Un’ecologia
integrale
Dinanzi alla possibilità di un utilizzo
irresponsabile delle capacità umane, sono funzioni improrogabili di ogni Stato
quelle di pianificare, coordinare, vigilare e sanzionate all’interno del
proprio territorio. La società, in che modo ordina e custodisce il proprio
divenire in un contesto di costanti innovazioni tecnologiche? Un fattore che
agisce come moderatore effettivo è il diritto, che stabilisce le regole per le
condotte consentite alla luce del bene comune. I limiti che imporre una società
sana, matura e sovrana sono attinenti a previsione e precauzione, regolamenti
adeguati, vigilanza sull’applicazione delle norme, contrasto alla corruzione,
azioni di controllo operativo sull’emergere di effetti non desiderati dei
processi produttivi, e intervento opportuno di fronte ai rischi indeterminati o
potenziali. Esiste una crescente giurisprudenza orientata a ridurre gli effetti
inquinanti delle attività imprenditoriali. Ma la struttura politica e
istituzionale non esiste solo per evitare le cattive pratiche, bensì per
incoraggiare le buone pratiche, per stimolare la creatività che cerca nuove
strade, per facilitare iniziative personali e correttive.
Il dramma di una politica focalizzata sui
risultati immediati, sostenuta anche da popolazioni consumistiche, rende
necessario produrre crescita a breve termine.
Rispondendo a interessi
elettorali, i governi non si azzardano facilmente a irritare la popolazione con
misure che possono intaccare il livello di consumo o mettere a rischio investimenti esteri. La miope
costruzione del potere frena l’inserimento dell’agenda ambientale lungimirante
all’interno dell’agenda pubblica dei governi. Si dimentica così che «il tempo è
superiore allo spazio», che siamo sempre più fecondi quando ci preoccupiamo di
generare processi, piuttosto che di dominare spazi di potere. La grandezza
politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi
principi e pensando al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta
fatica ad accogliere questo dovere in un progetto di Nazione.
In alcuni luoghi, si stanno sviluppando
cooperative per lo sfruttamento delle energie rinnovabili che consentono l’autosufficienza
locale e persino la vendita della produzione in eccesso. Questo semplice
esempio indica che, mentre l’ordine mondiale esistente si mostra impotente ad
assumere responsabilità, l’istanza locale può fare la differenza. È lì infatti
che possono nascere una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario,
una speciale capacità di cura e una creatività più generosa, un profondo amore
per la propria terra, come pure il pensare a quello che si lascia ai figli e ai
nipoti. Questi valori hanno radici molto profonde nelle popolazioni aborigene.
Poiché il diritto, a volte, si dimostra insufficiente a causa della corruzione,
si richiede una decisione politica sotto la pressione della popolazione.
La società, attraverso organismi non
governativi e associazioni intermedie, deve obbligare i governi a sviluppare
normative, procedure e controlli più rigorosi. Se i cittadini non controllano
il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile
un contrasto dei danni ambientali. D’altra parte, le legislazioni municipali
possono essere più efficaci se ci sono accordi tra popolazioni vicine per
sostenere le medesime politiche ambientali
Non si può pensare a ricette uniformi, perché
vi sono problemi e limiti specifici di ogni Paese e regione. È vero anche che
il realismo politico può richiedere misure e tecnologie di transizione, sempre
che siano accompagnate dal disegno e dall’accettazione di impegni graduali
vincolanti. Allo stesso tempo, però, in ambito nazionale e locale c’è sempre
molto da fare, ad esempio promuovere forme di risparmio energetico. Ciò implica
favorire modalità di produzione industriale con massima efficienza energetica e
minor utilizzo di materie prime, togliendo dal mercato i prodotti poco efficaci
dal punto di vista energetico o più inquinanti. Possiamo anche menzionare una
buona gestione dei trasporti o tecniche di costruzione e di ristrutturazione di
edifici che ne riducano il consumo energetico e il livello di inquinamento.
D’altra parte, l’azione politica locale può orientarsi alla modifica dei
consumi, allo sviluppo di un’economia dei rifiuti e del riciclaggio, alla
protezione di determinate specie e alla programmazione di un’agricoltura
diversificata con la rotazione delle colture. È possibile favorire il
miglioramento agricolo delle regioni povere mediante investimenti nelle
infrastrutture rurali, nell’organizzazione del mercato locale o nazionale, nei
sistemi di irrigazione, nello sviluppo di tecniche agricole sostenibili. Si
possono facilitare forme di cooperazione o di organizzazione comunitaria che
difendano gli interessi dei piccoli produttori e preservino gli ecosistemi
locali dalla depredazione. È molto quello che si può fare!
IV
Politica ed economia in dialogo per la pienezza umana
La politica non deve sottomettersi
all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma
efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno
in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano
decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il
salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla
popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema,
riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo
generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi
finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più
attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività
finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una
reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a
governare il mondo. La produzione non è sempre razionale, e spesso è legata a
variabili economiche che attribuiscono ai prodotti un valore che non
corrisponde al loro valore reale. Questo determina molte volte una
sovrapproduzione di alcune merci, con un impatto ambientale non necessario che
al tempo stesso danneggia molte economie regionali. La bolla finanziaria di
solito è anche una bolla produttiva. In definitiva, ciò che non si affronta con
decisione è il problema dell’economia reale, la quale rende possibile che si
diversifichi e si migliori la produzione, che le imprese funzionino
adeguatamente, che le piccole e medie imprese si sviluppino e creino
occupazione, e così via.
In questo contesto bisogna sempre ricordare
che « la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del
calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i
meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente
». Ancora una volta, conviene evitare una concezione magica del mercato, che
tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti
delle imprese o degli individui. È realistico aspettarsi che chi è
ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pensare agli
effetti ambientali che lascerà alle prossime generazioni? All’interno dello
schema della rendita non c’è posto per pensare ai ritmi della natura, ai suoi
tempi di degradazione e di rigenerazione, e alla complessità degli ecosistemi
che possono essere gravemente alterati dall’intervento umano. Inoltre, quando
si parla di biodiversità, al massimo la si pensa come una riserva di risorse
economiche che potrebbe essere sfruttata, ma non si considerano seriamente il
valore reale delle cose, il loro significato per le persone e le culture, gli
interessi e le necessità dei poveri.
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