da: Il Fatto Quotidiano
Che altro deve ancora accadere, a due mesi dall’assassinio di Giulio Regeni,
perché il governo italiano la smetta di pigolare finte proteste e ridicole
richieste di verità e si decida finalmente a richiamare il nostro
ambasciatore in Egitto, cioè a rompere le relazioni diplomatiche con la feroce
dittatura di al-Sisi? Qui non è in gioco soltanto la sacrosanta sete di verità
e giustizia della famiglia davanti al cadavere martoriato e sfigurato del
figlio (“l’abbiamo riconosciuto solo dalla punta del naso”). Ne va, se ancora
la parola ha un senso, della dignità di tutti noi italiani dinanzi a un regime incredibilmente “alleato” che da
65 giorni ci prende in giro sotto gli occhi del mondo, sentendosi intoccabile
per almeno due motivi. Quelli diplomatici: la prossima missione in Libia e
la comune “lotta al terrorismo” (come se seviziare e ammazzare un ricercatore,
nel paese delle torture e dei desaparecidos, non fosse terrorismo, per giunta
di Stato). E quelli commerciali: gli affari petroliferi dell’Eni e delle altre
superlobby che dirigono la nostra cosiddetta politica estera.
Non c’era bisogno della morte di Regeni per
scoprire chi è al-Sisi, il generale golpista salito al potere nel 2013 dopo
aver rovesciato il presidente eletto
Mohamed Morsi, sgradito all’Occidente e
alla casta militare del Cairo perché espressione della Fratellanza Musulmana.
Da allora il Pinochet d’Egitto ha sterminato migliaia di oppositori, ha messo
al bando il partito islamista che aveva vinto le elezioni, ha fatto condannare
a morte 1200 suoi dirigenti e arrestare fra 20 e 40 mila suoi attivisti con
l’aggiunta di laici, socialisti e giornalisti (per Reporter Sans Frontières
l’Egitto è al secondo posto nel mondo per cronisti incarcerati).
Eppure l’estate scorsa Matteo Renzi si
vantò al Meeting di Cl di essere stato il primo premier occidentale a stringere
le mani insanguinate di al-Sisi: bel record. Lo esaltò come “grande statista” e
“grande leader” che “ha ricostruito il Mediterraneo” ed è “l’unico che può
salvare l’Egitto”, dunque “Italia ed Egitto sono e saranno sempre insieme nella
lotta al terrorismo… Sono orgoglioso della nostra amicizia e lo aiuterò a
proseguire nella direzione della pace”. Eterna. Poi gli si rivolse col tu: “La
tua guerra è la nostra guerra, la tua stabilità è la nostra stabilità”. Dinanzi
a tanta provinciale ignoranza, inescusabile con qualsiasi movente diplomatico o
commerciale (nessun leader occidentale si è mai sbilanciato a tal punto),
al-Sisi sa di poter trattare l’Italia come il cortile di casa sua. Infatti il
suo regime, mentre il nostro presunto governo faceva la faccia feroce a favore
di telecamera, ci ha rifilato almeno 10 “verità” su Regeni che offendono l’intelligenza
e la dignità di tutti noi. E dovrebbero imbarazzare non il governo egiziano
(figuriamoci), ma quello italiano.
1. “Nessun
crimine, è stato un incidente stradale”. 2.
Anzi no, un “atto criminale”, ma senza torture. 3. Anzi, con torture. 4. Giulio
lavorava per qualche servizio straniero. 5.
Pardon, abbiamo arrestato due delinquenti comuni. 6. Ma no, è stato un atto terroristico dei Fratelli Musulmani per
guastare l’amicizia Italia-Egitto. 7.
O forse di vecchi agenti segreti di Morsi, sempre per mettere zizzania. 8. Però Giulio aveva una “vita piena di
ambiguità” con i vicini di casa: delitto passionale, magari un festino gay, o
vendetta personale. 9. Oltre al
suicidio e ai marziani, manca solo la droga: infatti prima si alluce a un
possibile spacciatore-killer. 10.
Poi parte la messinscena finale: cinque sequestratori, o predoni, o rapinatori,
ovviamente travestiti da poliziotti subito uccisi, col contorno di documenti ed
effetti personali della vittima (veri o presunti) serviti su un piatto d’argento,
compreso un po’ di hashish.
Il tutto dopo una strana “intervista” a Repubblica di al-Sisi, che assicura “tutta
la verità” e intanto avverte il governo italiano che non è il caso di
immischiarsi in Libia (“rischiate un’altra Somalia”), meglio lasciar fare a lui
che sta lavorando per noi. E dopo il ritorno a Roma del procuratore Pignatone e
della squadra investigativa in gita al Cairo, che ovviamente non han potuto
indagare un bel nulla in un Paese straniero. Ora, siccome anche l’ultima
pantomima fa acqua da tutte le parti, le indagini proseguono e non si escludono
altri colpevoli à la carte da dare in
pasto a quei boccaloni degli italiani. Almeno finchè il tempo, il silenzio e la
polvere non copriranno definitivamente i balbettii del nostro governo. Che
continua a “pretendere”, “chiedere”, “invocare” una verità che tutti sanno
benissimo non arriverà mai.
Anziché inseguire i penultimatum di Renzi,
Mattarella, Gentiloni e Alfano, è forse il caso di dare un’occhiata ai
comunicati dell’Eni sulle meravigliose sorti e progressive dei nostri affari
col Cairo. Tipo quello del 26 febbraio, un mese dopo la scomparsa di Giulio: “Eni, nuovi successi esplorativi in Egitto.
Completata la perforazione di Zohr2X, primo pozzo di delineazione della
scoperta di Zohr. Lo start-up della nuova scoperta è previsto entro la
fine
di marzo 2016 e permetterà all’area di Nooros, che ha iniziato la produzione
nel settembre 2015, di raggiungere una produzione di circa 45.000 barili di
olioequivalente al giorno. Recentemente Eni ha completato con le autorità
egiziane il processo autorizzativo per lo sviluppo del giacimento di Zohr”. O
quello del 10 marzo, mentre i pm di Roma partivano per il tour delle Piramidi: “Eni esegue con successo la prima prova di
produzione di Zohr. Il pozzo…si stima possa arrivare a 7 milioni di metri cubi
al giorno. Nel 2016 saranno perforati nel giacimento 3 ulteriori pozzi”. Ci
siamo capiti.
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