X
Factor, Martina Attili porta la sua vita nelle canzoni. Ne ho parlato con chi
la conosce bene
di Paolo Talanca
L’ho scritto già un paio di
settimane fa: questa è un’edizione anomala di X Factor
perché i due artisti fino a oggi più
importanti – e favoriti anche per la vittoria finale – devono tutto alla
propria capacità di scrittura, non solo a quelle di interprete. Parlo
ovviamente di Marco Anastasio e Martina Attili. Del primo ho già
scritto; della seconda scrivo qui di seguito.
Martina ha
fatto registrare fino ad adesso in totale circa 20 milioni di visualizzazioni per il brano Cherofobia. Un’infinità.
Ma come mai? Cosa c’è dietro questi numeri che stracciano qualunque precedente
per un inedito a X Factor Italia? Proviamo a dare delle riposte, aiutandoci
anche con le parole di una persona molto vicina a Martina: suo papà Daniele Attili.
Credo che prima di tutto le canzoni di Martina arrivino come
qualcosa di autentico, per via della capacità di scrivere e di
padroneggiare i diversi registri del canto. Questo però rimarrebbe inefficace
se la ragazza non conoscesse a fondo le sensazioni che canta. Martina è una cantautrice, prima, molto
prima di essere interprete. Due sono i brani più conosciuti: Un incubo ogni
giorno e, appunto, Cherofobia. Leggiamo cosa mi ha detto Daniele su questo
aspetto: “Cherofobia e Un incubo ogni
giorno sono brani scritti a 15 anni.
Ci vuole molta sensibilità a quell’età per certe canzoni e vengono fuori se hai un percorso di vita reale, concreto, dove c’è stata anche sofferenza. Nascono da momenti difficili. Faccio un esempio: lei era molto brava a pattinare, faceva delle gare e si è rotta un legamento in maniera seria. Abbiamo rischiato addirittura di perderla, ce l’hanno salvata al Bambin Gesù. Sono sogni che crollano ed è difficile rialzarsi in certe situazioni. L’operazione non andò bene ed ebbe dei dolori pazzeschi; lì nasce Un incubo ogni giorno. Fu rioperata, un vero calvario”.
Ci vuole molta sensibilità a quell’età per certe canzoni e vengono fuori se hai un percorso di vita reale, concreto, dove c’è stata anche sofferenza. Nascono da momenti difficili. Faccio un esempio: lei era molto brava a pattinare, faceva delle gare e si è rotta un legamento in maniera seria. Abbiamo rischiato addirittura di perderla, ce l’hanno salvata al Bambin Gesù. Sono sogni che crollano ed è difficile rialzarsi in certe situazioni. L’operazione non andò bene ed ebbe dei dolori pazzeschi; lì nasce Un incubo ogni giorno. Fu rioperata, un vero calvario”.
Ora,
non tutte le persone che hanno disavventure nella vita diventano cantautrici. Credo
che nel caso di Martina Attili si siano
incontrati diversi fattori: una sensibilità che è portata a scandagliare e
trasformare in altro il proprio vissuto; un amore viscerale per la parola, per
il suo suono e per i suoi significati (ne è un esempio il termine “cherofobia”);
una capacità egregia di far arrivare a un pubblico quelle stesse parole e le
sensazioni vissute in quel momento, ricreandole qui e ora in canzone. Credo
sinceramente che lo spropositato numero di visualizzazioni derivi dall’aspetto
più scintillante della forza delle canzoni: se sono autentiche e si sanno
scrivere arrivano dritte alla sensibilità di chi ascolta. Nasce così una
poetica precisa che porta l’ascoltatore a riconoscere come prezioso quel modo
di fare arte.
Parlando con Daniele Attili, ho scoperto
che c’è un’altra canzone nel cassetto,
che scava ancor più nel profondo della vita di Martina. Si chiama Piccoli eroi e parla di bullismo: “Viene fuori da un periodo
difficilissimo di mia figlia, mio e di sua mamma Alessandra. Quando a nove anni
ti accorgi che una bambina non vuole alzarsi dal letto, non va a scuola per dei
mal di pancia… lì ti interroghi e arrivi a pensare che dietro ci sia altro. Martina a nove anni è stata vittima di bullismo.
Fummo costretti a cambiare scuola, dunque anche quella fu vissuta come una
sconfitta. Piccoli eroi racconta
tutto ciò. Riesce a restituire la
sofferenza dell’incomunicabilità con i genitori, che non comprendono quello
che sta accadendo. Immagino che molti si riconosceranno in questo pezzo e
saranno presi allo stomaco”.
Da queste parole capiamo dunque che c’è un
filo rosso nel fondo dei brani di Martina Attili. Per questo è anomalo e
prezioso quello che sta succedendo quest’anno a X Factor: Martina ha successo solo grazie alla capacità di saper racchiudere la
sua vita in tre minuti di canzone. Il fattore X diventa la scrittura, non
l’icona da ripetere. E funziona. Per questo, credo che anche ciò che
seguirà il periodo di X Factor dovrà assecondare questa specificità: i brani di
Martina meriterebbero l’intimità di un teatro. Ancora Daniele: “Martina ha
scritto fino ad adesso 20 canzoni. Oltre a Cherofobia, Un incubo ogni giorno e
l’inedita Piccoli eroi ci sono altri brani che meriterebbero un
rapporto più vicino col pubblico. Soprattutto negli ultimi, vedo un’evoluzione
della scrittura. Come detto, lei è una cantautrice, non un’interprete pura. È
una ragazza di 17 anni che ha bisogno di crescere con i tempi giusti: ora per
esempio è importante la scuola. Cercheremo di prenderci il nostro tempo, non
abbiamo fretta, non vogliamo correre”.
Martina, i miei migliori auguri.
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