da: http://www.huffingtonpost.it/
- di
Alessandro De Angelis
All’incrocio dei venti riappare il
Nazareno, o meglio il “Nazareno della roba”, senza neanche l’impiccio di una
copertura parlamentare. Il vento del nord, teutonico, che spinge Matteo Salvini
a stracciare la foto di Bologna (con Silvio Berlusconi) e a costruire una corsa
solitaria, come l’estrema destra che nei Lander
ha preso il 20 per cento. E il vento di Cologno Monzese, dove
il Biscione nell’era Renzi, sta conoscendo una seconda giovinezza.
Una seconda giovinezza (la prima risale a
quando Craxi schiaffeggiò il Parlamento pur di imporre la Legge Mammì) che val
bene la sconfitta a Milano, con lo sconosciuto Stefano Parisi da contrapporre a
Beppe Sala e a Roma, dove Berlusconi ormai, dopo la finzione delle gazebarie,
su Guido Bertolaso non torna indietro: “Con Giorgia Meloni a capo della coalizione
– dicono furiosi dentro la Lega – il ballottaggio sarebbe stato tra lei e
Cinque Stelle. Così invece a destra si va in ordine sparso, con Storace,
Marchini, Bertolaso e vediamo come va a finire con la Meloni. Insomma, così al
ballottaggio va Giachetti e la Raggi”. Il vertice, chiesto dalla Meloni, è
saltato, tutta Forza Italia fa quadrato attorno a
Bertolaso, anche dopo una
serie di gaffe, e la Lega deve solo capire se Giorgia dà la disponibilità a
scendere in campo oppure Salvini sosterrà Storace. Ecco, Bertolaso, rinviato a
giudizio sull’eolico e sull’Aquila, debolissimo nei sondaggi, consente al Pd di
rientrare in partita.
“Telecom e Mediaset, partita
francese in terra Italiana” il titolo delle pagine
economiche di Repubblica, dove il destino dell’azienda appare più roseo di
quello di Forza Italia descritto nelle pagine politiche. Più che una
coincidenza, un disegno. Berlusconi offre il disarmo politico e ottiene la
tutela degli interessi aziendali. Negli ultimi giorni si sono intensificati i contatti tra la famiglia Berlusconi e la
famiglia Bolloré, azionista di riferimento di Vivendi e principale azionista di
Telecom. L’ultimo incontro, secondo alcune indiscrezioni, è stato a Parigi
proprio tra Bollorè e Pier Silvio. I quotidiani francesi per primi, ma non
solo, hanno svelato che Vivendi sta trattando con Berlusconi per aggregare Canal Plus a Mediaset Premium nella pay tv.
Voci, abboccamenti, per ora fonti ufficiali dicono che non c’è nulla di
concreto. Ma l’operazione, cui si lavora, è chiara. E mira a creare un nuovo concorrente a livello mondiale del
magnate delle televisioni Rupert Murdoch, che vedrebbe ridotte le sue quote
di mercato. L’obiettivo è creare una realtà integrata, tra Vivendi, Mediaset, Telecom e Telefonica per diventare la media company
numero uno nel Sud Europa. “Il matrimonio si farà, si farà” scommettono i
parlamentari di area Mediaset.
In questo clima nessuno si stupisce che,
sulle amministrative a Roma, dichiarino più che gli uomini di partito, gli
uomini Mediaset come Giovanni Toti o il capogruppo al Senato Paolo Romani, uno
per cui il Nazareno non è mai finito e, ogni volta che ha potuto, ha dato una
mano al governo. O che Fedele
Confalonieri non fa mistero, durante le cene o le chiacchierate negli
ambienti milanesi che contano, di invitare a votare Giuseppe Sala e non Stefano
Parisi. Gli osservatori di vicende politiche aziendali dicono che la storia
di Mediaset può essere letta attraverso il pendolo di Foucault: quando va su Berlusconi (politica), va giù
Confalonieri (azienda). Infatti quando il Cavaliere stava al governo e dal
governo combatteva la sua battaglia contro i giudici, le aziende soffrivano.
Ora è l’opposto. “Paradigma Confalonieri” titolava
il Foglio, dopo la partecipazione di Renzi dalla D’Urso,
fatta di ammiccamenti, intervista col tu e bacetti sulla guancia. Proprio Fidèl
si è intrattenuto col premier dietro le quinte della trasmissione. Il Foglio il
suo Nazareno lo ha realizzato, col passaggio di testimone tra il papà berlusconiano Giuliano Ferrara e il
figlio renziano Claudio Cerasa, un passaggio di testimone senza un cambio
di linea, un po’ come Confalonieri e Verdini speravano che facesse Berlusconi
con Renzi, che sta realizzando – come ripete Denis – “ciò che Silvio ha detto
per vent’anni”. Ebbene il giovane direttore del Foglio così spiega il
“paradigma Confalonieri:
Il significato del “paradigma Confalonieri” è presto spiegato: è la predisposizione naturale del presidente
del Consiglio a conquistare la simpatia di elettori storicamente lontani se non
ostili alla sinistra italiana. A prima vista ci si potrebbe chiedere quale sia
la novità, dato che il successo renziano, nel Pd, è da sempre legato alla sua
possibilità di sfondare al centro e a destra, anche a costo di sacrificare
pezzi importanti della sinistra. La novità è che oggi, in presenza di una
scissione sentimentale sempre più forte con i reduci della sinistra dei diciamo
e dei D’Alema, è diventata cruciale, per Renzi, la conquista dei Fedele Confalonieri e dei Gianni Letta. E da questo punto di
vista le prossime elezioni, già
quelle amministrative, saranno un
banco di prova importante.
Evidentemente, di questa “conquista” fa
parte la tutela degli interessi di Mediaset di cui l’operazione sulla Rai è
stata parte integrante. “Cambieremo la
legge Gasparri” diceva Renzi da rottamatore. Da premier ne ha lasciato immutato
l’impianto, non toccando il duopolio. Il che, per dirne una, ha consentito a una azienda non proprio in salute come Mediaset di non investire per
diventare competitiva. Non solo. Il Biscione,
la cui informazione è assetata su
uno spartito filo-governativo, ha vissuto come una boccata d’ossigeno
l’operazione Canone in bolletta.
Perché in tal modo la tv pubblica dimagrisce sulla pubblicità, liberandola
anche per altri, Mediaset in primis. Il meccanismo è semplice. Il canone Rai,
la tassa finora più evasa d’Italia, sarà in bolletta, garantendo a giugno un
incasso importante. Denari che verranno stornati
dagli introiti pubblicitari di viale Mazzini. Qualche giorno fa, nel corso
di un convegno all’istituto Bruno Leoni, il viceministro alle comunicazioni Giacomelli spiegava: "Se il gettito del canone fosse quello che il
governo si aspetta e l’evasione si riducesse all’evasione fisiologica che
esiste già nel pagamento dell’utenza elettrica, questo porterebbe a rivedere
secondo un principio di proporzionalità
le possibilità dei accesso al mercato pubblicitario? Io sono disponibile a
parlarne, non è un tabù".
È chiaro che parole come queste suonano
come una musica dolce dalle parti di
Fedele Confalonieri. E anche di
Silvio Berlusconi. Molto più dolci dei capricci di Salvini, delle durezze
della Meloni, da cui si sente trattato come un vecchio rimbambito. È vero, c’è
l’indole del lottatore, che non ha mai concepito il ritiro dal campo e il
passaggio di testimone ma – in questo momento – è tornato, prepotente, il primato
dell’azienda sulla politica. Si rischiano smentite a scriverlo, ma più volte
Confalonieri negli ultimi tempi ha ricordato a Silvio la promessa che si fecero
da giovani: “Quando uno dei due inizia a perdere colpi, l’altro glielo deve
dire”. Fidèl lo ha detto. È il momento di cambiare
schema, di mollare la politica, tornando allo schema delle origini: tutelare l’azienda all’ombra di un governo
amico. La democrazia dell’alternanza è finita. Ora al centro c’è il partito
della Nazione, con a destra e sinistra Salvini e Grillo, considerati a Cologno
Monzese due matti cui non si può affidare neanche un’edicola, figuriamoci il
paese. Meglio stare all’ombra del partito Nazione e appoggiarlo, come accadeva
vent’anni fa ai tempi di Craxi e del pentapartito. Un seconda giovinezza.
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