Condivido e sottoscrivo: “Si può anche non essere gufi
senza per questo esser costretti a vestire i panni (o le piume) di utili allocchi”
da: http://www.glistatigenerali.com/
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di Cristian Sesena
Un solo cruccio deve aver avuto Matteo
Renzi nell’apprendere dei fatti di Caserta: fra le rappresentanze
sindacali che hanno mosso accuse al nuovo direttore della Reggia non c’è
solo la Cgil, che tra l’altro si è subito dissociata attraverso la sua
segreteria territoriale.
Per il resto siamo di fronte all’ennesimo
piatto ricco (ma un poco scondito e scontato) imbandito alla necessità vitale
del presidente del consiglio di spostare l’attenzione del popolo sui consueti
nemici: gufi, sindacati, fannulloni.
Il documento, redatto da svariate sigle, si compone di tre pagine del tutto sconosciute se non per l’accusa mossa a Mauro Filicori di “restare fino a tarda ora nella Reggia mettendo a rischio l’intera struttura museale.” A ben vedere, non lo si sta formalmente accusando di lavorare troppo, ma di produrre un comportamento che avrebbe non meglio comprensibili e precisate conseguenze.
Il documento, redatto da svariate sigle, si compone di tre pagine del tutto sconosciute se non per l’accusa mossa a Mauro Filicori di “restare fino a tarda ora nella Reggia mettendo a rischio l’intera struttura museale.” A ben vedere, non lo si sta formalmente accusando di lavorare troppo, ma di produrre un comportamento che avrebbe non meglio comprensibili e precisate conseguenze.
Sarebbe necessario ed opportuno conoscere
anche il resto della missiva per
provare a capire dove volevano andare a parare di preciso i tre malcapitati sindacalisti.
provare a capire dove volevano andare a parare di preciso i tre malcapitati sindacalisti.
Non è difficile immaginare che si tratti di
una lettera di denuncia rispetto al mancato rispetto degli accordi in essere,
scarsa attenzione al ruolo di interlocuzione sindacale, condizioni di lavoro;
una missiva come centinaia ne vengono prodotte ogni giorno, nell’esercizio di
normali relazioni industriali.
Oramai però è chiaro che ogni pretesto è
buono per usare questa efficacissima “arma di distrazione di massa” che è
il sindacato.
Come fu per il Colosseo anche per la
Reggia, screditare i lavoratori e chi li rappresenta sulla base di poche prove
indiziarie ben assemblate sta diventando il passatempo preferito di un premier
che quando si trova in difficoltà su temi di capitale importanza parla d’altro.
Abbiamo problemi internazionali ed una
guerra alle porte (la Libia), la miseria di soli circa 160 000 posti di lavoro
creati con lo scalpo dell’articolo 18 e incentivi dati a pioggia, la crescita
che non riparte, la borsa che fibrilla anche per effetto di banche salvate ma
non salve, il cadavere orribilmente martoriato di un giovane ricercatore che
chiede e non ottiene verità: questi sarebbero i banchi di prova su cui far
soffiare il vento del cambiamento e invece registriamo su tutti piena bonaccia.
Renzi fatica a passare con la stessa
facilità con cui vola da una metafora ad un paragone, dall’azione ai fatti,
dalle intenzioni alle decisioni che, da uno statista si pretendono,
tempestive, inequivocabili e reali.
E allora meglio dedicarsi ad altro con la
complicità di media spesso ridotti a gran cassa di una narrazione che ormai
comincia ad intonare il motivo dell’orchestra del Titanic prima dello
schianto.
La notizia in se stessa non c’è; una
querelle come tante ne avvengono ogni giorno, uno scontro epistolare incruento
tra datore di lavoro e sindacato: nessuno sciopero, nessun disagio annunciato.
Eppure si crea il caso utile nel momento
più utile, un caso che, presentato con tanta palese strumentalità, in un gioco
di associazioni non proprio libere, riporta immediatamente al Colosseo ai
timbratori in mutande di San Remo, ai vigili urbani di Roma.
In questo frangente le colpe presunte o
reali del sindacato però non c’entrano, anche se ormai sembrano
ricadere un po’ ovunque e sempre dove vuole il Governo.
Nella vulgata renzista le organizzazioni
sindacali costituiscono una massa unica, informe e maleodorante che incrosta la
nostra società civile e ne impedisce il dinamico avanzare verso una nuova età
dell’oro, come ogni forma di opposizione ai suoi twit
giovanilistici, del resto, proviene sempre da grigi professoroni o tristi
volatili.
Più che fornire il resoconto di due anni di governo, questa narrazione scanzonata e livorosa sembra propinare una favola dark horror da somministrare a bambini impressionabili per farli addormentare. Peccato che il ruolo del lupo mannaro affibbiato al sindacato, mai come in questo frangente, faccia sorridere e non spaventare.
Più che fornire il resoconto di due anni di governo, questa narrazione scanzonata e livorosa sembra propinare una favola dark horror da somministrare a bambini impressionabili per farli addormentare. Peccato che il ruolo del lupo mannaro affibbiato al sindacato, mai come in questo frangente, faccia sorridere e non spaventare.
Peccato che troppo spesso il sonno su cui
si gioca sia quello degli italiani e della loro facoltà di farsi idee libere.
Non si tratta comunque di difendere
in questa vicenda questa o quella organizzazione di rappresentanza, ma di
provare a garantire, di fronte ad un attacco gratuito fuori bersaglio, il diritto
sacrosanto alla difesa per chi si trova, di volta in volta, pressato in un
tritacarne mediatico ad uso e consumo di un potere che, oltre alla
autocelebrazione non di rado costruita sull’altrui demonizzazione non sa
andare.
Pure coloro che adesso incornano felici
seguendo il rosso di questo nuovo drappo sventolato ad arte
dovrebbero provare a fermarsi e ragionare perché questa
strategia della denigrazione ha pure per loro conseguenze di lungo
termine. Come le ha per tutti.
La costante e scientifica demolizione del
ruolo e della credibilità dei cosiddetti corpi intermedi indebolisce gli
anticorpi della democrazia, rende più agevoli i blitz, e le razzie di diritti
che si danno per scontati ma che con questi chiari di luna non sono mai al
sicuro.
Un esempio per tutti: per un’assemblea dei
lavoratori, regolarmente convocata al Colosseo, che ha provocato un disservizio
di un paio d’ore a un manipolo di turisti, il diritto di sciopero (diritto
costituzionale), ha subito una imponente limitazione grazie ad un
decreto legge e ad un successivo pronunciamento del Garante.
Troppo tardi ci si è accorti che anche al Moma di New York o alla Tate di Londra poteva succedere di trovare chiuso per agitazioni sindacali. Al contrario ci si è precipitati, non appena appresa la notizia, a giustiziare il solito presunto colpevole invocando modernità e difesa dell’immagine del paese all’estero, come se quell’episodio e non altri elementi ( rifiuti, trasporti, prezzi, borseggi) rappresentasse il tallone d’Achille dell’offerta turistica della capitale. Si sbaglia se si pensa questa vicenda sia circoscritta a quei lavoratori, ad un preciso contesto.
Troppo tardi ci si è accorti che anche al Moma di New York o alla Tate di Londra poteva succedere di trovare chiuso per agitazioni sindacali. Al contrario ci si è precipitati, non appena appresa la notizia, a giustiziare il solito presunto colpevole invocando modernità e difesa dell’immagine del paese all’estero, come se quell’episodio e non altri elementi ( rifiuti, trasporti, prezzi, borseggi) rappresentasse il tallone d’Achille dell’offerta turistica della capitale. Si sbaglia se si pensa questa vicenda sia circoscritta a quei lavoratori, ad un preciso contesto.
Roma e Caserta ci avvertono di come il
supermercato delle opinioni precostituite sia sempre pronto a sollevarci
dall’approfondimento dei fatti; un comportamento questo che tendiamo ad
assumere sempre più automaticamente, ma che può rilevarsi gravido di
conseguenze se l’imbonitore che ci vende il pacco coincide con chi ci governa.
Si
può anche non essere gufi senza per questo esser costretti a vestire i panni (o le piume)
di utili allocchi.
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