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Stato italiano sotto processo a Strasburgo
per non aver tutelato la vita e la salute di 182 cittadini di Taranto. Al
centro della vicenda ancora una volta l’Ilva, le cui emissioni avrebbero
generato un inquinamento tale da ledere il benessere e l’aspettativa
di vita degli abitanti coinvolti.
Il tutto nasce dal ricorso collettivo
presentato da alcuni residenti tarantini presso la Corte europea dei diritti
dell’uomo, nel quale viene sostenuta la mancanta azione, da parte dello Stato
italiano, a tutela della vita e della salute dei propri cittadini nei confronti
dell’inquinamento prodotto dall’Ilva. Secondo quanto si legge nel testo:
“Lo
Stato non ha adottato tutte le misure necessarie a proteggere l’ambiente e la
loro salute, in particolare alla luce dei risultati del rapporto redatto nel
quadro della procedura di sequestro conservativo e dei rapporti Sentieri.”
Secondo i ricorrenti lo Stato italiano
avrebbe omesso la predisposizione di un apposito quadro normativo, atto a
“prevenire e ridurre gli effetti” derivanti dall’esposizione al persistente
inquinamento originato dal complesso siderurgico
dell’Ilva. Nel mirino
anche i vari decreti “salva Ilva”, che avrebbero secondo i cittadini violato il
“diritto al rispetto della vita privata e familiare”.
Nel frattempo a Taranto ha preso il via il processo
“Ambiente svenduto”. Sono 47 gli imputati citati in giudizio, 44 persone
fisiche e 3 società (Ilva S.p.A., Riva Fire e Riva Forni Elettrici), mentre i reati
contestati vanno dal disastro ambientale all’avvelenamento di
acque e sostanze alimentari.
Circa mille le parti civili e oltre un
centinaio gli avvocati coinvolti nel processo, che dovrà stabilire chi e come
ha inquinato tra il 1996 e il 2013. Tra gli imputati (dirigenti
d’azienda, politici e amministratori locali) figurano i nomi di Nicola e Fabio
Riva, in relazione al fatto che proprio la famiglia Riva ha gestito l’Ilva nel
lasso di tempo contestato, e l’ex presidente della Regione Pugli Nichi Vendola.
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