lunedì 23 maggio 2016

La triste storia di Matteo, che non sapeva far di conto




“La morale?: Renzi in questi due anni ha sbagliato tutto quello che era possibile sbagliare, in termini di allocazione di risorse e di qualità del deficit; che questo paese continua ad essere guidato da piccoli e grandi incapaci che non sanno far di conto e giocano con le tasse degli italiani. Ma che la colpa resta della Germania e degli ottusi burocrati di Bruxelles.”

Dopo che l’eco per il grande successo italiano a Bruxelles sulla flessibilità è venuta meno, restano dubbi e conti che non hanno alcuna intenzione di tornare. Il punto è sempre quello: in poco più di due anni di governo, Matteo Renzi ha fatto deficit di pessima qualità, con poco o nessun impatto sulla crescita, dissipando risorse che il paese non aveva, ed oggi è costretto ad inseguire le sue stesse promesse, che tornano a dargli la caccia.

Emblematica è la dichiarazione del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che tuttavia riflette la presa d’atto della realtà dentro l’esecutivo: la decontribuzione per i nuovi assunti non serve a nulla a causa della sua natura temporanea, oltre a costare moltissimo. E così, ecco che
Poletti ipotizza che nel 2017 possa realizzarsi la decontribuzione “strutturale”, cioè erga omnes, che in realtà attendiamo da due anni. Altrimenti, quando scadrà la decontribuzione transitoria, il primo gennaio 2018, un elevato numero di imprese italiane scopriranno di avere un costo del lavoro eccessivo.

Il Jobs Act andava costruito senza incentivi temporanei alle assunzioni, perché quelle assunzioni sarebbero comunque avvenute. Solo degli analfabeti possono pensare che un’azienda espanda i propri organici in modo permanente per effetto di una riduzione temporanea del costo del lavoro. Invece stiamo continuando a dibattere metafisicamente su aumenti di occupazione che derivano dalla flebile crescita economica in atto, peraltro in un quadro di crescita della produttività che resta nulla o lievemente negativa. La decontribuzione temporanea “forte” (quella da 8.060 euro annui), secondo le ultime stime, pare costerà nel triennio 2015-2017 ben 19 miliardi di euro. A questa somma bisognerà aggiungere la copertura per la decontribuzione temporanea “attenuata” in vigore nel biennio 2016-2017, pari a 3.250 euro annui. Per contro si stima che ridurre di sei punti percentuali il cuneo fiscale, ripartendo il beneficio a metà tra azienda e lavoratore, costerebbe sei miliardi annui. Secondo voi, cosa sarebbe stato meglio fare, da subito?

Invece, visto che abbiamo buttato nello sciacquone oltre venti miliardi in un triennio, e abbiamo avuto l’epifania che serve ridurre il cuneo fiscale in modo permanente, ecco che servono proposte alternative. Di una, quella dell’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, si è per ora persa traccia. E forse è meglio così perché nei fatti si trattava di una riduzione del cuneo fiscale attraverso un bel buco contributivo a carico del lavoratore. Ma non possiamo escludere che, se l'”emergenza” di tagliare il costo del lavoro in modo permanente dovesse tornare ad acutizzarsi, questa proposta riemergerebbe. Domanda: a voi pare da soggetti sani di mente buttare oltre 20 miliardi in un triennio per poi dover scavare un bel buco alle future pensioni dei lavoratori? A noi no, ma notoriamente noi siamo gufi.

Tra le altre promesse di Renzi, a partire dal prossimo anno, c’è poi la riduzione dell’Irpef ma anche quella dell’Ires. Anche qui, sono tanti soldini. Anche qui, il premier ha buttato nel cesso fior di miliardi, da che è a Chigi. Come quantificano sul Sole Marco Rogari e Claudio Tucci.
«Per onorare gli impegni presi con l’Europa e far scattare le misure su pensioni, famiglie e decontribuzione (oltre al taglio dell’Ires) servirebbero non meno di 12-15 miliardi (ai quali aggiungere le risorse legate all’obiettivo dei deficit nel 2017 all’1,8%), che però rischierebbero di essere insufficienti per altri interventi,come ad esempio quello sull’Irpef. Che nel caso di una nuova calibratura leggermente al ribasso delle aliquote del 27% (scaglione tra i 15mila e i 28mila euro) e del 38% (scaglione tra 28mila e 55mila euro) costerebbe circa 3-5miliardi. Con un intervento per ridurre gli scaglioni Irpef dagli attuali 5 a 4 l’operazione costerebbe almeno 9 miliardi».

Sull’Irpef, come ormai sanno anche i muri, c’è un serio problema di profilo della curva delle aliquote marginali effettive, assurdamente ripido per i redditi medio-bassi. Da anni esistono proposte di rimodulazione delle detrazioni per ridurre questa pendenza, come questa, il cui costo è noto. E quindi? Quindi il buon Renzi ha deciso di buttare dieci miliardi l’anno per gli 80 euro. Anche qui, l’uso alternativo di quelle risorse è noto da sempre, ma il nostro premier ha preferito, in modo del tutto analogo alla decontribuzione temporanea, concentrarsi su “soluzioni” inefficaci ed inefficienti. I soldi per ridurre le aliquote marginali effettive ed anche quelle nominali esistevano già due anni addietro, ed erano quelli degli 80 euro. Sarebbe stato un deficit “di qualità”. Invece, cosa ci tocca leggere? Che la riduzione Irpef potrebbe avvenire “in due moduli” (stessa identica terminologia che usavano Berlusconi e Tremonti, quando non avevano i soldi e spacciavano sogni e bufale), di cui quello per il prossimo anno potrebbe essere coperto con il gettito della nuova voluntary disclosure  che il governo ha in mente di lanciare. Anche qui, un tempo erano i condoni ma non si potevano chiamare in questo modo, ed ognuno era sempre l’ultimo. Sgravi permanenti con coperture una tantum. Forza ragazzi, stupiteci ancora.

Ancora: per ridurre la componente Irap del lavoro a tempo indeterminato, cioè il cuneo fiscale lato datore di lavoro, le risorse c’erano: erano quelle destinate invece all’azzeramento dell’imposizione sulla prima casa. Eppure, i gemelli di Nannicini e di Filippo Taddei avevano le idee chiarissime, solo tre anni addietro. Ma evidentemente Renzi sa essere molto persuasivo. La morale? Che l’economia è la “scienza” delle risorse scarse, quindi che non si possono avere contemporaneamente burro, cannoni e cannoli; che Renzi in questi due anni ha sbagliato tutto quello che era possibile sbagliare, in termini di allocazione di risorse e di qualità del deficit; che questo paese continua ad essere guidato da piccoli e grandi incapaci che non sanno far di conto e giocano con le tasse degli italiani. Ma che la colpa resta della Germania e degli ottusi burocrati di Bruxelles.

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