da: http://www.linkiesta.it/it/
«Terrorismo,
serve una strategia europea, ma gli Stati non si fidano tra loro»
D’Arrigo
(Istituto Italiano Studi Strategici): «e, se l'Europa non sarà capace di
concordare una risposta unitaria contro la minaccia terroristica, l’Isis sarà
sempre in grado di penetrare tra le maglie del nostro apparato di sicurezza»
di Tommaso
Canetta
Quello del 14 novembre, a Parigi, è il
peggior attentato terroristico che l'Europa abbia subito negli ultimi dieci
anni, da quando a Londra i kamikaze di Al Qaeda seminarono il terrore nella
metropolitana uccidendo 56 persone. In Francia le vittime sono ancora di più,
129 per il momento, con 352 feriti di cui 99 gravi. Colpiti ristoranti, una
sala concerti (il Bataclan) e i dintorni dello stadio dove si stava disputando
l'amichevole Francia-Germania. La strage, condotta con armi da fuoco e kamikaze
(sei su otto dei terroristi si sarebbero fatti esplodere, altri due sarebbero
stati uccisi dalle teste di cuoio francesi), è stata rivendicata dall'Isis –
sarebbe una ritorsione per l'intervento francese in Siria – e al momento sembra
la pista più credibile.
Tre dei terroristi morti sarebbero già
stati identificati e sarebbero un francese, un siriano e un egiziano. Il
presidente Hollande ha dichiarato lo stato di emergenza, i militari presidiano
le strade, le frontiere sono state chiuse e pare sia ancora in corso una caccia
all'uomo per individuare eventuali altri responsabili del massacro. Il governo
ha decretato il piano Alpha Rouge (Alfa Rosso), un livello di allerta mai
toccato in precedenza.
«Purtroppo era prevedibile che prima o poi
sarebbe successo qualcosa di simile - dice Francesco D'Arrigo, direttore dell'Istituto
italiano di studi strategici - Lo Stato Islamico aveva già da tempo dichiarato
i suoi obiettivi, tra cui figurano – oltre a Parigi - anche Londra, Roma e
Washington, e la sua strategia si è recentemente evoluta in senso preoccupante.
Il Califfato infatti non concentra più la sua attenzione solo sui territori che
controlla – in Siria, Iraq e Libia – affidando gli attentati all'estero a “lupi
solitari” che come schegge impazzite colpiscono in modo imprevedibile ma senza
causare ingenti perdite umane.
Da qualche tempo invece – forse già ne è un
esempio l'esplosione dell'Airbus A321 russo nel Sinai – anche gli attentati
all'estero vengono condotti in modo molto più organizzato, con uno stile che
ricorda le stragi del passato di Al Qaeda (anche per la vocazione al martirio
dei terroristi coinvolti). Ma, e questa è una differenza importantissima, se Al
Qaeda concentrava la propria violenza su obiettivi precisi – luoghi simbolici,
come a New York, mezzi di trasporto, come a Madrid e Londra – l'Isis ha portato
la violenza nelle strade, colpisce ovunque possa massimizzare il risultato in
termini di morti.
Non è un caso che le teste di cuoio
francesi siano intervenute il prima possibile al Bataclan: i terroristi
dell'Isis non trattano e non hanno richieste, puntano solo a uccidere quanta
più gente possibile. Possiamo dire che la nuova strategia dell'Isis sembra un
ibrido tra la sua linea tradizionale – obiettivi random, il che rende quasi
impossibile la prevenzione, e vocazione al martirio dei suoi adepti – e quella
“storica” di Al Qaeda, cioè utilizzo di cellule addestrate che pianificano
magari per mesi un attentato e che probabilmente hanno una solida rete
logistica di appoggio. Non escluderei che questa evoluzione sia figlia della
possibile neo-alleanza tra Isis e Al Qaeda (magari da un punto di vista anche
economico), o anche dalla semplice “migrazione” di alcuni qaedisti militarmente
addestrati tra le fila dello Stato Islamico».
L'apparato di sicurezza francese è
nuovamente, dopo Charlie Hebdo, nel mirino delle critiche. Il piano dei
terroristi ha probabilmente richiesto mesi di preparazione, sono state
utilizzate armi ed esplosivo che – questa è l'accusa – si sarebbero dovute
intercettare per tempo. «L'intelligence francese ha mostrato delle lacune nella
capacità interpretativa della fase preparatoria degli attentati – prosegue
D'Arrigo – ma bisogna considerare che un conto è prevenire attacchi a obiettivi
sensibili, come un aeroporto o una cattedrale, un conto è prevenire attacchi
che possono avvenire in qualsiasi luogo affollato del Paese. Inoltre in Francia
sono 5mila gli estremisti islamici noti ai servizi, è molto complesso
controllarli tutti contemporaneamente».
Per prevenire stragi come queste «o si
adotta una soluzione “alla israeliana”, della “intelligence dominance”, in cui
tutte le comunicazioni sono costantemente monitorate e diventa quindi
impossibile o quasi per eventuali terroristi pianificare attentati che vadano
al di là delle azioni dei “lupi solitari” (come infatti sta ora accadendo in
Palestina), oppure è veramente complicato. In Europa ovviamente c'è una forte e
comprensibile resistenza della popolazione a subire un controllo totale da
parte degli apparati di sicurezza, ma da un punto di vista tecnologico sarebbe
già possibile».
Volendo tuttavia evitare “soluzioni
orwelliane” «quello che andrebbe certamente fatto è colpire le organizzazioni
terroristiche nei flussi di finanziamento economico, migliorare la trasmissione
di informazioni tra i vari servizi segreti nazionali europei e cominciare a
delineare un piano comune per la sicurezza europea. Purtroppo questa soluzione
è resa difficile dagli egoismi e dalle gelosie dei singoli Stati. Nessuno si
fida troppo dei propri vicini, anche perché spesso le nazioni europee sono in
competizione economica e c'è il timore di perdere posizioni di vantaggio
condividendo le proprie informazioni di intelligence con gli altri. Tuttavia –
conclude D'Arrigo – siamo oramai in una situazione in cui sono rimaste poche
alternative e, se l'Europa non sarà capace di concordare una risposta unitaria
contro la minaccia terroristica, l'Isis sarà sempre in grado di sfruttare
l'attuale sfilacciamento delle maglie del nostro apparato di sicurezza
europeo».
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