da: http://www.glistatigenerali.com/
- di
Umberto Cherubini
Se il dito indica la luna, l’idiota guarda
il dito. Nella vicenda del salvataggio delle quattro banche, il dito (medio) è
quello rivolto dai banchieri della filibusta ai contribuenti e al bail-in, che
dovrebbe mettere i conti pubblici al riparo dal salvataggio delle banche. La
luna (nera) è quella della qualità del capitale di tutte le nostre banche e la
latitanza delle nostre autorità di vigilanza. La luna, la domanda che nessuno
solleva è: quanto altro capitale delle banche italiane è nelle mani di
casalinghe, capifamiglia e piccole imprese? Perché se la vicenda delle quattro
banche non fosse l’eccezione, ma la regola, il sistema italiano sarebbe il
primo a sollevare il problema della qualità, più che della quantità, del
capitale regolamentare delle nostre banche, e la questione di una revisione
della regolamentazione di trasparenza e stabilità. Altro che scagliarsi contro
il bail-in, come fanno le associazioni di consumatori e i politici: il bail-in
è una vittima, insieme ai nostri conti pubblici, di una supervisione
insufficiente. Piuttosto, sarebbe il caso di chiedersi se non sia il caso di
attribuire a una sola autorità la supervisione della trasparenza e della
stabilità, almeno in un campo delicato come il sistema bancario.
Il “capitale marcio” è quello a cui il
consiglio dei ministri questa domenica dovrà
trovare una modalità di rimborso,
a carico dei contribuenti o di altri risparmiatori. E’ il capitale sottoscritto
da quella figura che abbiamo visto comparire sui giornali di questi giorni,
“l’azionista incapiente”, questo ossimoro in carne e ossa che non ci saremmo
aspettati.
Sono ormai troppi i casi di “capitale
marcio”, perché si tratti solo di casi isolati. Abbiamo pensato a un caso
isolato di fronte alla vicenda della Popolare di Vicenza, in cui il capitale
veniva emesso con il ricatto per la concessione dei servizi. C’è anche un’ombra
di ironia nella vicenda. Nelle capitali della finanza si discute animatamente
della questione del KVA (capital-valuation-adjustment), cioè se sia lecito
addebitare il costo del capitale ai clienti, che già pagano per il loro rischio
di credito negli interessi. La Popolare di Vicenza era già avanti da anni,
imponendo il contributo di capitale addirittura “in natura”. Se vuoi il
prestito, comprati il capitale. Questa stessa storia abbiamo sentito filtrare
qua e là nel caso delle quattro banche salvate. Su una rete locale della
mia regione, un risparmiatore di Popolare dell’Etruria raccontava proprio che
“se ci volevi lavorare” dovevi sottoscrivere un po’ di debito subordinato:
anche questo è capitale, sebbene di secondo livello (Tier II).
Se questa storia di raccogliere capitale
“in natura” da quelli stessi che ti portano il rischio per il quale devi
raccogliere capitale è un fiore all’occhiello della genialità criminale
finanziaria italiana, il problema dei piccoli risparmiatori che hanno
sottoscritto azioni e debito subordinato perché considerati sicuri, e
considerati sicuri perché erano emessi da una banca, ci riporta all’ennesima
tipica vicenda di “risparmio tradito”. “Noi siamo la nuova Parmalat”, ha
dichiarato alla stampa qualcuno dei malcapitati. E ha ragione: proprio come ai
tempi della Parmalat quando i risparmiatori erano stupiti dal default perché
ritenevano di essere al sicuro, avendo sottoscritto titoli di credito e
non di capitale, oggi i risparmiatori rivendicano di essersi sentiti al sicuro
perché i titoli erano emessi da banche.
La domanda ovvia sollevata da queste
vicende è: perché il capitale delle banche (azioni e debito subordinato) era
sottoscritto da risparmiatori che non sanno neppure cosa significa
“subordinato”? E la domanda ancora più rilevante è: quante azioni e debito
subordinato sono ancora in mano alle famiglie italiane, invece che agli
investitori istituzionali? La rilevanza di questa domanda è evidente.
Possiamo riformularla in questo modo: su quanto capitale genuino possiamo
contare in caso di crisi di un gruppo bancario, senza dover intervenire con i
soldi dei contribuenti?
Notate che la domanda è addirittura a monte
della questione del “bail-in”. Qui la questione non è se pagano prima gli
azionisti, poi i creditori subordinati e dopo il resto dei creditori, e infine
il fondo di garanzia dei depositi, lasciando intatti i conti pubblici. Qui la
questione è se azionisti e creditori della banca in crisi debbano essere
salvati dal contribuente perché raggirati e inconsapevoli dei rischi. Se questo
è il principio che si sta affermando nell’applicazione italiana dei salvataggi
bancari, la domanda che segue è quanto sia il conto dei salvataggi di una delle
altre banche che potrebbero entrare in crisi domani. Chi ha il debito subordinato
di MPS, del Banco Popolare, di BPM, del Credem e così via?
E questo ci porta alla fine alla solita
questione. Ma la vigilanza italiana sul risparmio è all’altezza? Pare che la
CONSOB si muova solo ora, e solo sui casi scoppiati. E la posizione che filtra
dai giornali è sconcertante, per non dire ridicola. La stampa riporta che
secondo la CONSOB i prospetti erano regolari. E’ come se i medici si mettessero
a riempire a tappeto i pazienti di anfetamine e l’autorità di regolamentazione
del farmaco dicesse che il bugiardino dei farmaci era corretto. Il problema non
è il sbugiardino: il problema è il comportamento dei medici. E dove sono finiti
i super-poteri di investigazione che la CONSOB vanta da anni? Quante ispezioni
sono state fatte sulla politica di vendita di titoli propri da parte delle
banche? Sono state fatte ricerche e analisi su chi detiene il debito
subordinato delle banche italiane? Su questo dovrebbe informarci la CONSOB. Qui
il tema è più rilevante di Parmalat, perché questi titoli riguardano il
capitale regolamentare del nostro sistema bancario, e la sua stabilità. Se la
CONSOB si limita a leggere i prospetti, forse è il caso che abdichi, almeno a
proposito del sistema bancario, a favore dell’istituzione che sorveglia la
stabilità. CONSOB o Banca d’Italia: qualcuno vada a fare ispezione nei borsini,
invece che limitare la visita ai quartieri generali delle banche. Se questa
verifica non verrà fatta, il sistema rischia un “contagio da informazione”,
come lo definiva un mio collega tedesco. La traduzione è semplice: se queste
banche hanno tradito la tua fiducia, perché mai non dovrebbero farlo le altre?
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