mercoledì 24 marzo 2021

Sandra Bonsanti: Colpevoli

 

 

Gelli, Andreotti e la P2 visti da vicino

 

Questo libro

La scoperta non fu una sorpresa, era una piaga che già avevamo dentro di noi e spesso faceva male. Per anni, decenni, si è poi continuato a raccontare che c’era uno Stato, il nostro, e dei servitori infedeli, deviati. Quella definizione bastava a tracciare una linea di confine: di qua i fedeli, di là i deviati.

Mezzo secolo dopo (quando il Covid ci ha imposto di guardare bene al nostro passato prima di lasciare tutto, da un attimo all’altro, in eredità ad altre generazioni che ci avrebbero chiesto conto di cosa avessimo fatto dell’Italia libera che ci era stata consegnata), abbiamo avuto le conoscenze, i mezzi, le testimonianze per capire che quel confine non c’è. Il nostro Stato è proprio quello. Uno Stato deviato. Uno Stato infedele. Per essere più precisi, uno Stato fedele a quello che Gustavo Zagrebelsky ha chiamato «piduismo perenne». Ovvero «l’affermazione di una gerarchia pervertita e brutale di fattori della vita sociale: pervertimento nel quale i deboli hanno tutto da perdere».

I deboli sono soprattutto gli innocenti, le vittime dello Stato infedele. Sono i morti nei treni, nelle stazioni, per le strade della nostra Repubblica. I cittadini che non tornavano a casa la sera e lasciavano nel lutto e nel dolore famiglie distrutte. Sono magistrati, forze dell’ordine, servi fedeli di uno Stato infedele. Sono pagine di storia chiuse in fretta, senza verità.

Ma allora almeno che si sappia! Nell’ombra, nella nebbia, nel segreto che solo a tratti era consentito squarciare, sono cresciuti e hanno messo radici la deviazione e l’inganno. Norberto Bobbio e pochi altri maestri avevano intuito. Tornando indietro di due secoli, anche Giuseppe Mazzini si era posto il problema e aveva auspicato per l’Italia un futuro senza segreti.

Nel gennaio del 1995 con Maurizio De Luca e Corrado Stajano mettemmo insieme come primo numero delle edizioni di Libera di don Luigi Ciotti un dossier intitolato Il caso Mandalari. Nella premessa scrivevamo:

Quando, all’alba del 13 dicembre 1994, gli uomini della squadra mobile di Palermo hanno perquisito la casa e gli uffici di Giuseppe Mandalari hanno trovato di tutto: matrici di assegni e libri massonici, videocassette sulle elezioni del ’94 e un appunto con la scritta «scaletta per l’interrogatorio G.I. Giovanni Falcone»; tessere di riconoscimento della massoneria e biglietti di propaganda elettorale per Enrico La Loggia (oggi presidente dei senatori di Forza Italia), Giovanni Miccichè (sottosegretario ai Trasporti nel governo Berlusconi) e Silvio Berlusconi; fotocopie di atti della Commissione P2 […]. Uno spaccato molto eloquente, indicativo delle tante e complesse attività del ragionier Mandalari, cominciate agli inizi degli anni Settanta nell’amicizia e negli affari con i corleonesi, proseguite all’ombra delle logge massoniche e continuate fino a oggi.

Questo libro nasce dall’esigenza di trovare una risposta alla domanda: sarebbe stato possibile fermare il meccanismo del segreto prima che lo Stato diventasse uno Stato infedele? E, nel caso in cui la risposta fosse affermativa, allora chi sono i responsabili, se questo non è avvenuto? La responsabilità li trasforma automaticamente in colpevoli?

Purtroppo le cose non si capiscono, non si riconoscono, nel momento in cui accadono, ma tempo dopo. Raramente la comprensione di un fatto è immediata, a meno che non sia vissuta in diretta, che anche tu ne sia protagonista, e anche in questo caso non tutto è automatico. I personaggi protagonisti di questa storia erano molto esperti, attenti e pieni di risorse anche economiche. Questo libro non indica colpevoli con i loro nomi e cognomi, spesso si tratta di uomini che hanno avuto per tanti anni il potere e avrebbero potuto – sì, avrebbero potuto – fermare lo Stato deviato.

Questo libro vorrebbe che facessimo nostro un ammonimento lasciato sulla propria scrivania dal senatore repubblicano Giovanni Ferrara, che il 30 ottobre 1984 fu incaricato di intervenire in aula sul caso Andreotti-Sindona: «In Italia la libertà è abbastanza vecchia da essere dimenticata e troppo giovane per essere forte».

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