da: http://formiche.net/
Perché
siamo silenti sul martirio delle suore cattoliche nello Yemen?
di Maria
Antonietta Calabrò
La guerra
alla religione è l’altra faccia della
guerra di religione, ed è per questo
che in Occidente, ed in particolare in Europa, non si parla delle quattro missionarie di Madre Teresa uccise nello
Yemen.
Papa
Francesco si è lamentato pubblicamente dell’eccidio a più
riprese, parlando di globalizzazione
dell’indifferenza. E così tutti i media. Oggi al riguardo Avvenire intervista, ad esempio, l’editorialista della Stampa
Gianni Riotta. Ma nessuno ha messo in relazione i due
fenomeni, anche se nei suoi più recenti interventi lo stesso Pontefice ha
iniziato a dedicare maggiore attenzione a quello che accade in Europa,
riprendendo temi cari al suo predecessore Benedetto XVI.
Mi spinge a questa considerazione
un’attenta analisi l’ultimo, cioè il Settimo Rapporto sulla Dottrina sociale
della Chiesa appena pubblicato da Cantagalli Editore. Quest’anno la consueta
panoramica dettagliata sullo sviluppo della
Dottrina sociale della Chiesa nei
cinque continenti e delle più significative esperienze in atto nell’impegno per
la giustizia e la pace, si arricchisce di una chiave di lettura completamente
inedita.
Per il Rapporto le guerre di religione sono i nuovi califfati. Opportunamente viene
fatto il parallelo storico con le guerre di religione che insanguinato i secoli
scorsi il Vecchio Continente sostenendo che naturalmente le guerre di religione
non sono soltanto guerre religiose, ma hanno anche precisi moventi geopolitici
diversi dalle fedi. Ma appunto guerre di religione sono quelle che insanguinano
il Medio Oriente o l’Africa, le tensioni inasprite tra sciiti e sunniti, gli
attentati terroristici che fanno tremare l’Europa, compreso il reclutamento di
militanti e le persecuzioni violente dei cristiani.
Le guerre alla religione sono invece definite dal Rapporto come le
discriminazioni che i Paesi occidentali attuano contro il cristianesimo e il
tentativo, tramite leggi e politiche, di estirparlo dall’Europa. Se un vescovo
non può criticare una legge francese pena la denuncia, se si rischia il carcere
con l’accusa di omofobia, se le Femen possono devastare impunite Notre Dame, se
l’obiezione di coscienza è sempre più minacciata, significa che l’Occidente ha dichiarato guerra al
Cristianesimo, sostiene il Quaderno pubblicato insieme al Rapporto, firmato
a più mani, in cui spiccano il contributo del arcivescovo di Trieste Giampaolo
Crepaldi e di Stefano Fontana direttore dell’Osservatorio internazionale
Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale
della Chiesa. Sottoscrivono la Sintesi introduttiva: Fernando Fuentes Alcantara,
direttore della Fundación Pablo VI, Madrid; Daniel Passaniti, direttore
esecutivo CieS-Fundación Aletheia, Buenos Aires; Manuel Ugarte Cornejo,
direttore del Centro de Pensamiento Social Católico della Universidad San
Pablo di Arequipa, Perù.
Il Rapporto (relativo a dati e statistiche
del 2014, l’ultimo anno per cui siano disponibili) documenta ambedue le
tendenze e mostra come l’Europa e
l’Occidente in generale risultino indeboliti
nei confronti delle guerre di religione,
proprio perché conducono una loro guerra alla
religione.
“È nostra convinzione – scrivono gli autori
– che tra i due volti di Giano ci siano profondi collegamenti e che qualcosa di
molto profondo e sottile colleghi tra loro le guerre di religione e la guerra
alla religione. Di più: pensiamo che questo collegamento sia, più che in ogni
altra epoca passata, molto stretto nel nostro tempo, di cui rappresenta un
segno inconfondibile. L’Occidente è troppo preso dalla sua guerra interna alla
religione per potersi occupare delle guerre di religione in Siria o in Nigeria.
È troppo preoccupato di recidere i propri legami con la religione proclamando
l’indifferenza alle religioni, indebolendosi e rendendosi non più capace di
difendere nel mondo nemmeno il diritto alla libertà di religione, che in un
certo senso è una sua creazione”.
Questa concezione si sta estendendo ai
Paesi dell’America latina. Mentre segnali di controtendenza si vedono in Russia
e nel mondo post comunista, dove l’Ortodossia gioca e giocherà un grande ruolo.
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