mercoledì 14 ottobre 2015

Papa Francesco: Laudato Sì / 4




Un’ecologia integrale

Dinanzi alla possibilità di un utilizzo irresponsabile delle capacità umane, sono funzioni improrogabili di ogni Stato quelle di pianificare, coordinare, vigilare e sanzionate all’interno del proprio territorio. La società, in che modo ordina e custodisce il proprio divenire in un contesto di costanti innovazioni tecnologiche? Un fattore che agisce come moderatore effettivo è il diritto, che stabilisce le regole per le condotte consentite alla luce del bene comune. I limiti che imporre una società sana, matura e sovrana sono attinenti a previsione e precauzione, regolamenti adeguati, vigilanza sull’applicazione delle norme, contrasto alla corruzione, azioni di controllo operativo sull’emergere di effetti non desiderati dei processi produttivi, e intervento opportuno di fronte ai rischi indeterminati o potenziali. Esiste una crescente giurisprudenza orientata a ridurre gli effetti inquinanti delle attività imprenditoriali. Ma la struttura politica e istituzionale non esiste solo per evitare le cattive pratiche, bensì per incoraggiare le buone pratiche, per stimolare la creatività che cerca nuove strade, per facilitare iniziative personali e correttive.

Il dramma di una politica focalizzata sui risultati immediati, sostenuta anche da popolazioni consumistiche, rende necessario produrre crescita a breve termine.
Rispondendo a interessi elettorali, i governi non si azzardano facilmente a irritare la popolazione con misure che possono intaccare il livello di consumo o mettere  a rischio investimenti esteri. La miope costruzione del potere frena l’inserimento dell’agenda ambientale lungimirante all’interno dell’agenda pubblica dei governi. Si dimentica così che «il tempo è superiore allo spazio», che siamo sempre più fecondi quando ci preoccupiamo di generare processi, piuttosto che di dominare spazi di potere. La grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad accogliere questo dovere in un progetto di Nazione.

In alcuni luoghi, si stanno sviluppando cooperative per lo sfruttamento delle energie rin­novabili che consentono l’autosufficienza locale e persino la vendita della produzione in ecces­so. Questo semplice esempio indica che, mentre l’ordine mondiale esistente si mostra impotente ad assumere responsabilità, l’istanza locale può fare la differenza. È lì infatti che possono nasce­re una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più generosa, un profondo amore per la propria terra, come pure il pensare a quello che si lascia ai figli e ai nipoti. Questi valori hanno ra­dici molto profonde nelle popolazioni aborigene. Poiché il diritto, a volte, si dimostra insufficiente a causa della corruzione, si richiede una decisio­ne politica sotto la pressione della popolazione. 
La società, attraverso organismi non governativi e associazioni intermedie, deve obbligare i gover­ni a sviluppare normative, procedure e controlli più rigorosi. Se i cittadini non controllano il po­tere politico – nazionale, regionale e municipa­le – neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali. D’altra parte, le legislazioni munici­pali possono essere più efficaci se ci sono accordi tra popolazioni vicine per sostenere le medesime politiche ambientali

Non si può pensare a ricette uniformi, per­ché vi sono problemi e limiti specifici di ogni Pae­se e regione. È vero anche che il realismo politico può richiedere misure e tecnologie di transizione, sempre che siano accompagnate dal disegno e dall’accettazione di impegni graduali vincolanti. Allo stesso tempo, però, in ambito nazionale e locale c’è sempre molto da fare, ad esempio pro­muovere forme di risparmio energetico. Ciò im­plica favorire modalità di produzione industriale con massima efficienza energetica e minor uti­lizzo di materie prime, togliendo dal mercato i prodotti poco efficaci dal punto di vista energe­tico o più inquinanti. Possiamo anche menzio­nare una buona gestione dei trasporti o tecniche di costruzione e di ristrutturazione di edifici che ne riducano il consumo energetico e il livello di inquinamento. D’altra parte, l’azione politica lo­cale può orientarsi alla modifica dei consumi, allo sviluppo di un’economia dei rifiuti e del riciclag­gio, alla protezione di determinate specie e alla programmazione di un’agricoltura diversificata con la rotazione delle colture. È possibile favori­re il miglioramento agricolo delle regioni povere mediante investimenti nelle infrastrutture rurali, nell’organizzazione del mercato locale o nazio­nale, nei sistemi di irrigazione, nello sviluppo di tecniche agricole sostenibili. Si possono facilitare forme di cooperazione o di organizzazione co­munitaria che difendano gli interessi dei piccoli produttori e preservino gli ecosistemi locali dalla depredazione. È molto quello che si può fare!

IV Politica ed economia in dialogo per la pienezza umana

La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo. La produzione non è sempre razionale, e spesso è legata a variabili economiche che attribuiscono ai prodotti un valore che non corrisponde al loro valore reale. Questo determina molte volte una sovrapproduzione di alcune merci, con un impatto ambientale non necessario che al tempo stesso danneggia molte economie regionali. La bolla finanziaria di solito è anche una bolla produttiva. In definitiva, ciò che non si affronta con decisione è il problema dell’economia reale, la quale rende possibile che si diversifichi e si migliori la produzione, che le imprese funzionino adeguatamente, che le piccole e medie imprese si sviluppino e creino occupazione, e così via.

In questo contesto bisogna sempre ri­cordare che « la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo fi­nanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adegua­tamente ». Ancora una volta, conviene evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli indivi­dui. È realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pen­sare agli effetti ambientali che lascerà alle pros­sime generazioni? All’interno dello schema della rendita non c’è posto per pensare ai ritmi della natura, ai suoi tempi di degradazione e di rige­nerazione, e alla complessità degli ecosistemi che possono essere gravemente alterati dall’interven­to umano. Inoltre, quando si parla di biodiversità, al massimo la si pensa come una riserva di ri­sorse economiche che potrebbe essere sfruttata, ma non si considerano seriamente il valore reale delle cose, il loro significato per le persone e le culture, gli interessi e le necessità dei poveri.

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