mercoledì 4 novembre 2015

Expò: la mangiatoia del bambin Matteo



“far credere che biglietto staccato e biglietto venduto siano la stessa cosa: ma quanti sono i biglietti comprati al prezzo pieno di 39 euro, quelli omaggio e quelli a 10 o 5 euro?”

da: https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/
di ilsimplicissimus

Se un premier o un suo manutengolo vantassero come un grande successo la perdita di un miliardo e mezzo di soldi pubblici sarebbero sonoramente fischiati. Altrove sarebbero cacciati seduta stante e costretti a ritirarsi a vita privata se dichiarassero di voler fondare su questo tipo di trionfo la governance del Paese e delle sue maggiori città. Purtroppo è proprio ciò che sta avvenendo, ahimè senza la cacciata dei ninfomani del potere annidatisi nei gangli vitali: il sedicente trionfo dell’Expò viene preso a pietra miliare per governare Roma, Milano e il Paese tutto sulla base di eventi  comunque occasionali e transitori come l’esposizione universale, nient’altro che un grande ristorante temporaneo o il giubileo, dietro cui si nasconde poi il magna magna della corruzione.

Ma i conti dell’Expò il cui successo consiste solo nel non essere stato un fallimento completo, sono già stati fatti e parlano di quasi un miliardo e 600 milioni di perdita secca, sempre che i dati forniti al termine della
manifestazione, siano veritieri cosa di cui c’è da dubitare visti sia i tentativi già accertati di giocare sulle cifre, sia il fatto che il risultato finale in fatto di biglietti staccati, più di 21 milioni, è così vicino alle previsioni fatte due o tre anni fa da essere sospetto. E questo anche con la disperata mobilitazione della buona scuola per mandare il maggior numero di studenti possibile nella mega mangiatoia, impresa per la quale sono stati spesi altri 4 milioni, le offerte a prezzo stracciato che per mesi hanno girato in ogni dove, l’ingresso gratuito ai pensionati e via dicendo. La cosa odiosa in tutto questo è il tentativo di far credere che biglietto staccato e biglietto venduto siano la stessa cosa: ma quanti sono i biglietti comprati al prezzo pieno di 39 euro, quelli omaggio e quelli a 10 o 5 euro? Quanto si è perso e quanto si è speso in più per far numero e non andare incontro a una completa figuraccia, per riprendere la fila dell’ultim’ora in favore di telecamera?  Non si sa nemmeno  quando avremo i conti reali e non solo la cifra sommaria degli ingressi – forse solo dopo le elezioni a Milano –  ma c’è un evidenza non contestabile: Expò non è riuscita a coprire nemmeno le spese di gestione del falansterio culinario che ammontano a oltre 900 milioni. Se questo è un successo io sono la regina di Saba, tanto più che si tratta della più fallimentare esposizione universale dopo quella di Hannover del 2000, che tuttavia riuscì a contenere le perdite a un miliardo e duecento milioni.
La differenza è che il cancelliere Schroeder accusò il colpo e cominciò il suo declino, così come  gli organizzatori dell’evento scomparvero dalla scena circonfusi di vergogna e pentimento, mentre da noi il guappo premier grida all’ “impressionate successo”, chi ha guidato il trabiccolo fra ritardi e corruzioni è ormai lanciato sulla strada di Palazzo Marino (strana coincidenza di nomi), chi doveva vedere non ha visto nulla e ora fa di Milano la capitale morale grazie alla presunta virtù assolutoria  di un successo esistente solo nei media fiancheggiatori. Personaggetti, come direbbe De Luca.

Sulla placenta di corruzione e mafia nella quale è avvenuta la gestazione dell’Expo, così come quella delle grandi opere, ha già scritto ciò che si doveva Anna Lombroso (qui) ed è inutile ripetersi, preferisco parlare di una corruzione ancora più disperante: quella di un di un ceto dirigente, vorace e ottuso che pensa di uscire fuori dagli immensi problemi del Paese a forza di eventi estemporanei e di emergenze, privo di qualsiasi idea di sviluppo, di qualsiasi progetto, che si dedica alla spoliazione dei più deboli dai loro diritti, alle riduzioni di salario, ai risparmi europei a danno dei beni comuni e della civile convivenza prima ancora per inadeguatezza che per vocazione.  Certo un giubileo qui, un expo là portano soldi a valanga nelle tasche dei soliti noti che spesso coincidono coi soliti ignoti delle tangenti, ma portano poco o nulla sul piano generale. Sono le mangiatoie da basso impero tra le quali è venuto alla luce il bambin Matteo a miracol mostrare.

L’Expo da questo punto di vista è da manuale perché oltre ad ingrassare Comunione e Liberazione, Farinetti. movimenti terra, subappalti  e compagnia cantante, ha prodotto il nulla: qualche spicciolo in giro, sì, ma niente di più oltre all’imposizione del lavoro semigratuito e politicamente selezionato. L’Italia, dopo aver vinto fortunosamente la gara per l’esposizione universale non è stata in grado di concepire nulla che andasse oltre lo stereotipo pizza e mafia, organizzando qualcosa di lontanissimo da una seria occasione di confronto globale sulle politiche agricole e alimentari per dedicarsi alla costruzione di una fiera di ristorazione. Si sa da decenni che queste manifestazioni sono in perdita e che se possono servire a qualcosa è fornire una nuova immagine del Paese che le ospita. Senza questo sono solo e in questo caso letteralmente, magna magna. Nel mondo – Italia esclusa,  ci sono più di 75 mila ristoranti che fanno cucina del nostro Paese per un giro di affari annuale di 30 miliardi dollari: la tavola è uno dei pochissimi campi in cui abbiamo un prestigio riconosciuto anche se non sempre onorato. Si sarebbe dovuto pensare ad altro rispetto a una stanca riproposizione o comunque a qualcosa che andasse al di là del solito mega ristorante. Si è sciupata un’occasione per incapacità ideativa, mettendo in piedi qualcosa solo per dare spazio ai peggiori e più sospetti appetiti.  E per trasformare in speculazione selvaggia  il dopo.
Mi sembra davvero giusto che tutto questo aspiri adesso e senza vergogna a essere pietra miliare per il futuro del Paese.

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