da: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/
Cosa
ci dicono Sala e Marchini
di Alessandro
Gilioli
L'aspetto più interessante di questa fase
politica italiana è la curiosa e nuova condizione in cui si trovano sia il
centrosinistra sia il centrodestra in vista delle elezioni di primavera nelle
quattro principali città italiane (Roma, Milano, Napoli, Torino) e in altri
comuni importanti come Bologna, Cagliari e Trieste. (post lunghetto, chi ha
fretta molli)
Prendiamo
il centrosinistra, per iniziare: allo scorso turno era un
recinto abbastanza definito e ampio che conteneva in sé il Pd ma anche Sel e
l'Italia dei Valori, due forze insieme facevano un 8-10 per cento
dell'elettorato; e qualche volta c'erano anche Rifondazione e i Verdi, non
ancora ridotti a partitini ininfluenti.
Ma, soprattutto, allora il centrosinistra
era ancora il discendente diretto dell'Ulivo, alle spalle del quale c'era
quindi un popolo che per vent'anni si era opposto a Berlusconi: e in questa
opposizione aveva trovato una propria identità comune, quindi andava alle
primarie del centrosinistra o comunque votava sentendosi parte di un qualcosa.
È stato il periodo in cui l'Italia pareva
aver raggiunto il bipolarismo, anche se l'identità del centrosinistra era
fondata appunto più sull'essere contro qualcuno (Berlusconi) che non su una
progettualità condivisa: come si è visto del resto le due volte che l'Ulivo ha
governato a livello nazionale.
A livello locale, invece, il centrosinistra
ha prodotto tante giunte che hanno spesso tenuto per tutto il loro mandato,
anche se il più delle volte guidate da personalità esterne al Pd e più a sinistra
(Milano, Cagliari, Genova), frutto anche della breve stagione in cui Nichi
Vendola pareva in corsa per la leadership.
Un'era geologica fa, quindi.
Adesso il centrosinistra a livello
nazionale è solo il Pd, anzi è solo Matteo Renzi che del Pd non si fida neanche
tanto.
E che fondamentalmente vorrebbe
sindaci-manager senza troppi grilli politici nella testa, che diano
dimostrazione di iperpragmatismo decisionista per contribuire alla narrazione
di un Paese efficiente.
Di qui il corteggiamento dei Giuseppe Sala
e degli Alfio Marchini, ma di qui anche altre ipotesi circolate come quelle di
Alessandro Profumo (sempre per Milano) o di Raffaele Cantone (per Napoli).
Non si tratta propriamente di
"tecnici", così come si intendevano ai tempi di Monti e dei suoi
professori, né tanto meno di "società civile". Si tratta più
semplicemente di figure poco connotate politicamente e con fama vera o usurpata
di possedere capacità manageriali e/o gestionali. Quindi in grado di prendere
voti da qualsiasi area politica (più o meno) e così seppellire definitivamente
quanto resta del bipolarismo destra-sinistra (del resto non è un caso che
Marchini sia un candidato intercambiabile e che Sala sia stato collaboratore
della Moratti).
Aldilà di ogni giudizio su questa svolta
antipolitica, non è molto chiaro come dopo una trasformazione del genere abbia
ancora un senso parlare di "area del centrosinistra" all'interno
della quale "scegliere il candidato con le primarie".
Cioè, può darsi che a livello locale questa
percezione del centrosinistra come comunità con un minimo di identità condivisa
sia rimasta (vuoi per la lontananza da Roma vuoi per il buon esito di alcune
esperienze di governo) ma se si ha il coraggio di guardare oltre i confini del
proprio comune si vede che è tutto cambiato, che si sta giocando con carte che
qualcuno da Roma ha fatto scadere.
Mi spiegavano stamattina che, per esempio,
a Milano le cose stanno precipitando: le primarie del centrosinistra erano già
state fissate con alcuni candidati già in corsa (come il parlamentare Emanuele
Fiano e il consigliere comunale Pierfrancesco Majorino) ma adesso da Renzi è
arrivato l'ukase di lasciare perdere o almeno di annacquarle il più possibile
per far posto a Sala. Mi pare giusto. Nel senso che mi pare coerente con quanto
è avvenuto a livello nazionale. Almeno non ci prendiamo per il culo, mettendo
in scena una rappresentazione farsesca di centrosinistra che ormai sarebbe solo
una rituale e quasi parodistica commemorazione.
Detto ciò, auguri veri e di cuore a
Majorino che invece ci crede ancora e prova a far sopravvivere a livello locale
una geometria politica e un popolo di centrosinistra che invece a livello
nazionale non esistono più.
Quanto a Roma, intesa come comune, qui l'ex
popolo di centrosinistra è ancora più sepolto, dopo quello che è successo con
l'affare Marino.
Amen.
In tutto ciò, tuttavia, anche il
centrodestra è in una condizione strana e nuova. Perché un "popolo del
centrodestra" non c'è davvero mai stato in Italia se non per
identificazione con la figura di Berlusconi. Il quale fino a ieri aveva la
capacità di mettere insieme i pezzi politici più diversi della sua area (fin
dal '94, quando si alleò con Bossi al nord e con i postfascisti al sud) con il
fine ultimo di curare i suoi interessi personali e aziendali.
Invece adesso Berlusconi è costretto ad
avere a che fare con un leader molto più politico che lo insidia per popolarità
a destra, cioè Salvini.
Questa nuova situazione non solo gli rende
più difficile mettere in piedi la classica alleanza di centrodestra, ma
soprattutto fa emergere anche da quelle parti (così come accade a sinistra) la
contrapposizione tra la componente "manageriale e non politica" e
quella che invece è decisamente politica (Salvini, Meloni etc) nei suoi
"valori" sovranisti, nazionalisti, antimigranti etc.
Prendete ad esempio Roma, dove Berlusconi
prima ha detto di voler anche lui Marchini (area manageriale e non politica)
poi ha fatto una mezza marcia indietro dicendo che va bene anche Meloni (che
invece è decisamente politica). È il segno delle due cose diverse che lui tenta
di far stare insieme.
In sostanza Renzi e Berlusconi - che non
sono culturalmente né di sinistra né di destra, ma sono solo di Renzi e
Berlusconi - vorrebbero vincere le elezioni con manager fidati e/o candidati ideologicamente
apolitici, mentre nelle loro rispettive aree restano elementi politici, a
sinistra di sinistra e a destra di destra.
Per semplicità e per capirci potremmo dire
che Majorino rompe le scatole a Renzi proprio come Meloni rompe le scatole a
Berlusconi: tracce di politica in due aree i cui leader, invece, della politica
hanno disprezzo.
Tuttavia la specularità tra centrosinistra
e centrodestra finisce qui, perché mentre da una parte Renzi è dominus assoluto
quindi vince lui senza mediazioni, dall'altra Berlusconi non è più dominus
assoluto quindi è costretto a mediare con pezzi di destra politica come appunto
Salvini e Meloni.
Detta in sintesi, dopo tutta questa pippa,
oggi pare esserci più politica nel centrodestra che nel centrosinistra. O almeno
che la politica a destra sta rialzando la testa - dopo essere stata sequestrata
per vent'anni dagli interessi di Berlusconi - mentre nel centrosinistra è
sempre più sotto sequestro dell'antipoliticismo renziano.
E sì, se siete arrivati fin qui lo so che non
vi ho messo di buon umore, ma mi sembra che così stiano le cose, in Italia, in
chiusura di 2015.
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