mercoledì 9 dicembre 2015

Salva-Banche: Bankitalia e Abi scaricano sull'Europa la responsabilità dei danni su 130 mila risparmiatori



da: www.huffingtonpost.it/

Uno scaricabarile davanti ai 130 mila risparmiatori danneggiati dal salvataggio di Banca Marche, Banca Etruria, Carife e CariChieti."È colpa dell’Europa. Avremmo potuto evitarlo, ma l’Ue non ce l’ha permesso”.

Banca d’Italia e l'Associazione Bancaria Italiana difendono il loro operato. In audizione alla Camera sostengono che il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd) era pronto a intervenire, già a luglio, per salvare le quattro banche poi salvate dal governo. Un’operazione che, a loro parere, non sarebbe stato considerato un aiuto di Stato e che avrebbe invece tutelato azionisti e obbligazioni.

Bankitalia lo dice chiaro e tondo, “è stata l’Europa a non volerlo”. Per il salvataggio di Banca Marche, Banca Etruria, Carife e CariChieti "era emersa – sostiene il capo del dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia, Carmelo Barbagallo - la disponibilità del Fondo interbancario di tutela dei depositi a farsi carico di tale aspetto, assorbendo i rischi relativi ai crediti deteriorati. L'intervento del fondo avrebbe consentito, congiuntamente alle risorse apportate da altre banche, di porre i presupposti per il superamento
delle crisi senza alcun sacrificio per i creditori delle quattro banche. Ciò non è stato possibile per la preclusione manifestata da uffici della commissione Europea, da noi non condivisa, che hanno ritenuto di assimilare ad aiuti di Stato gli interventi del Fondo di tutela dei depositi". Un no giudicato immotivato, tanto più perché diversamente da altri Paesi, l'Italia non ha speso un euro per salvare le banche nel pieno della crisi finanziaria.

Diverge in parte la posizione dell’Abi. Pur sostenendo allo stesso modo la preferenza per l’intervento del Fitd, afferma per bocca del direttore generale, Giovanni Sabatini che "non vi è stata mai per le quattro banche l'avvio di un'istruttoria formalizzata che abbia portato la Commissione Europa a esprimere una specifica valutazione contraria sull'intervento del fondo".

Su questo punto si apre un giallo. Sia il Governo che Bankitalia sostengono che sia stata l’Europa a bloccare tutto, portando così al decreto di fine novembre che ha messo in campo il Fondo di risoluzione per salvare i quattro istituti, facendo pagare il salvataggio delle banche a “5 milioni di azionisti delle banche italiane” - sottolinea l’Abi - e agli azionisti e obbligazionisti dei 4 istituti salvati. Questo, posto che, “senza il decreto avrebbero pagato anche i depositanti (sopra 100mila euro) e gli obbligazionisti ordinari" ricorda via Nazionale.

La “notizia” che danno le banche è chiara: "Se fosse intervenuto il Fondo interbancario di tutela dei depositi" nel salvataggio di Banca Marche, Banca Etruria, Carife e CariChieti "non avremmo avuto gli effetti su azionisti e obbligazionisti perché il Fondo si sarebbe fatto carico dell'intero intervento". Dato che per ora la situazione è questa, e ci sono migliaia di risparmiatori che chiedono un rimborso, Banca d’Italia, dopo aver sottolineato di aver sempre “vigilato” sulle quattro banche ora salvate, comminando anche “sanzioni pecuniarie per 8,5 milioni di euro”, lancia la sua proposta: “Vietare il collocamento delle passività più rischiose presso la clientela al dettaglio” ovvero vietare di vendere obbligazioni subordinate a dei pensionati ignari.

In futuro, infatti, la situazione sarà più complessa. Dal 2016 entrerà in vigore anche in Italia il ‘bail-in’, quindi le crisi bancarie si dovranno risolvere all’interno degli stessi istituti, aggredendo in ultima istanza, oltre ad azioni e obbligazioni, anche i depositi bancari sopra i 100 mila euro. “A fronte dei benefici – sostiene Bankitalia - il bail in può acuire, anziché mitigare, i rischi di instabilità sistemica provocati dalla crisi di singole banche. Esso può minare la fiducia, che costituisce l'essenza dell'attività bancaria; comportare un mero trasferimento dei costi della crisi dalla più vasta platea dei contribuenti a una categoria di soggetti non meno meritevoli di tutela - piccoli risparmiatori, pensionati - che in via diretta o indiretta hanno investito in passività delle banche".

Cosa ci attende in futuro quindi? Ci sono altre banche, oltre alle quattro “salvate”, a rischio fallimento? È di pochi giorni fa ad esempio l’appello del governatore del Veneto Luca Zaia al governo per “mettere in sicurezza la Popolare di Vicenza e Veneto Banca”. L’Abi non nasconde che per salvare Banca Marche, Banca Etruria, Carife e CariChieti si è data una “legnata” a un sistema dove i crediti deteriorati (dati Bankitalia) sono triplicati dal 2008 ad oggi (a fine giugno le sofferenze bancarie ammontavano a 210 miliardi di euro ed erano pari al 10,3% del totale degli impieghi). Tutta colpa della crisi, mettono in guardia le banche, ma certo l’aumento delle sofferenze nelle pance delle banche non è una buona notizia.

Dall'Associazione bancaria arriva comunque un messaggio di speranza: "Se andiamo a guardare la composizione del capitale il livello di rischiosità delle banche italiane è inferiore alla media europea. La tipicità della banca italiana è che la gran parte dell'attivo è rappresentato da finanziamenti erogati ad imprese, famiglie, P.A. Gli attivi finanziari sono molto modesti, sono il 34% contro una media europea del 38%. I titoli di Stato rappresentano circa il 14%: lo stock è cresciuto quando è esplosa la crisi del debito sovrano, quindi tra il 2011 e il 2012". Dallo scoppio della crisi finanziaria "le principali banche italiane sono state in grado di raccogliere sul mercato dei capitali - in condizioni spesso sfavorevoli - risorse per oltre 40 miliardi di euro", un irrobustimento patrimoniale che "ha permesso al sistema di fronteggiare la crisi" ma "soprattutto, è stato realizzato senza pesare sulle finanze pubbliche", risponde Bankitalia. Quindi, crediti deteriorati (di cui 195 miliardi di sofferenze) le nostre banche ne hanno molti più di quelle europee ma “non è una patologia” la situazione è legata alla congiuntura economica, dal momento che la crisi da finanziaria ha poi colpito l’economia reale. "Il nostro modello di banca tradizionale – rassicura l’Abi - focalizzata sul finanziamento dell'economia, è un modello a basso rischio“ in cui “i segnali di ripresa ancorché timidi e fragili sono confermati anche dall'andamento del credito”. Infatti, conclude l’Abi, “da gennaio a ottobre c'è stato un aumento del 14% dei finanziamenti alle imprese rispetto all'anno precedente e un aumento del 94% per le erogazioni dei mutui nello stesso periodo".

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