martedì 22 marzo 2016

Lucia Annunziata: “Il Belgio è uno stato fallito e alcuni alleati ci stanno tradendo”



da: http://www.huffingtonpost.it/


Non un attentato qualunque. Nell'attacco a Bruxelles ci sono tre indicazioni che, se si vuole finalmente fare sul serio, l'Europa può usare per prendere un nuovo corso di azione contro il terrorismo.

1) Il Belgio si è confermato oggi, come del resto molti ripetono sottovoce da mesi, uno stato fallito. Proprio così viene detto nei giri diplomatici e di intelligence: fallito esattamente come si dice per la Siria o l'Iraq. Spiacevole dirlo, ma vero.

Nonostante gli aiuti di analisi e di logistica, di appoggi militari e di intelligence da parte di mezza Europa, Francia, Inghilterra, Germania, e Stati Uniti, il governo di Bruxelles non è stato in grado di identificare e ancor meno fermare la macchina terroristica saldamente piantata nelle sue viscere. Una falla enfatizzata da una coincidenza (ma esistono le coincidenze in tali materie?): lunedì mattina, cioè 24 ore prima degli attacchi in Belgio, il New York Times ha pubblicato il rapporto di 55 pagine stilato dalla polizia francese sui fatti del Bataclan.

Un rapporto che ha fatto il giro del mondo e che, proprio nelle ore in cui il Belgio festeggiava con una certa precipitazione la cattura del primo pentito Isis, scoperchiava una realtà peggiore di quel che si sia fin qui saputo. A partire dal numero - in quel rapporto si parla di ben 90 foreign fighters ritornati in Belgio -, descrive una organizzazione che si appoggia a legami familiari vasti (cugine, amici, case ospitali) e a una rete operativa molto sofisticata.

C'è ad esempio il sofisticato uso di strumenti di comunicazione: dalle casse piene di telefonini ancora in buste di plastica ritrovati nei covi, alle informazioni con codice criptato che vengono passate e che non sono mai state intercettate.

Un sopravvissuto del Bataclan ha raccontato ad esempio di aver visto uno dei terroristi aprire il suo portatile e lavorare su uno schermo dove passavano solo righe di numeri. E c'è il problema degli esplosivi, racconta il rapporto francese: vero che le bombe sono fatte con materiali in commercio, ma sono instabili e hanno bisogno di essere preparate e tenute in un ampio spazio. Hanno bisogno insomma di esperti e di una logistica seria.

Come è possibile che una realtà così complessa non sia stata scoperta, nonostante l'impegno di tutte le intelligence europee? I francesi senza tanto mascherarlo, puntano il dito sul Belgio, sulle sue lentezze e la sua mancanza di convinzione: una delle vicende segnalate è che una volta una indicazione sospetta è stata fatta cadere perché in Belgio è illegale perquisire una abitazione privata dalle 21 alle 5 del mattino. Furbizia, mancanza di attenzione, questa belga? Appare in verità solo una enorme sottovalutazione.

2) Il doppio giro di attentati messo in atto per modalità e tempistica rende evidente una preparazione militare di alto livello.
Che punta all'Esistenza di una organizzazione forte, con capacità logistiche serie, e con una regia che conosce molto bene tecniche e tattiche di guerra. Ci troviamo di fronte a un gruppo che a 48 ore dalla cattura della sua primula rossa, cioè da quella che era stata subito venduta come una sconfitta della rete terrorista in Belgio, l'arresto di Abdelaslam, è stata in grado di attaccare su due fronti negli stessi chilometri quadrati che a parole erano stati messi in sicurezza.

È stata in grado cioè di mettere in campo subito un gruppo di combattenti, appoggi logistici, armi ed esplosivo per i nuovi attentati ed è stata in grado di piazzarli senza che venissero scoperti, nel pieno cuore di una città militarizzata.

Tutto questo punta all'esistenza di una regia, di una forte tattica, di una enorme preparazione, e, non ultima, di una grande agibilità sul territorio. Altro che giovani mussulmani disaffezionati dalla vita di periferia, branco di giovani lupi allo sbando, gruppetti di Amici.

Da tutto quello che si è visto a Bruxelles possiamo dire che in Europa opera un vero e proprio nuovo fronte militare.
3) Chi finanzia questo fronte? Operazioni quali quelle che abbiamo descritto, e che non sono appunto raccolte occasionali di estremisti, richiedono un finanziamento sostenuto nel tempo e nel volume. O vogliamo davvero immaginare che questi terroristi di ritorno si mantengano con lavoretti o ospitalità di famiglie o la carità della beneficenza delle locali moschee? Macchine, armi, spazi in affitto, viaggi.

Qualcuno paga. Così come qualcuno paga la enorme rete dell'Isis nei territori che occupa: oppure davvero vogliamo credere che la gestione di parte di Iraq e Siria, l'organizzazione di spedizioni in Libia e di attentati in Europa, siano finanziati solo dal traffico illegale di petrolio, antichità e prostituzione? Qualcuno paga e sono finanziamenti che solo entità statali possono fornire.

Queste tre indicazioni possono darci a loro volta tre risposte sull'immediato fare.
1) Come è' accaduto in Belgio, il nostro maggior rischio oggi è quello di sottovalutare la forza militare, politica e organizzativa del fronte che ci sta attaccando. È ora di fare una seria rimessa a punto delle nostre analisi e prendere le nuove misure.

Il fronte europeo è chiaramente, profondamente organico a quello che si muove in Siria o in Libia.
Quando si dice siamo in guerra non è un modo di dire. Ma per l'Europa va chiarito se il circuito Belga è l'unico o se ce ne sono altri.

L'intelligence europea inclina per la seconda opzione.
A Londra nelle scorse settimane è trapelato un allarme degli Interni secondo il quale gruppi terroristici potrebbero oggi essere in grado di mettere in atto fino a 10 attacchi contemporanei nella capitale Inglese mandando in tilt ogni apparato di sicurezza. E Parigi appare altrettanto allarmata.

2) Più uomini nelle strade è una risposta efficace? Il caso del Belgio prova esattamente di no: Bruxelles è da mesi blindatissima ma i terroristi hanno continuato a proliferare. Finora l'unica arma risultata efficace è l'intelligence, quella minuta, semplice, estesa fino alle conoscenze minime delle abitudini dei cittadini. È  arrivato il momento di far fare un salto al coordinamento di informazioni e operatività dei vari paesi europei. Costerà tanto i termini di libertà individuali di tutti. Ma è meglio di mobilitare apparati militari da noi come su altri fronti.

3) È ora che si indichi anche il vero nemico politico che c’è dietro il terrorismo. Cioè che si facciano i nomi degli stati che finanziano questo progetto per i loro fini di dominio. Sappiamo chi sono.
Sono nostri alleati, ufficialmente. Ma questa ambiguità diplomatica va rotta. Il costo è alto, e non solo in termini di affari. Il rischio di rotture internazionali interstatali acuisce il pericolo di una precipitazione globale ma se non si chiariscono gli schieramenti di questa guerra, non riusciremo certo a costruire strategie di difesa.

Certo, nulla di tutto questo è facile. È arrivato il momento di un cambio di passo. Il prezzo è molto alto. Ma la politica dello struzzo non allontanerà il pericolo.

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