volume, il latte era un veicolo di malattie e le salsicce venivano riempite di porcherie. Con il modernismo culinario insomma la gente ha ottenuto alimenti trattati conservati, rapidi e diversificati. Dove è arrivata l’alimentazione moderna le popolazioni sono diventate più alte, più forti, meno a soggette a malattie e più longeve. Gli uomini hanno potuto scegliere di non lavorare nei campi e le donne hanno smesso di passare cinque ore al giorno a fare il pane».

Ovviamente c’è sempre un retro della medaglia e non possiamo negare che il cibo industriale con cui abbiamo a che fare oggi non sia perfetto o non abbia i suoi problemi, come sottolinea la stessa Laudan, che aggiunge che probabilmente ci farebbe anche bene mangiare più prodotti freschi, naturali, locali, artigianali. Quello che è sbagliato a suo parere è il mitizzare il passato, un passato che appunto è ben diverso da quello che raccontano i “luddisti culinari”. «Quello che serve non è la nostalgia, ma un’etica – conclude Laudan – che accetti gli alimenti industriali invece di disprezzarli, che non abbia pregiudizi ma decida caso per caso quando è meglio preferire il naturale al trattato, il fresco al conservato, il vecchio al nuovo, il lento al veloce, l’artigianale all’industriale».

Nessun commento:

Posta un commento