lunedì 9 novembre 2015

Marco Travaglio: Il Pontassieve


da: Il Fatto Quotidiano

Non è vero che, come qualcuno ha ricominciato a dire dopo la riabilitazione del Ponte sullo Stretto, Renzi sia uguale a B. Parla come lui e fa più o meno le stesse cose che faceva o voleva fare lui, ma non è uguale a lui: per certi versi è meglio, per altri è addirittura peggio. È meglio perché gli mancano la P2, la mafia, le mazzette e le mignotte. È peggio perché B. almeno andava al governo dopo aver vinto le elezioni: Renzi mai. B. non destituì mai un sindaco perché non gli andava a genio: Renzi l’ha fatto a Roma, cacciando il sindaco eletto dal popolo per sostituirlo con un Dream Team non eletto da nessuno, ma nominato da lui che non ha eletto nessuno. Ma soprattutto: B. aveva sempre un piede in galera, dunque le porcate le faceva per costrizione e per disperazione: Renzi invece le fa per convinzione. Per B. le leggi vergogna erano un dovere: per Renzi sono un piacere. La devastazione autoritaria della Costituzione, il supercondono che manda al macero 10 mila processi per evasione fiscale, la soglia del contante a 3 mila euro, l’occupazione militare della Rai, la responsabilità civile dei giudici, il disprezzo per i sindacati, l’attacco ai talk che osano criticarlo, la cancellazione dell’articolo 18, la legge elettorale per nominare i parlamentari anziché eleggerli, la tassa sulla casa tolta anche ai ricchi, il doppio gioco su diritti e unioni civili, l’amore per Alfano e Verdini, ora pure il Ponte (che, come ha scritto qualcuno, serve a collegare Alfano al Pd).


Renzi non ha ancora detto che Mangano era un eroe, ma solo perché non sa chi sia. Chi s’illudeva che bastasse mandare a casa B. per liberarsi del berlusconismo ha la sensazione di rivivere sempre lo stesso giorno, come Albanese nel film È già ieri. Ma non è tutto come prima. Oggi è peggio.
Il Caimano ne combinava tali e tante da svegliare la società civile, creando con le sue mani un movimento spontaneo di cittadini che, per la prima volta in Europa, scesero in piazza in difesa della legalità e addirittura della magistratura. La Costituzione non ebbe mai tanti tifosi come quando B. la picconava. Ma, se quel movimento di cittadini era spontaneo, non si può dire altrettanto di chi lo catalizzava, canalizzava e chiamava a raccolta: molto spesso erano giornali e intellettuali di sinistra (o sedicenti tali) che della legalità e della Costituzione se ne infischiavano: le usavano per combattere B., colpevole ai loro occhi non di attaccare legalità e Costituzione, ma di essere “di destra” e di governare al posto della sinistra.

Oggi che gli stessi valori sono minacciati dall’altra parte, quella “giusta” (la loro), i paraculi si voltano dall’altra parte (tipo Benigni ndr), non si fanno trovare, hanno altro da fare o fanno mille distinguo: eh, certo, questi magistrati sono dei gran rompicoglioni… e quella Costituzione, beh, a guardarla meglio non è proprio la più bella del mondo… Anche il Ponte sullo Stretto, che quand’era targato B. faceva schifo, non stava in piedi (letteralmente: la campata unica con quei venti e quei rischi sismici), era un regalo alle mafie o uno spreco di miliardi, ora che è targato Renzi beh, insomma, non è mica una brutta idea.

L’altra sera se ne parlava a Linea Notte, che quando la conduce Maurizio Mannoni è meglio del Processo di Biscardi. M’annoi aveva convocato una delle lingue più vellutate del new journalism, Salvatore Merlo del Foglio, che difendeva il Ponte con argomenti filosofici (“come si può essere contrari a un ponte?”), teologici (“Pontefice vuol dire facitore di ponti”, dunque Bergoglio è con lui) e persino odontotecnici (“quando ti cade un dente ti fai mettere un ponte”). M’annoi dirigeva il traffico delle cazzate tutto giulivo, ben conscio di aver servito ancora una volta la Causa. Nessuno ricorda quel che diceva Renzi prima della cura: “Preferiamo la banda larga al ponte sullo Stretto” (prima Leopolda, 7.11.2010), “Continuano a parlare del Ponte: ma gli 8 miliardi li dessero alle scuole!” (1.10.2012). Anzi, avverte su La Stampa Federico Geremicca, il Ponte di Renzi è “moderno” e “postideologico” e chi si attarda a contestarlo è la “vecchia sinistra”, con “i piedi impantanati nel secolo scorso”. Il fatto che proprio le grandi opere, pesanti, inquinanti, costose e criminogene, siano roba degli anni 80 e che tutto il mondo civile oggi insegua la leggerezza, il verde e il risparmio, non lo sfiora: per Geremicca le grandi opere sono sinonimo di “futuro, velocità, modernità e crescita”. E cita, che Dio lo perdoni, come padre della modernità renziana Tony Blair (uno che passa il tempo a chiedere scusa e non osa mettere il naso fuori di casa nel suo Paese sennò lo lapidano) e come ultimo “modello della capacità italiana” l’Expo: grande emblema di “velocità”, forse per le code di 7-8 ore. A questo punto il raccordo anulare di Roma, come dice Crozza, dovrebbe essere monumento nazionale.

Ma non è mica finita qui: “la Tav e il Mose” eguaglieranno presto “il Colosseo, Firenze e Pompei” (al netto del Vesuvio, si spera): “il futuro è scritto e appartiene alle grandi opere. Alla faccia di quei gufi tristanzuoli della sinistra pd. Anzi della sinistra tutta, più in generale”. Allarghiamo gli orizzonti. “Perché – domanda il piccolo scrivano renziano – la Francia deve avere la torre Eiffel e l’Italia non può avere il Ponte sullo Stretto, che servirebbe pure?”. Mi voglio rovinare: perché gli egiziani devono avere la Sfinge e la Piramide di Cheope, i cinesi la Grande Muraglia, e noi no? Pensiamo in grande e soprattutto annunciamo alla grandissima.
L’altro giorno è tornata a piede libero Wanna Marchi: appena in tempo.

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