da: www.huffingtonpost.it/
Uno scaricabarile davanti ai 130 mila risparmiatori danneggiati
dal salvataggio di Banca Marche, Banca Etruria, Carife
e CariChieti."È colpa dell’Europa. Avremmo potuto evitarlo, ma l’Ue non ce
l’ha permesso”.
Banca d’Italia e l'Associazione Bancaria
Italiana difendono il loro operato. In audizione alla Camera sostengono che il
Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd) era pronto a intervenire, già
a luglio, per salvare le quattro banche poi salvate dal governo. Un’operazione
che, a loro parere, non sarebbe stato considerato un aiuto di Stato e che
avrebbe invece tutelato azionisti e obbligazioni.
Bankitalia lo dice chiaro e tondo, “è stata
l’Europa a non volerlo”. Per il salvataggio di Banca Marche, Banca Etruria,
Carife e CariChieti "era emersa – sostiene il capo del dipartimento
vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia, Carmelo Barbagallo - la
disponibilità del Fondo interbancario di tutela dei depositi a farsi carico di
tale aspetto, assorbendo i rischi relativi ai crediti deteriorati. L'intervento
del fondo avrebbe consentito, congiuntamente alle risorse apportate da altre
banche, di porre i presupposti per il superamento
delle crisi senza alcun sacrificio per i creditori delle quattro banche. Ciò non è stato possibile per la preclusione manifestata da uffici della commissione Europea, da noi non condivisa, che hanno ritenuto di assimilare ad aiuti di Stato gli interventi del Fondo di tutela dei depositi". Un no giudicato immotivato, tanto più perché diversamente da altri Paesi, l'Italia non ha speso un euro per salvare le banche nel pieno della crisi finanziaria.
delle crisi senza alcun sacrificio per i creditori delle quattro banche. Ciò non è stato possibile per la preclusione manifestata da uffici della commissione Europea, da noi non condivisa, che hanno ritenuto di assimilare ad aiuti di Stato gli interventi del Fondo di tutela dei depositi". Un no giudicato immotivato, tanto più perché diversamente da altri Paesi, l'Italia non ha speso un euro per salvare le banche nel pieno della crisi finanziaria.
Diverge in parte la posizione dell’Abi. Pur
sostenendo allo stesso modo la preferenza per l’intervento del Fitd, afferma
per bocca del direttore generale, Giovanni Sabatini che "non vi è stata
mai per le quattro banche l'avvio di un'istruttoria formalizzata che abbia
portato la Commissione Europa a esprimere una specifica valutazione contraria
sull'intervento del fondo".
Su questo punto si apre un giallo. Sia il
Governo che Bankitalia sostengono che sia stata l’Europa a bloccare tutto,
portando così al decreto di fine novembre che ha messo in campo il Fondo di
risoluzione per salvare i quattro istituti, facendo pagare il salvataggio delle
banche a “5 milioni di azionisti delle banche italiane” - sottolinea l’Abi - e
agli azionisti e obbligazionisti dei 4 istituti salvati. Questo, posto che,
“senza il decreto avrebbero pagato anche i depositanti (sopra 100mila euro) e
gli obbligazionisti ordinari" ricorda via Nazionale.
La “notizia” che danno le banche è chiara:
"Se fosse intervenuto il Fondo interbancario di tutela dei depositi"
nel salvataggio di Banca Marche, Banca Etruria, Carife e CariChieti "non
avremmo avuto gli effetti su azionisti e obbligazionisti perché il Fondo si
sarebbe fatto carico dell'intero intervento". Dato che per ora la
situazione è questa, e ci sono migliaia di risparmiatori che
chiedono un rimborso, Banca d’Italia, dopo aver sottolineato
di aver sempre “vigilato” sulle quattro banche ora salvate, comminando anche
“sanzioni pecuniarie per 8,5 milioni di euro”, lancia la sua proposta: “Vietare
il collocamento delle passività più rischiose presso la clientela al dettaglio”
ovvero vietare di vendere obbligazioni subordinate a dei pensionati ignari.
In futuro, infatti, la situazione sarà più
complessa. Dal 2016 entrerà in vigore anche in Italia il ‘bail-in’, quindi le
crisi bancarie si dovranno risolvere all’interno degli stessi istituti,
aggredendo in ultima istanza, oltre ad azioni e obbligazioni, anche i depositi
bancari sopra i 100 mila euro. “A fronte dei benefici – sostiene Bankitalia -
il bail in può acuire, anziché mitigare, i rischi di instabilità sistemica
provocati dalla crisi di singole banche. Esso può minare la fiducia, che
costituisce l'essenza dell'attività bancaria; comportare un mero trasferimento
dei costi della crisi dalla più vasta platea dei contribuenti a una categoria
di soggetti non meno meritevoli di tutela - piccoli risparmiatori, pensionati -
che in via diretta o indiretta hanno investito in passività delle banche".
Cosa ci attende in futuro quindi? Ci sono
altre banche, oltre alle quattro “salvate”, a rischio fallimento? È di pochi
giorni fa ad esempio l’appello del governatore del Veneto Luca Zaia al governo
per “mettere in sicurezza la Popolare di Vicenza e Veneto Banca”. L’Abi non
nasconde che per salvare Banca Marche, Banca Etruria, Carife e CariChieti si è
data una “legnata” a un sistema dove i crediti deteriorati (dati Bankitalia) sono
triplicati dal 2008 ad oggi (a fine giugno le sofferenze bancarie ammontavano a
210 miliardi di euro ed erano pari al 10,3% del totale degli impieghi). Tutta
colpa della crisi, mettono in guardia le banche, ma certo l’aumento delle
sofferenze nelle pance delle banche non è una buona notizia.
Dall'Associazione bancaria arriva comunque
un messaggio di speranza: "Se andiamo a guardare la composizione del
capitale il livello di rischiosità delle banche italiane è inferiore alla media
europea. La tipicità della banca italiana è che la gran parte dell'attivo è
rappresentato da finanziamenti erogati ad imprese, famiglie, P.A. Gli attivi
finanziari sono molto modesti, sono il 34% contro una media europea del 38%. I
titoli di Stato rappresentano circa il 14%: lo stock è cresciuto quando è
esplosa la crisi del debito sovrano, quindi tra il 2011 e il 2012". Dallo
scoppio della crisi finanziaria "le principali banche italiane sono state
in grado di raccogliere sul mercato dei capitali - in condizioni spesso sfavorevoli
- risorse per oltre 40 miliardi di euro", un irrobustimento patrimoniale
che "ha permesso al sistema di fronteggiare la crisi" ma
"soprattutto, è stato realizzato senza pesare sulle finanze
pubbliche", risponde Bankitalia. Quindi, crediti deteriorati (di cui 195
miliardi di sofferenze) le nostre banche ne hanno molti più di quelle europee
ma “non è una patologia” la situazione è legata alla congiuntura economica, dal
momento che la crisi da finanziaria ha poi colpito l’economia reale. "Il
nostro modello di banca tradizionale – rassicura l’Abi - focalizzata sul
finanziamento dell'economia, è un modello a basso rischio“ in cui “i segnali di
ripresa ancorché timidi e fragili sono confermati anche dall'andamento del
credito”. Infatti, conclude l’Abi, “da gennaio a ottobre c'è stato un aumento
del 14% dei finanziamenti alle imprese rispetto all'anno precedente e un
aumento del 94% per le erogazioni dei mutui nello stesso periodo".
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