da: http://www.ilfattoquotidiano.it/
Banca
Etruria, nel 2013 la lettera di Bankitalia: istituto travolto “in modo
irreversibile” da “progressivo degrado”
Mentre
la Popolare chiedeva investimenti alla clientela, Via Nazionale già sapeva che
erano fortemente a rischio. Ma non è intervenuta e i risparmiatori hanno perso
tutto. E' dal 2002 che Palazzo Koch ha riserve sull'istituto aretino e lo
ribadisce nel 2010 e nel 2012
di Giorgio
Meletti
Già due anni fa Banca Etruria era travolta
“in modo irreversibile” da un “progressivo degrado” in corso indisturbato da 11
anni. Lo ha scritto il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco in una
lettera al consiglio d’amministrazione della Popolare aretina il 3 dicembre
2013. Peccato che la lettera fosse segretata, probabilmente per non disturbare
il collocamento di obbligazioni subordinate in corso proprio in quei
giorni. Se Visco avesse reso pubblica la lettera, molti risparmiatori avrebbero
potuto salvare i propri risparmi. Ma per Bankitalia il parco buoi non deve
sapere, per essere spolpato meglio. In questo caso però, essendo saltato il
banco, è possibile che chi ha perso i suoi soldi chieda giustizia in tribunale:
la Vigilanza bancaria sapeva cose tremende su Banca Etruria e le ha occultate
al pubblico.
Nel 2013 Banca Etruria è pressata da Bankitalia,
che dal 2002 contesta la debolezza patrimoniale a fronte di crescenti rischi
sui crediti (clienti che stentano a rimborsare i prestiti ottenuti). Piazza un
aumento di capitale da 100 milioni e quattro emissioni di subordinate per
complessivi 120 milioni. L’ultima tranche viene piazzata agli sportelli di Etruria,
unico luogo di smercio, tra ottobre e dicembre. Nel frattempo gli ispettori della
Vigilanza passano al setaccio per l’ennesima volta gli uffici di Arezzo.
Guidati da Emanuele Gatti, che il capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo
considera il suo Maradona, si installano in banca dal 18 marzo al 6 settembre.
Dopo sei mesi consegnano a palazzo Koch i loro rilievi.
Il 3 dicembre Visco scrive la lettera che
comincia con la scritta “riservatissimo”. Leggendo si capisce perché. Il 20
dicembre la Consob pubblica un supplemento al prospetto informativo della subordinata
IT0004966856, che è già stata venduta e che, secondo gli scenari probabilistici
opportunamente vietati dalla Consob, presentava il 64 per cento di probabilità
di perdere la metà del capitale. Il supplemento concede agli investitori
(qualora avessero per caso saputo della pubblicazione) di revocare l’ordine di
acquisto, alla luce delle novità, entro due giorni lavorativi. Il 20 dicembre è
un venerdì, possono eventualmente andare in banca il 23 e il 24 dicembre.
A parte questa presa in giro, il supplemento
tace della lettera di Visco. Si limita a dire che, a seguito dell’ispezione, Bankitalia
ha fatto dei rilievi che “non assumono in ogni caso un’entità tale da
pregiudicare il mantenimento dei requisiti prudenziali”. E che, “in linea con
gli indirizzi dell’Organo di Vigilanza”, il cda ha deciso di cercare un partner
bancario di “elevato standing”: “Un intento che, oltre a dare respiro alle prospettive
future, mira a non compromettere i livelli occupazionali ed a valorizzare il
sempre crescente patrimonio di professionalità e conoscenze acquisite nel
tempo”. Ma che bello. Prima di vedere che cosa ha scritto Visco,
ricordiamoci il copione. La Banca d’Italia non vigila sui mercati finanziari,
quindi non si assume responsabilità se il contenuto di un prospetto, oltre che
tardivo, risulti anche falso. Scarica la colpa sulla Consob, che però
replicherà che non può sapere della lettera di Visco se Bankitalia non glielo
dice.
Visco il 3 dicembre ha scritto nella
lettera segreta che già nel 2002, a fronte di ingenti crediti ammalorati, “la
Banca d’Italia ha imposto un coefficiente patrimoniale specifico”: cioè un
capitale totale pari al 10 per cento dei prestiti erogati e non dell’8 per
cento come nelle banche sane. Questa misura di prevenzione, dice Visco, “non è
stata mai rimossa per mancanza dei necessari presupposti”, visto che “negli
ultimi anni tali criticità si sono progressivamente accentuate”. Ricorda
l’ispezione del 2010, che non è servita a fermare il degrado. E richiama la
lettera del 24 luglio 2012 con cui era stato chiesto un rimpasto sostanzioso
del cda per la sua “inadeguatezza”, un taglio della struttura attraverso il
“ridimensionamento della rete territoriale”, e “un rafforzamento dei buffer
patrimoniali rispetto ai minimi regolamentari”, cioè nuovo capitale, cioè
obbligazioni subordinate, visto che il mercato non assorbiva aumenti di
capitale.
Un anno e mezzo dopo la lettera del 2012
Visco sostiene che a Banca Etruria si sono fatti beffe di lui: “I ritardi
accumulati nell’affrontare le gravi problematiche e il ricorso ad interventi
parziali e talvolta dilatori hanno contribuito ad accrescere le
criticità”. Conclusione tombale: “A seguito del progressivo degrado della
situazione aziendale, la Banca Popolare dell’Etruria risulta ormai condizionata
in modo irreversibile da vincoli economici, finanziari e patrimoniali che ne
hanno di fatto ‘ingessato’ l’operatività”. Per cui Bankitalia “ritiene che la
Popolare non sia più in grado di percorrere in via autonoma la strada del
risanamento”. Visco ordina a Banca Etruria di vendersi a un’altra banca più
grossa entro 120 giorni, tempo che in genere non basta neppure per vendere
un’auto usata. Infatti non succederà niente. L’ispezione di Bankitalia serve
solo a fare fuori il presidente Giuseppe Fornasari (che ne ha contestato
energicamente i contenuti) e a mettere in sella Lorenzo Rosi (oggi indagato)
con due vice presidenti: Pier Luigi Boschi e Alfredo Berni, ex direttore
generale negli anni in cui la Banca, stando a Visco, era stata sfasciata. Lo
scorso febbraio, a quindici mesi dalla letteraccia, Visco ha commissariato
l’istituto che Bankitalia ha lasciato sfasciare per 13 anni segretando le sue
ispezioni.
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