da: La Stampa
Disoccupazione
mai così alta nella storia d’Italia
di Luca
Ricolfi
È incredibile, la capacità dei governanti
di manipolare i fatti pur di non dirci come vanno le cose. Negli ultimi giorni
l’Istat ha fornito i dati sulle forze di lavoro nel terzo trimestre, e ha
anticipato i dati provvisori di ottobre. Dati drammatici, ad avere il coraggio
di guardarli in faccia. E invece no, immediatamente dopo la diffusione delle
cifre Istat si è scatenata la corsa a travisarli. E’ così che abbiamo appreso
che i dati trimestrali dell’Istat ci presentano «una sostanziale e progressiva
crescita degli occupati nell’ultimo anno», quantificata in 122 mila occupati in
più. E che anche l’incremento della disoccupazione, pari a 166 mila disoccupati
in più, non ci deve preoccupare perché «va messo in relazione alla crescita del
numero di persone che cercano lavoro». Come dire: se aumenta il tasso di
disoccupazione è perché la gente è meno scoraggiata e «più persone tornano a
cercare lavoro».
Sui trucchi usati per manipolare i fatti
non vale neppure la pena soffermarsi, tanto sono ingenui e vecchi (alcuni li
insegniamo all’università, sotto il titolo «come si fa una cattiva ricerca»).
Sui fatti, invece, è il caso di riflettere un po’.
Occupati
in termini reali
Primo fatto: l’occupazione in termini reali
sta diminuendo. Che cos’è l’occupazione in termini reali? E’ la quantità di
occupati al netto della cassa integrazione. Se, per evitare le distorsioni
della stagionalità, confrontiamo l’ultimo dato disponibile (ottobre 2014) con
quello di 12 mesi prima (ottobre 2013), la situazione è questa: gli occupati
nominali (comprensivi dei cassintegrati) sono rimasti praticamente invariati
(l’Istat fornisce una diminuzione di 1000 unità), le ore di cassa integrazione
sono aumentate in una misura che corrisponde a circa 140 mila posti di lavoro
bruciati. Dunque negli ultimi 12 mesi l’occupazione reale è diminuita.
Apparentemente la diminuzione è di circa
140 mila unità, ma si tratta di una valutazione ancora eccessivamente
ottimistica: gli ultimi dati Istat, relativi al terzo trimestre 2014, mostrano
che, sul totale degli occupati, si stanno riducendo sia la quota di lavoratori
a tempo pieno sia la quota di lavoratori italiani. Il che, tradotto in termini
concreti, significa che aumentano sia il peso dei posti di lavoro part-time
«involontari» (donne che lavorano poche ore, ma non per scelta) sia il peso dei
posti di lavoro di bassa qualità, tipicamente destinati agli immigrati.
I
senza lavoro
Secondo fatto: la disoccupazione sta
aumentando. I disoccupati erano 3 milioni e 124 mila nell’ottobre del 2013,
sono saliti a 3 milioni e 410 mila nell’ottobre del 2014. L’aumento è di ben
286 mila unità, di cui 130 mila nei 4 mesi del governo Letta, e 156 mila negli
8 mesi del governo Renzi. La spiegazione secondo cui l’aumento sarebbe dovuto a
una maggiore fiducia, che farebbe diminuire il numero di lavoratori
scoraggiati, riprende una vecchia teoria degli Anni 60 ma è incompatibile con i
meccanismi attuali del mercato del lavoro italiano, che mostrano con molta
nitidezza precisamente quel che suggerisce il senso comune: gli aumenti di
disoccupazione dipendono dal peggioramento, e non dal miglioramento, delle
condizioni del mercato del lavoro.
Sulla disoccupazione, tuttavia, ci sarebbe
qualcosa da aggiungere. In questi giorni sentiamo ripetere, dai giornali e
dalle tv, che il tasso di disoccupazione non solo è ulteriormente aumentato
rispetto a 12 mesi fa (1 punto in più), non solo è molto alto in assoluto (13,2%),
non solo è fra i più alti dell’Eurozona, ma sarebbe anche il più alto degli
ultimi 37 anni, ossia dal 1977.
I
dati del 1977
Ebbene, anche questa, già di per sé una
notizia drammatica, detta così è ancora troppo ottimistica. Se dici che siamo
al massimo storico dal 1977, o che «siamo tornati al 1977», qualcuno potrebbe
supporre che nel 1977 il tasso di disoccupazione italiano fosse più alto di
oggi, o perlomeno fosse altrettanto alto.
Non è così. Nel 1977 il tasso di
disoccupazione era molto minore rispetto ad oggi (7,2% contro 13,2%). La
ragione per cui si continua a parlare del 1977 come una sorta di spartiacque è
che la serie storica dell’Istat con cui attualmente lavoriamo parte dal 1977.
Ma questo non significa che sugli anni prima del 1977 non si sappia niente.
Prima del 1977 c’era la vecchia serie 1959-1976. E prima ancora c’erano i dati
del collocamento, della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali, dei
censimenti demografici, a partire da quello del 1861, anno dell’unità d’Italia.
Tutte fonti meno sofisticate di quelle di oggi, ma sufficienti a darci un’idea
degli ordini di grandezza. Mi sono preso la briga di controllare queste fonti,
nonché i notevoli lavori che sono stati pubblicati sui livelli di
disoccupazione dal 1861 a oggi e la conclusione è tragica.
Unità
d’Italia e dopoguerra
Mai, nella storia d’Italia, il tasso di
disoccupazione è stato ai livelli di oggi. Altroché 1977. La disoccupazione era
più bassa di oggi anche nel periodo 1959-1976, per cui abbiamo una serie
storica Istat. Era più bassa anche negli anni della ricostruzione, dal 1946 al
1958. Ed era più bassa durante il fascismo, persino negli anni dopo la crisi
del 1929. Quanto al periodo che va dall’unità d’Italia all’epoca giolittiana, è
difficile fare paragoni con l’oggi, se non altro perché è proprio allora che
prende lentamente forma il concetto moderno di disoccupazione, ma basta
un’occhiata ai censimenti e agli studi che li hanno analizzati (splendidi
quelli di Manfredi Alberti, borsista Istat) per rendersi conto che, comunque si
definisca il fenomeno, siamo sempre abbondantemente al di sotto dei livelli
attuali.
Il
governo Renzi
Di tutto questo Renzi e i suoi non hanno
nessunissima colpa. Il legno storto del mercato del lavoro non si raddrizza in
pochi mesi, e forse neppure in parecchi anni. Quel che dispiace, però, è che
anche le nostre giovani marmotte, giunte
al potere, si arrampichino sugli specchi come tutti gli anziani paperi che le hanno precedute. Come cittadino, preferirei un governo che, sull’occupazione e la disoccupazione, ci dicesse la verità, e
mostrasse con i fatti, non con le parole, di aver capito il dramma del lavoro
in Italia. Quel che vedo, invece, è un ceto
politico che irride i sindacati, si è mostrato del tutto inadeguato sul progetto europeo «Garanzia
giovani», stanzia pochissimi soldi per ridurre il costo del lavoro (1,9
miliardi nel 2015), mentre ne stanzia tantissimi sul bonus da 80 euro, misura
meravigliosa ma che premia solo chi un lavoro già ce l’ha.
Il guaio, purtroppo, è sempre quello. In Italia
la sinistra, oggi come ieri, protegge innanzitutto i lavoratori già garantiti.
La destra ha da sempre un occhio di riguardo per i lavoratori autonomi. Quanto
a tutti gli altri, precari, lavoratori in nero, giovani e donne fuori dal
mercato del lavoro, nessuno se ne preoccupa sul serio, e meno che mai i
sindacati. Fino a quando?
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