giovedì 10 dicembre 2015

Salve-banche: bail-in, risparmi in fumo



da: Corriere della Sera

Banche salvate, bail-in, risparmi in fumo
La cronaca di un mese molto difficile
Dal crac (non improvviso) di quattro banche territoriali all’evidenza che, da adesso in poi, anche i privati possono pagare per queste crisi. Soprattutto se hanno investito in azioni e prestiti subordinati degli istituti in difficoltà
di Giuditta Marvelli e Marco Sabella

Che cosa è accaduto alle 4 banche
Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca Etruria e CariChieti erano da tempo in difficoltà. Da anni si dibattevano tra commissari straordinari e sofferenze eccessive. Una banca «soffre» quando lo squilibrio tra attivi e passivi diventa ingestibile: quando i soldi prestati ai clienti non vengono restituiti. Sono banche storiche, molto radicate sul territorio: una caratteristica con molte notazioni positive per il rapporto stretto che si crea con i clienti privati e con le imprese. Anche se, in questa vicenda, risparmiatori e funzionari in buona fede si possono definire vittime della fiducia reciproca e nella banca.

Il decreto del 22 novembre 2015
Tre settimane fa il governo ha firmato un provvedimento per risolvere la
questione delle quattro banche prima della fine dell’anno. Dal primo gennaio 2016 infatti entrano in vigore nuove regole sui salvataggi degli istituti di credito ancora più stringenti. Il provvedimento ha stabilito la «rinascita» delle banche con il titolo di Nuova davanti ai vecchio nome e la creazione di un veicolo (bad bank) dove sono stivati gli asset «tossici» di tutte e quattro.

Non è un bail in, ma gli assomiglia
L’operazione varata dal governo è ibrida. Non è un bail in, ma un anticipo di bail in. Che cosa significa? Bail in vuol dire «garanzia interna» e, nel caso dei salvataggi bancari, è il contrario di bail out, vale a dire l’impegno del sistema (e quindi dei soldi pubblici) per sostenere le banche in difficoltà. L’Unione bancaria europea mira ad evitare il più possibile l’intervento degli Stati membri in caso di crac degli istituti. La strada scelta dal governo italiano contempla l’utilizzo del Fondo di risoluzione che metterà sul piatto 3,6 miliardi, di cui 1,8 andranno a ricapitalizzare le Nuove banche e 1,7 a coprire le perdite originarie. Ma l’entrata in campo di questo strumento — alimentato dalle banche nazionali — ha automaticamente fatto scattare la «condivisione degli oneri». L’aiuto del sistema, dicono le regole dell’Unione, arriva solo dopo che azionisti ed obbligazionisti subordinati (cioè i prestatori di denaro che hanno accettato un rischio maggiore a fronte di una cedola molto più alta della media) hanno partecipato al salvataggio.

La tragedia dei «piccoli»
Tra gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati — questo è il lato più tragico — ci sono parecchi privati. Secondo un conto approssimativo i piccoli azionisti sarebbero 130 mila e gli obbligazionisti 10 mila. Le loro storie, tra cui il terribile suicidio del pensionato di Civitavecchia, raccontano ancora una volta l’impossibilità del sistema finanziario nazionale e globale di proteggere in ogni occasione in modo efficace i più deboli. Il sistema è fatto di norme, intermediari e privati risparmiatori. Le prime sono complesse, i secondi provano ad applicarle (non sempre bene) cercando di fare business, i terzi sperano di investire i loro soldi con profitto su un mercato sempre più grande e più difficile da capire. Per acquistare prodotti finanziari chiunque deve sottoporsi ad un questionario (Mifid) che dovrebbe misurare le sue conoscenze dei mercati e la sua effettiva possibilità di accettare un certo grado di rischio. O nessun rischio.

La disputa con la Commissione Europea
Le autorità italiane e quelle di Bruxelles hanno avuto una discussione (ancora in corso) sulla vicenda. Bankitalia dice di aver cercato (senza successo) di percorrere una via di salvezza che avrebbe lasciato fuori gli azionisti e gli obbligazionisti. La Commissione europea risponde che l’Italia ha scelto autonomamente tra le opzioni sul tavolo e che comunque le regole europee impongono il «burden sharing» — l’azzeramento del capitale, anche di quello subordinato rappresentato dalle famigerate obbligazioni — se si utilizzano fondi pubblici.

Subordinati, che cosa erano e che cosa sono d’ora in poi
I risparmiatori che hanno sottoscritto in passato i prestiti subordinati delle banche, in linea teorica, avrebbero dovuto essere consapevoli dei rischi che correvano, ma è anche vero che nella pratica non era mai accaduto che questa categoria di emissioni venisse chiamata a ripianare le perdite in conto capitale della banca. I titoli più rischiosi, le obbligazioni Upper Tier 1 avevano la facoltà di non pagare la cedola ed erano emesse senza una scadenza prevista di rimborso, al punto che venivano chiamati «perpetuità». Esistevano delle opzioni che permettevano alla banca di «richiamare» il capitale e di rimborsare gli obbligazionisti. Le nuove norme sulla risoluzione delle crisi bancarie (bail-in) hanno in parte modificato le caratteristiche delle obbligazioni subordinate. Adesso questi titoli in caso di grave difficoltà della banca sono considerati alla stregua del capitale di rischio (le azioni) e possono di conseguenza vedere ridotto o azzerato il valore nominale di rimborso. Nella nuova suddivisione dei prestiti bancari si distinguono le obbligazioni Additional tier 1 (AT1), che sono ancora «perpetue» ma in cui la discrezionalità del pagamento della cedola è assoluta, un po’ come avviene nella distribuzione dei dividendi per i titoli azionari. Queste emissioni, rendono attualmente il 6-7% quando la banca è solida e ben capitalizzata. C’è poi la categorie delle obbligazioni Tier2, che hanno una durata di rimborso prestabilita e in cui i sottoscrittori subiscono una decurtazione del capitale solo se i titoli AT1 non sono stati sufficienti per ripagare le eventuali perdite. Oggi le migliori obbligazioni Tier2, sulla scadenza dei 10 anni, offrono rendimenti compresi fra il 2,5 e il 2,9% (il Btp a dieci anni è all’1,54%). Infine c’è la categoria teoricamente sicura del senior debt, in cui sia il pagamento della cedola che la restituzione del capitale sono garantiti. In questo caso per emissioni di buona qualità (banche solide) a cinque anni il rendimento lordo è di circa l’1%. Attenzione però: in caso di bail in particolarmente drammatici anche i titoli senior debt potrebbero essere chiamati a pagare il conto.

Chi pagherà dal primo gennaio in caso di crac
Da gennaio 2016, in caso di fallimento , la classifica della condivisione del conto da pagare metterà in prima fila, come è accaduto in questi giorni, azionisti e obbligazionisti subordinati. In seconda battuta, se i soldi non bastassero e anche il sostegno pubblico concesso fosse insufficiente, potrebbero essere coinvolti anche gli obbligazionisti senior e la parte eccedente i 100 mila euro sui conti correnti e certificati di deposito. Sono tutelati in ogni caso, quindi, solo i conti correnti sotto i 100 mila euro. Non c’entrano perché non sono attivi della banca, il contenuto delle cassette di sicurezza, fondi e titoli (Btp, azioni e così via). Purché non siano, appunto, emessi dalla banca in difficoltà.

Che cosa succede adesso
Il dibattito sulla possibilità e sui modi per aiutare i risparmiatori coinvolti è ancora aperto. Certamente se, come sostengono i legali che stanno ascoltando le storie delle persone coinvolte, i profili Mifid sono stati gestiti in modo troppo automatico e i contratti non identificano in modo chiaro la natura subordinata dei bond, il ricorso alla giustizia è un’ opzione da valutare. Uno degli effetti immaginabili di questa vicenda è la futura impossibilità (o quasi) per le banche di vendere ai privati questa tipologia di titoli.

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