giovedì 5 novembre 2015

Steve McQueen, la vita spericolata di una star senza padroni



da: http://www.repubblica.it/spettacoli/

Trentacinque anni fa moriva il divo appassionato di corse d'automobile e abile pilota, artista indipendente che seppe opporsi al potere delle major. Per tre giorni arriva al cinema il docufilm che racconta la sua ultima impresa, il film sulla 24 ore di Le Mans. Parla il figlio Chad: "Quel lavoro fu un disastro finanziario, ma c'è dentro tutta la sua visione della vita"
di Arianna Finos 


Trentacinque anni dopo la sua morte Steve McQueen regala la sua verità sul cancro che se l'è portato via il 7 novembre 1980: "Penso che a causare la malattia sia stata sì la presenza di alluminio nei polmoni, ma anche le troppe pressioni che ho subito in un momento particolare della mia vita, in cui ho perfino pensato di mollare tutto". La voce registrata del King of cool è uno dei materiali inediti di Steve McQueen: Una vita spericolata, documentario su quella che avrebbe dovuto essere la sua più grande impresa - girare il film definitivo sulla 24 ore di Le Mans  -  e che invece gli costò il prezzo più alto dal punto di vista artistico, umano, economico. E che, nella sua convinzione, ne minò anche la salute.
Il film di Gabriel Clarke e John McKenna che I Wonder porta in sala il 9, 10 e 11 novembre, mette insieme interviste ai familiari di McQueen, materiali di repertorio e sopratutto filmati d'archivio tratti dalle tre ore e mezzo di girato sul set del 1970, un dietro le quinte del progetto (naufragato tra costi faraonici, liti col regista e il produttore) che era rimasto nascosto in scantinati e garage in Europa e negli Stati Uniti per quarant'anni.

Tra le testimonianze che ricostruiscono l'ossessione del divo appassionato di corse d'auto e abile pilota, spicca quella del figlio Chad, che 44 anni dopo il film si è recato nei luoghi dove aveva trascorso un'incredibile estate nel 1970, a Le Mans. Ci racconta: "Per me questo film è una sorta di rivincita. Quando Le 24 ore di Le Mans uscì, tutti lo crocifissero. Io ho parlato con il regista due mesi prima che morisse e mi raccontò che in realtà il film non fu un disastro al botteghino, considerando che era un'opera sulle corse d'auto. Ma tutti a Hollywood sapevano che mio padre era a capo e gli diedero la colpa. Molta gente pensò che quella fosse la fine della sua carriera di mio padre, e invece no. Perché poi fece Papillon, L'inferno di cristallo, Getaway!. Verso questo film ho sentimenti misti. Per la mia famiglia fu quasi il disastro finanziario. Ma alla fine dentro c'è la visione di mio padre sulle corse, sul cinema, sulla vita. Io corro da quand'ero giovane. Un giorno in America viene un pilota e mi dice: ho visto il film di tuo padre e ho imparato ad amare le corse. Questo era quello che voleva fare mio padre, trasmettere le sensazioni più vicine alla realtà di cosa significa stare dentro un'auto da corsa. Se ne parliamo trentacinque anni dopo, significa che c'era qualcosa di giusto in quel che ha fatto".

Il film non nasconde il temperamento collerico del padre, le infedeltà. "Era un essere umano. Ha fatto errori, ma li facciamo tutti. Anni fa non sapevo delle ragazze che aveva avuto, io e mia sorella non capivamo esattamente come stessero le cose. Quando i miei genitori si sono separati io ho voluto restare con mio padre, e sono stato al suo fianco fino a quando è morto, in Messico". Quando se ne è andato, Steve McQueen aveva 50 anni, "io ne avevo diciannove, quasi venti. Ho vissuto un bel pezzo di vita con lui. Aveva avuto un'infanzia terribile, da orfano. Per questo ci ha voluto, me e mia sorella: ci voleva sempre con lui sul set, ovunque fosse. Era un grande padre, divertente: voleva vedere, esplorare tutto ed era bello da ragazzino stargli appresso, ho vissuto avventure bellissime. Il ricordo più forte è una corsa in moto con mio padre nel deserto, nel bel mezzo del nulla, solo noi due". Anche a Chad la passione per la corsa è costata molto: è costretto a tenere gli occhiali da sole per proteggere l'occhio destro danneggiato da un incidente nel 2006 alla 24 ore di Daytona. "Forse c'è qualcosa nel nostro dna. Mio figlio è patito di corse di motocicletta. Io mi sono dovuto calmare dopo lo schianto: ho quattordici viti in corpo, non mi posso più permettere errori. Ma non mi pento, ho vissuto avventure bellissime. Al volante tutto è quieto. Penso che anche per mio padre correre fosse il modo per rilassarsi, staccare dal mondo, accompagnato solo dal rombo dell'auto".

L'altro aspetto che emerge dal documentario è la capacità di lottatore di Steve McQueen: "Non era uno che colpiva per primo, ma se veniva attaccato era capace di difendersi, fisicamente e non solo. Era grande esperto di arti marziali". Anche questa una passione ereditata: nella breve carriera d'attore Chad si è fatto notare nel ruolo del campione cattivo dei primi due Karate Kid. "Non ero un grande attore e odio il set. Dopo quei due film feci qualche cosetta giusto per guadagnare. Ma mi piaceva avere come allenatori amici di mio padre come Chuck Norris e Bruce Lee. Bruce era un uomo molto intenso, un grande maestro, diverso da chiunque avessi conosciuto prima: magro, esile, eppure potente e velocissimo. Una leggenda".

Leggenda lo è anche Steve McQueen, che fu uno dei divi più amati di Hollywood, capace di sfidare le major fondando la sua casa di produzione, la Solar, convinto di poter fare le cose a modo suo. "Mio padre veniva dalla strada, non aveva paura di nulla. Quando dalle major cercavano di imporgli le cose lui diceva 'non mi importa niente, io non ho bisogno dei loro soldi, non voglio niente da loro. Ho già passato tutto quello che potevo e sono sopravvissuto'. Era fatto della basta dei Charles Bronson, James Coburn, John Wayne... Oggi tutto fin troppo politicamente corretto. Viviamo in un ambiente sterilizzato. A volte mi chiedo cosa direbbe mio padre, se oggi fosse qui". McQueen jr. spera che Una vita spericolata sia anche un modo per far scoprire il padre alle giovani generazioni: "I compagni di mio figlio non sanno nemmeno chi fosse. Forse alcuni ragazzini, guardando questo documentario, si faranno un'idea, andranno a vedere i suoi film, ne parleranno con gli amici: 'sai, ho visto un film fichissimo che si chiama Bullit'...".

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