Discorso
di Papa Francesco: la Curia Romana e il Corpo di Cristo
dal sito del Vaticano
[..] E’ bello pensare alla Curia Romana
come a un piccolo modello della Chiesa, cioè come a un “corpo” che cerca
seriamente e quotidianamente di essere più vivo, più sano, più armonioso e più
unito in sé stesso e con Cristo.
In realtà, la Curia Romana è un corpo
complesso, composto da tanti Dicasteri, Consigli, Uffici, Tribunali,
Commissioni e da numerosi elementi che non hanno tutti il medesimo compito, ma
sono coordinati per un funzionamento efficace, edificante, disciplinato ed
esemplare, nonostante le diversità culturali, linguistiche e nazionali dei suoi
membri.
Comunque, essendo la Curia un corpo
dinamico, essa non può vivere senza nutrirsi e senza curarsi. Difatti, la Curia
- come la Chiesa - non può vivere senza avere un rapporto vitale, personale,
autentico e saldo con Cristo. Un membro della Curia che non si alimenta
quotidianamente con quel Cibo diventerà un burocrate (un formalista, un
funzionalista, un mero impiegato): un tralcio che si secca e pian piano muore e
viene gettato via. La preghiera quotidiana, la partecipazione assidua ai
Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla Riconciliazione, il
contatto quotidiano con la Parola di Dio e la spiritualità tradotta in carità
vissuta sono l’alimento vitale per ciascuno di noi. Che sia chiaro a tutti noi
che senza di Lui non possiamo fare nulla (cfr Gv 15,5).
Di conseguenza, il rapporto vivo con Dio
alimenta e rafforza anche la comunione con gli altri, cioè tanto più siamo
intimamente congiunti a Dio tanto più siamo uniti tra di noi, perché lo Spirito
di Dio unisce e lo spirito del maligno divide.
La Curia è chiamata a migliorarsi, a
migliorarsi sempre e a crescere in comunione, santità e sapienza per realizzare
pienamente la sua missione. Eppure essa, come ogni corpo umano, è esposta anche
alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità. E qui vorrei menzionare
alcune di queste probabili malattie, “malattie curiali”. Sono malattie più
abituali nella nostra vita di Curia. Sono malattie e tentazioni che
indeboliscono il nostro servizio al Signore. Credo che ci aiuterà il “catalogo”
delle malattie – sull’esempio dei Padri del deserto, che facevano questi
cataloghi – di cui parliamo oggi: ci aiuterà a prepararci al Sacramento della
Riconciliazione, che sarà un bel passo di tutti noi per prepararci al Natale.
1. La
malattia del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile”,
trascurando i necessari e abituali controlli. Una Curia che non si autocritica,
che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo.
Un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante
persone, delle quale alcuni forse pensavano di essere immortali, immuni e
indispensabili! È la malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di
vivere eternamente (cfrLc 12,13-21), e anche di coloro che si trasformano
in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti. Essa
deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal
narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e non vede
l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei più deboli e
bisognosi. L’antidoto a questa epidemia è la grazia di sentirci peccatori e di
dire con tutto il cuore: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo
fare» (Lc 17,10).
2. La
malattia del “martalismo” (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità: ossia
di coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte
migliore”: il sedersi ai piedi di Gesù (cfr Lc 10,38-42). Per questo Gesù ha
chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’” (cfr Mc 6,31), perché trascurare
il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione. Il tempo del riposo,
per chi ha portato a termine la propria missione, è necessario, doveroso e va
vissuto seriamente: nel trascorrere un po’ di tempo con i famigliari e nel
rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica; occorre
imparare ciò che insegna il Qoèlet: che “c’è un tempo per ogni cosa” (cfr 3,1).
3.
C’è anche la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale: ossia di
coloro che posseggono un cuore di pietra e la “testa dura” (cfr At 7,51); di
coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore, la vivacità e
l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e
non “uomini di Dio” (cfr Eb 3,12). È pericoloso perdere la sensibilità umana
necessaria per piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che
gioiscono! È la malattia di coloro che perdono “i sentimenti di Gesù” (cfr Fil
2,5) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si indurisce e diventa
incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cfr Mt 22,34-40).
Essere cristiano, infatti, significa “avere gli stessi sentimenti che furono in
Cristo Gesù” (Fil 2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di
generosità.
4. La
malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo: quando l'apostolo pianifica
tutto minuziosamente e crede che facendo una perfetta pianificazione le cose
effettivamente progrediscano, diventando così un contabile o un commercialista.
Preparare tutto bene è necessario, ma senza mai cadere nella tentazione di
voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo, che rimane sempre
più grande, più generosa di ogni umana pianificazione (cfr Gv 3,8). Si cade in
questa malattia perché «è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie
posizioni statiche e immutate. In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo
Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di
addomesticarlo – addomesticare lo Spirito Santo! – … Egli è freschezza,
fantasia, novità».
5. La
malattia del cattivo coordinamento: quando le membra perdono la comunione tra
di loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza,
diventando un’orchestra che produce chiasso, perché le sue membra non
collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra. Quando il piede
dice al braccio: “non ho bisogno di te”, o la mano alla testa: “comando io”,
causando così disagio e scandalo.
6.
C’è anche la malattia dell’“alzheimer spirituale”: ossia la dimenticanza della
propria storia di salvezza, della storia personale con il Signore, del «primo
amore» (Ap 2,4). Si tratta di un declino progressivo delle facoltà spirituali
che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla
persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma,
vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie.
Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il
Signore; in coloro che non hanno il senso “deuteronomico” della vita; in coloro
che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e
manie; in coloro che costruiscono intorno a sé muri e abitudini diventando,
sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani.
7. La
malattia della rivalità e della vanagloria: quando l’apparenza, i colori delle
vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita,
dimenticando le parole di san Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria,
ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se
stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil
2,3-4). È la malattia che ci porta ad essere uomini e donne falsi e a vivere un
falso misticismo e un falso “quietismo”. Lo stesso San Paolo li definisce
«nemici della Croce di Cristo» perché «si vantano di ciò di cui dovrebbero
vergognarsi e non pensano che alle cose della terra» (Fil 3,18.19).
8. La
malattia della schizofrenia esistenziale. E’ la malattia di coloro
che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del
progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono
colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio
pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto
con la realtà, con le persone concrete. Creano così un loro mondo parallelo,
dove mettono da parte tutto ciò che insegnano severamente agli altri e iniziano
a vivere una vita nascosta e sovente dissoluta. La conversione è alquanto
urgente e indispensabile per questa gravissima malattia (cfr Lc 15,11-32).
9. La
malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi. Di questa
malattia ho già parlato tante volte, ma mai abbastanza. E’ una malattia grave,
che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere, e si
impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come
satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri
colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche, che non avendo
il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle. San Paolo ci
ammonisce: «Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere
irreprensibili e puri» (Fil 2,14-15). Fratelli, guardiamoci dal terrorismo
delle chiacchiere!
10. La
malattia di divinizzare i capi. E’ la malattia di coloro che corteggiano i
Superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza. Sono vittime del
carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non Dio (cfr Mt 23,8-12).
Sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono
ottenere e non a quello che devono dare. Persone meschine, infelici e ispirate
solo dal proprio fatale egoismo (cfr Gal 5,16-25). Questa malattia potrebbe
colpire anche i Superiori quando corteggiano alcuni loro collaboratori per
ottenere la loro sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, ma il
risultato finale è una vera complicità.
11. La
malattia dell’indifferenza verso gli altri. Quando ognuno pensa solo a sé
stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più
esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi meno esperti.
Quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si tiene per sé invece di
condividerla positivamente con gli altri. Quando, per gelosia o per scaltrezza,
si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo.
12. La
malattia della faccia funerea, ossia delle persone burbere e arcigne, le
quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia,
di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con
rigidità, durezza e arroganza. In realtà, la severità teatrale e il pessimismo sterile
sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi
di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia
ovunque si trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e
contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito!
Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pieno di humor, e persino
autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili.
Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo! Ci farà molto bene recitare
spesso la preghiera di san Thomas More: io la prego tutti i giorni, mi fa bene.
13. La
malattia dell’accumulare: quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto
esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma
solo per sentirsi al sicuro. In realtà, nulla di materiale potremo portare con
noi, perché “il sudario non ha tasche” e tutti i nostri tesori terreni – anche
se sono regali – non potranno mai riempire quel vuoto, anzi lo renderanno
sempre più esigente e più profondo. A queste persone il Signore ripete: «Tu dici:
Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere
un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo ... Sii dunque zelante e
convertiti» (Ap 3,17.19). L’accumulo appesantisce solamente e rallenta il
cammino inesorabilmente! E penso a un aneddoto: un tempo, i gesuiti spagnoli
descrivevano la Compagnia di Gesù come la “cavalleria leggera della Chiesa”.
Ricordo il trasloco di un giovane gesuita che, mentre caricava su di un camion
i suoi tanti averi: bagagli, libri, oggetti e regali, si sentì dire, con un
saggio sorriso, da un vecchio gesuita che lo stava ad osservare: “Questa
sarebbe la ‘cavalleria leggera della Chiesa’?”. I nostri traslochi sono un
segno di questa malattia.
14. La
malattia dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte
di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso. Anche questa
malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con il passare del tempo
schiavizza i membri diventando un cancro che minaccia l’armonia del Corpo e causa
tanto male – scandali – specialmente ai nostri fratelli più piccoli.
L’autodistruzione o il “fuoco amico” dei commilitoni è il pericolo più subdolo.
È il male che colpisce dal di dentro; e, come dice Cristo, «ogni regno diviso
in se stesso va in rovina» (Lc 11,17).
15. E
l’ultima: la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi, quando
l’apostolo trasforma il suo servizio in potere, e il suo potere in merce per
ottenere profitti mondani o più poteri. è la malattia delle persone che cercano
insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di
calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e
sulle riviste. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri.
Anche questa malattia fa molto male al Corpo, perché porta le persone a
giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale scopo, spesso in
nome della giustizia e della trasparenza! E qui mi viene in mente il ricordo di
un sacerdote che chiamava i giornalisti per raccontare loro – e inventare –
delle cose private e riservate dei suoi confratelli e parrocchiani. Per lui
contava solo vedersi sulle prime pagine, perché così si sentiva potente e
avvincente, causando tanto male agli altri e alla Chiesa. Poverino!
Fratelli, tali malattie e tali tentazioni
sono naturalmente un pericolo per ogni cristiano e per ogni curia, comunità,
congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale, e possono colpire sia a
livello individuale sia comunitario.
Occorre chiarire che è solo lo Spirito
Santo – l’anima del Corpo Mistico di Cristo, come afferma il Credo
Niceno-Costantinopolitano: «Credo... nello Spirito Santo, Signore e vivificatore»
– a guarire ogni infermità. È lo Spirito Santo che sostiene ogni sincero sforzo
di purificazione e ogni buona volontà di conversione. È Lui a farci capire che
ogni membro partecipa alla santificazione del corpo e al suo indebolimento. È
Lui il promotore dell’armonia: «Ipse harmonia est», dice san Basilio.
Sant’Agostino ci dice: «Finché una parte aderisce al corpo, la sua guarigione
non è disperata; ciò che invece fu reciso, non può né curarsi né guarirsi».
La guarigione è anche frutto della
consapevolezza della malattia e della decisione personale e comunitaria di
curarsi sopportando pazientemente e con perseveranza la cura.
Dunque, siamo chiamati – in questo tempo di
Natale e per tutto il tempo del nostro servizio e della nostra esistenza – a
vivere «secondo la verità nella carità, [cercando] di crescere in ogni cosa
verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato
e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia
propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se
stesso nella carità» (Ef 4,15-16).
Cari fratelli!
Una volta ho letto che i sacerdoti sono
come gli aerei: fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che
volano. Molti criticano e pochi pregano per loro. È una frase molto simpatica
ma anche molto vera, perché delinea l’importanza e la delicatezza del nostro
servizio sacerdotale e quanto male potrebbe causare un solo sacerdote che
“cade” a tutto il corpo della Chiesa.
Dunque, per non cadere in questi giorni in
cui ci prepariamo alla Confessione, chiediamo alla Vergine Maria, Madre di Dio
e Madre della Chiesa, di sanare le ferite del peccato che ognuno di noi porta
nel suo cuore e di sostenere la Chiesa e la Curia affinché siano sane e
risanatrici, sante e santificatrici, a gloria del suo Figlio e per la salvezza
nostra e del mondo intero. Chiediamo a Lei di farci amare la Chiesa come l’ha
amata Cristo, suo Figlio e nostro Signore, e di avere il coraggio di
riconoscerci peccatori e bisognosi della sua Misericordia e di non aver paura
di abbandonare la nostra mano tra le sue mani materne.
Tanti auguri di un santo Natale a tutti voi, alle vostre famiglie e ai vostri collaboratori, E, per favore, non dimenticate di pregare per me! Grazie di cuore!
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