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Inutile girarci intorno, il 13 novembre
marca un prima e un dopo in Francia e in Europa, nei nostri animi e nella
società, nei governi, nella politica estera e nelle conseguenti scelte
economiche: due francesi, tra ieri e oggi, lo hanno detto senza mezzi termini. Ha
cominciato Le Président de la République dichiarando guerra allo Stato Islamico
con capitale Raqqa, con un passaggio di lessico diplomatico tutt’altro che
retorico e avulso dalla normale iperbole comunicativa.
Riunendo il Parlamento in quella Versailles
luogo di straordinario significato storico nell’immaginario francese ed
europeo, Hollande ha chiuso ogni
spazio politico alla demagogia lepenista sugli immigrati invocando, mettendo in atto la Union Sacrée della
Francia del 1914 quando furono i socialisti pacifisti di Jean Jaurès a
dover accettare la guerra come fatto ineluttabile, a schierarsi dietro la
Marsigliese e alla Presidenza sul fronte della Marna. Oggi è Marine Le Pen a
non poter fare altro, scavalcata da una opinione pubblica colpita al cuore che
si immedesima con suoi i piloti dei Super Etendard e dei Rafale in volo di
notte con i post bruciatori accesi e la rabbia dentro i’abitacolo verso la
lontana e sconosciuta Raqqa. Di più, Hollande, potentissimo Presidente della Costituzione della V Repubblica, ha
chiesto un ulteriore rafforzamento
dei
suoi poteri e di quelli dei suoi prefetti, suscitando non poche paure tra
chi teme un indebolimento delle libertà individuali come sempre accade in tempi
di guerra. Ma “a la guerre comme à la
guerre”, secondo il Presidente, e alla guerra ha chiamato Francesi ed
Europei, riconoscendo strumentalmente a IS la statura di Stato aggressore e
invocando non l’articolo 5 dello statuto della Nato ma quello dei trattati
europei. E di quelli europei non ha scelto quello relativo al terrorismo ma
quello che fa esplicitamente riferimento alla guerra tra stati. La diplomazia
francese sa, per antica scienza, quali armi usare.
Questo atto formale, compiuto in mattinata
dal ministro della difesa francese, rivoluziona lo scenario europeo perché i giochetti sulla austerità tanto cari ai
tedeschi vengono archiviati come atti ragionieristici e si apre lo scenario
della economia di guerra dove il deficit e il debito sono gli strumenti
universalmente e storicamente utilizzati dagli Stati. Hollande ne ha bisogno
perché ha il “fronte interno” rappresentato dalle seconde e terze generazioni di immigrati magrebini dove il tasso di disoccupazione giovanile passa
largamente il 40%; dove i giovani che fortunosamente agganciano un lavoro
hanno una retribuzione più bassa rispetto ai loro coetanei francesi ma dovranno
d’ora in avanti trovare una realizzazione dei propri sogni all’interno del
sistema di libertà e opportunità occidentali e non riscatto e prestigio
combattendo sotto le bandiere nere: pena, una guerra civile. In Francia, e
probabilmente altrove in Europa, certamente si proverà in Italia, questo
significa due parole sino ad oggi proibite: “spesa pubblica”, sia essa in opere
civili che in sicurezza e investimenti militari con conseguente sfondamento nel
debito pubblico. Noi babyboomers avevamo
cinicamente detto, comodamente seduti ai bar della movida cittadina, che in altri tempi una guerra avrebbe risolto i
problemi europei: et voilá messieurs, eccola servita.
Il secondo francese cui si faceva
riferimento nelle prime righe, il commissario europeo agli affari economici
Pierre Moscovici, ha affermato che la legge di bilancio francese presentata al
suo esame è congrua ma che se nel breve
periodo dovesse sfondare i parametri non vi sarebbe alcuna obiezione da
parte della Commissione. In sintesi, la Francia
ha il via libera per investimenti civili e militari fuori austerità in nome
della guerra allo Stato Islamico di Raqqa e tale sfondamento sarà ben superiore
ai trucchetti un po’ ipocriti europei ed italiani sui costi di gestione
dell’ondata migratoria.
Investire l’Unione Europea non riguarda
solo il bilancio: riguarda la egemonia
politica. La Francia soffriva enormemente
il ruolo assunto dai tedeschi nella
Europa intergovernativa: con l’appello alle norme del Trattato di Lisbona [l’articolo 42.7 prevede obbligo di
soccorso e assistenza a un stato membro oggetto di aggressione armata] non affida a Bruxelles nulla se non una
obbligatoria ratifica e prende in mano, o per lo meno lo è scopertamente nelle
intenzioni, la leadership che qualcuno immagina militare ma che è soprattutto
politica dove la forza militare è asservita al disegno politico, e per fortuna.
Lo fu la Force de Frappe di de Gaulle, lo sono oggi una manciata di Rafale e
una portaerei nucleare esattamente quando il Regno Unito si chiede se mantenere
in vita il proprio arsenale atomico e la Germania riduce al minimo investimenti
militari non destinati alla esportazione, avendo una marina e un esercito
malandati, rattoppati e inefficienti ombra di ciò che fu la Prussia (e anche
qui per fortuna).
La Francia è entrata nello Stade de France con i giocatori
magrebini che non cantavano la Marsigliese,
con Benzema campione di una generazione e simbolo maledetto sotto inchiesta per
ricatto e violenza nei confronti di un compagno di gioco; la Francia viene insanguinata dai suoi figli traditi ma
esce da quello stadio cantando la Marsigliese, inno in cui la violenza delle
parole è pari all’orgoglio mostrato. L’Europa, la nostra società cambiano
profondamente, l’agenda politica è sconvolta nelle sue priorità, la Grexit
dimenticata, i compiti a casa imposti dai tedeschi non hanno più alcun senso e
l’Italia con forze armate spossate e consumate dalle missioni estere mentre si
avvicina al Giubileo chiederà all’Unione di non calcolare gli investimenti in
sicurezza e difesa nel deficit.
Volevamo
gli eurobond, volevamo rendere neutra in bilancio la
spesa per investimenti in
innovazione e ricerca, otterremo di
averla tale per cannoni, divise e soldo ai soldati. Volevamo una guerra ed
è arrivata, con buona pace delle vetuste ruspe di Salvini consegnate per sempre
al folklore padano. Noi Occidentali siamo sangue barbaro e razionalità romana,
la seconda è servita per la diplomazia, il primo chiede quello altrui. Ed è vero, la religione non c’entra nulla.
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