da: La Stampa
Il
caso Pizzarotti e la prima decisione da leader presa da Davide Casaleggio
Scavalcate
le remore di Di Maio e la linea attendista di Di Battista
di Francesco
Maesano
Quando alle tre del pomeriggio di ieri (13
maggio) Federico Pizzarotti ha smesso di essere un sindaco Cinquestelle, alla
Casaleggio Associati s’è chiusa una storia complicata, tanto politica quanto
personale. Quattro anni di
incomprensioni col primo cittadino di Parma sono finiti così, con una
sospensione che è già, di fatto, un’espulsione senza appello. Un rapporto logorato dagli scontri
sull’inceneritore mai chiuso, dalle dure polemiche pubbliche sulla gestione del Movimento. E ora questo
avviso di garanzia taciuto, a sentire i vertici M5S, o impossibile da
comunicare, secondo la ricostruzione di Pizzarotti che ieri ha pubblicato i
messaggi inviati al direttorio nei quali cercava di prendere contatti senza
ricevere risposta.
A metterlo
alla porta è stato Davide, figlio del cofondatore del Movimento, che per
farlo ha scavalcato ogni possibile remora di chi nel M5S
ha pensato fino
all’ultimo che convenisse tenere basse tensioni e attenzioni su Parma ora che
la campagna per le amministrative sta entrando nei venti giorni finali.
Primo tra loro Luigi Di Maio, che da quando si è installato a capo del direttorio
ha sempre mediato per scongiurare
nuove cacciate come nelle burrascose fasi iniziali della legislatura.
Anche stavolta il vicepresidente della Camera ha tenuto una linea attendista,
che ha retto appena un giorno, nella speranza che tanto a Milano quanto tra i
parlamentari più ortodossi svanisse presto la voglia di sventolare il
cartellino rosso contro l’odiato Pizzarotti. Ma su questo punto, che come si
diceva è tanto politico quanto personale, è stato scavalcato. Come anche Alessandro Di Battista che ieri a La
Spezia si è lasciato sfuggire un «potevano aspettare dopo le elezioni per
questo provvedimento» pur aggiungendo
che «Pizzarotti per me è come se
fosse fuori. Nogarin invece è un
galantuomo, lo difenderemo fino all’ultimo».
E invece, nonostante i vertici parlamentari
sperassero in un atteggiamento prudente, nella notte tra giovedì e venerdì la
decisione era già presa, spiegata poi in un lungo post serale che ammetteva
l’infelicità della scelta di tempo, pur ribadendo la necessità di chiudere i
rapporti col sindaco. Casaleggio jr,
che già nel pomeriggio del giorno precedente aveva fatto scrivere al sindaco di
Parma per chiedergli di produrre la documentazione relativa all’accusa di abuso
d’ufficio, è andato fino alle estreme conseguenze. Ad appoggiarlo nella
decisione c’era il candidato sindaco di
Bologna, Max Bugani, da poco entrato nell’associazione Rousseau, oltre ai
parlamentari più ortodossi, quelli che nelle chat interne si rivolgono spesso a
Roberto Fico per lamentarsi della
nuova linea pragmatica che sta prendendo il M5S.
Ora a Pizzarotti non restano molte strade.
Se vuole provare a confermarsi sindaco della città ducale dovrà mettere in moto
il cantiere della lista civica e sperare di chiudere un accordo col Pd locale.
Alle elezioni manca un altro anno e per ora il gruppo consiliare gli ha
rinnovato la fiducia. Ma la cacciata del sindaco ribelle dal Movimento avrà
qualche conseguenza anche a Roma. Ieri la senatrice Bulgarelli, vicina a
Pizzarotti, si è sfogata scrivendo che «oggi il partito 5 stelle esulta e oggi
il Movimento 5 stelle muore un altro po’. Io sto nel Movimento 5 stelle e
rifiuto il partito». Ora gli ultimi critici che come lei erano rimasti nei
gruppi parlamentari in attesa di capire se Pizzarotti sarebbe riuscito a
ricucire con i vertici, potrebbero uscire allo scoperto e salutare il gruppo.
L’ultimo esodo che Di Maio e i suoi si sarebbero risparmiati volentieri.
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