mercoledì 17 marzo 2021

Il caso AstraZeneca rivela i problemi della ricerca scientifica in Italia

 


da: https://www.editorialedomani.it/ - di Paolo Vineis

Non ho idea di come faranno le autopsie a stabilire un eventuale nesso causale tra il vaccino AstraZeneca e la tromboembolia (come ordinato dalla magistratura in Italia), visto che è improbabile che il vaccino lasci tracce anatomo-patologiche. Sono molto più avanti israeliani e inglesi, che dispongono di sistemi informativi che consentono di stabilire se chi muore dopo la vaccinazione è morto in misura maggiore e di cause diverse rispetto a chi non è stato vaccinato.

È prevedibile che l’Italia contribuirà meno di altri paesi, in particolare il Regno Unito, alla ricerca epidemiologica su Sars-CoV-2. Partiamo subito da un esempio. Quello che sappiamo sull’efficacia dei vaccini non deriva solo dai grandi trial condotti dalle ditte produttrici (con generosi finanziamenti pubblici), ma anche da studi sul campo molto tempestivi condotti nel Regno Unito.

Quando si dice che i vaccini Pfizer e AstraZeneca hanno all’incirca lo stesso effetto e entrambi sono attivi anche sopra i 65 anni, facciamo riferimento a due articoli (attualmente sotto forma di preprint presso Lancet) che hanno legato tra loro diverse basi di dati: gli elenchi dei vaccinati, i dati degli ospedali, le cartelle cliniche dei medici di medicina generale, i registri di mortalità e altre ancora.

Il problema in Italia

Questi lavori sono stati svolti in un periodo cha va dai primi di dicembre e metà febbraio e sono stati diffusi come pre-print alla fine di febbraio-primi giorni di marzo (cioè in tempi brevissimi). Questo esempio (tra tanti relativi al Regno Unito) ci dice diverse cose:

1. esistono archivi automatizzati di dati vaccinali e clinici;

2. questi archivi possono essere rapidamente collegati tra loro usando dati nominativi;

3. i problemi etici e autorizzativi sono stati rapidamente affrontati e risolti. In altre parole, si bada all’obiettivo e non solo alla forma.

Perché questo in Italia non succede? Perché non si dà nessuna delle tre condizioni di cui sopra. Gli archivi sono multipli e disorganici, i sistemi informativi sono frammentari, e soprattutto esistono impedimenti legali e burocratici di ogni tipo all’uso delle informazioni.

La frammentazione scientifica

Si parla tanto di varianti del virus, ma se sappiamo che esiste una variante “inglese” è perché in Inghilterra hanno sequenziato precocemente i tamponi grazie a un finanziamento speciale del governo (10 per cento di tutti i tamponi). Tutte le congetture e i commenti che si fanno in Italia sono basati su un numero molto limitato di sequenziamenti organizzati dall’Istituto superiore di sanità, e soprattutto sulle conoscenze provenienti dal Regno Unito fin da dicembre.

L’Italia è affetta da una carenza cronica di investimenti nella ricerca scientifica, ma c’è un problema più di fondo e questo è il momento per affrontarlo. Il problema è la frammentazione, di cui la regionalizzazione e la riforma del titolo quinto della Costituzione (con il suo impatto sui sistemi sanitari) sono solo una delle cause.

Riguardo ai sistemi informativi nella pubblica amministrazione, e in Sanità in particolare, questo è il momento per parlarne e fare piani di riorganizzazione, considerati il ruolo e l’esperienza del ministro Vittorio Colao.

Non solo non esiste una tradizione di “record linkage” nel servizio sanitario, ma soprattutto sono le procedure di autorizzazione per l’accesso ai dati che sono estremamente farraginose. I linkage nel Regno Unito sono attuati con procedure consolidate e non richiedono continue approvazioni ad hoc di funzionari regionali e di comitati etici.

Là dove alcuni di noi hanno tentato linkage analoghi (come scrive Sabelli su Scienza in rete) non si è ancora giunti a un risultato dopo più di sei mesi. Anche dove (negli Stati Uniti) non esistono possibilità diffuse di record linkage, vengono tuttavia rapidamente condotte ricerche basate su raccolte ad hoc di informazioni.

La cultura della ricerca

Un esempio è un recente studio che ha indagato, tramite interviste, le modalità con cui si erano infetti ragazzi in età scolare positivi al tampone e ragazzi negativi. La conclusione, estremamente rilevante, è stata che il contagio non era avvenuto a scuola ma nei luoghi di ritrovo (questo non deve indurre a pensare che le attuali chiusure delle scuole in Italia siano inutili, visto che ci troviamo oggi di fronte alla diffusione della aggressiva variante inglese).

In Italia purtroppo la cultura della ricerca è largamente assente nella pubblica amministrazione, inclusi i servizi di prevenzione. Spesso non si sa da dove vengono le prove e non si considera che solo prove scientifiche possono sorreggere le decisioni. Si preferisce bloccare le iniziative sulla base di preoccupazioni di natura legale.

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