da: Corriere della Sera - di Silvia Vegetti Finzi
Difficile per un adulto comprendere le emozioni di bambini, come quelli del Parco Verde di Caivano che, nonostante l’età anagrafica, tali non sono e forse non sono mai stati.
Con i coetanei hanno condiviso la
condizione infantile caratterizzata dalla dipendenza dai genitori, dalla mamma
in particolare e dagli adulti in generale. Una dipendenza indotta
dall’immaturità e dalla fragilità di ogni nuovo nato, incapace di sopravvivere
e crescere con le proprie forze. Solo l’attaccamento esclusivo a una persona grande
lo può salvare e quella persona è di solito la mamma, pronta a rispondere con
dedizione totale alla sua richiesta. È da quell’incontro che nasce l’amore più
grande, quello che connette madre e figlio per tutta la vita.
Ma, prima dell’amore, un patto più
istintivo dovrebbe garantirgli un minimo di sicurezza e di speranza. Il bimbo
non conosce i suoi diritti e l’accudimento che l’adulto gli concede è, secondo
lui, quello di cui ha bisogno. Ho visto bimbi disperatamente attaccati a
genitori indifferenti, incuranti, persino sadici, ma per loro unici referenti
possibili. Se non si riconosce questa condizione di assoluta dipendenza non ci
si può spiegare l’accondiscendenza delle piccole vittime, non solo alla
violenza fisica ma all’ingiunzione «mai devi dire».
La bimba che, interrogata dal pm e dalla
psicologa, ha rotto quel patto iniziatico, ha compiuto un gesto di
straordinario coraggio, che corrisponde, nella storia dell’umanità, a un
progresso di civiltà. Non solo ha opposto alla violenza la parola, ma ha scelto
la verità contro la falsità, la testimo-nianza contro l’omertà. Una decisione
sofferta che la espone a un duplice senso di colpa: quello provocato, anche
nelle vittime più innocenti, dal miasma del male e quella che nasce
dall’essersi ribellata alla «morale», non solo della famiglia, ma della società
in cui è cresciuta.
Come sopravvivere a un trauma così invasivo
e recuperare l’innocenza violata? Innanzitutto sperimentando un amore vero,
responsabile, protettivo, incoraggiante, capace di riconoscere e attivare le
risorse di una bambina che, pur nelle carenze affettive e culturali del suo
ambiente, ha saputo esprimere una straordinaria maturità. La verità, anche la
più dolorosa, è sempre terapeutica se viene elaborata dalla mente e condivisa
nel dialogo. L’importante è che lei e le altre bambine non restino sole, che
vedano, al di là del buio, la luce di un mondo diverso, dove si cresce senza
paura e senza colpa, da bambini. Semplicemente.
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