martedì 2 dicembre 2014

Marco Travaglio: “Se non ora quando”


da: Il Fatto Quotidiano

Sabato sera, quando s’è diffusa la voce di un’altra ventina di espulsi nel M5S, ero a Merano, invitato dal locale meetup 5Stelle a parlare della trattativa Stato-mafia.
Cerco le parole per descrivere il volto di quei ragazzi quando li ho informati degli ultimi boatos da Roma, ma non le trovo. Sono i famosi “ragazzi meravigliosi” di cui parla sempre Grillo, sia in originale sia nell’imitazione di Maurizio Crozza. Ed esistono davvero, e sono davvero meravigliosi. A Merano preparano le primarie online per scegliere il candidato sindaco (in primavera si vota sia a Merano sia a Bolzano) e intanto supportano le battaglie del loro consigliere alla Provincia autonoma che consulta gli iscritti prima di ogni votazione in Consiglio. Alla notizia delle nuove, minacciate espulsioni, il commento più ricorrente era questo: “Ecco, noi ci arrabattiamo dalla mattina alla sera, dedicando il nostro tempo libero a inventare iniziative che avvicinino alla politica una cittadinanza sempre più sfiduciata e impigrita, rimettendoci di tasca nostra perché siamo e vogliamo restare senza un soldo pubblico, e poi basta una notizia da Roma, o da Milano, o da Genova per rovinare mesi e mesi di duro lavoro”. Tutti increduli dinanzi a un sogno che si sta trasformando nel peggiore degli incubi.

Intanto sulla email del Fatto arrivano lettere di militanti, compresi i fondatori di alcuni meetup fin dal 2005, che se ne vanno. Il nostro giornale, checché se ne dica, non è mai stato l’organo dei 5Stelle, come non lo era dell’Idv o di Ingroia o di altri partiti (tipo quello, tutto presunto, “delle procure”). Non dobbiamo nulla a nessuno e nessuno deve nulla a noi. Ma sappiamo benissimo che la nostra lettura del potere in Italia e dei sistemi criminali retrostanti era ed è condivisa da tanti cittadini che, negli anni, hanno riposto le loro speranze di cambiamento – spesso poi deluse – in quelle forze politiche, dopo aver tifato per Mani Pulite e la Primavera di Palermo, poi confidato nell’Ulivo di Prodi modello-base, poi partecipato alla stagione dei girotondi e dei movimenti (sfociata ancora tre anni fa nella bella battaglia vinta dei referendum contro l’acqua privata, il nucleare e l’impunità ad personam), e ultimamente – perché no – accarezzato il sogno renziano.
È a questi cittadini che si è sempre rivolto il Fatto: non per aderire a questa o quella sigla, ma per incoraggiare politici onesti e non ricattabili a rompere quel grumo di interessi illegali e ricatti incrociati che paralizza la vita pubblica e condanna l’economia nazionale alla crescita zero. Il merito di Grillo e Casaleggio è stato offrire a tanti italiani, perlopiù giovanissimi, uno strumento organizzato per impegnarsi e provarci. Ora il movimento, dopo le crisi tipiche della crescita, è diventato grande, ma i suoi fondatori sembrano non riconoscerlo più. Come i padri gretti che diventano incapaci di trattare da adulti i figli maggiorenni e, anziché accompagnarli con l’esperienza in un percorso sempre più autonomo, li segregano in casa per non perderne il controllo. O li fanno interdire. O li diseredano.
La nomina del direttorio a cinque (a parte il metodo: molto meglio farlo votare dagli eletti) era un primo segnale di apertura, subito purtroppo seguito da due di chiusura: l’estromissione di Artini e Pinna dal gruppo della Camera senza neppure il voto dei deputati (che peraltro avrebbe dovuto arrivare prima di quello del blog) e la minaccia di fare altrettanto con 15, 17, o 20 parlamentari accusati di non si sa bene cosa. Già era assurdo espellere due deputati accusati di “tenersi i soldi” (avevano solo rendicontato la restituzione in un luogo diverso dal sacro blog). Ma ora violare persino le proprie regole sulle espulsioni è pura provocazione, che taglia le gambe al direttorio appena nominato. Il tutto nel momento (la crisi di consensi del renzismo, l’onda nera del fascioleghismo, l’elezione del capo dello Stato, robette così) che richiederebbe una presenza ancor più forte dell’opposizione. Non si può neppure dire: “fermatevi prima che sia troppo tardi”. Perché è già troppo tardi.

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