lunedì 10 dicembre 2018

Decreto Dignità, effetti sui contratti: perché in questo paese non si dovrebbe tentare un po’ di giustizia sociale?


Nel post sotto ho riportato un articolo del Sole 24 Ore relativo agli effetti del cosiddetto “Decreto Dignità” perché ritengo che bisogna anche fare i conti con i numeri.

Detto che, non si possono ignorare i numeri, trovo allucinante e sintomo di una crisi morale, mentale, che in questo paese non si possano adottare provvedimenti per cercare di ridurre le distanze sociali, per cercare di trovare un equilibrio, un senso di giustizia sociale.

Cercare di limitare o regolare i contratti a tempo determinato è cosa buona e giusta. Se un imprenditore assume per più tempo con contratto a tempo determinato è perché c’è lavoro. Ha bisogno di quel lavoratore. E, allora, perché non assumere a tempo indeterminato? Ci sta che per un anno, due anni, si facciano contratti a tempo determinato. Ma poi, stop. E’ una questione di equità, di correttezza. Ben vengano, quindi, norme che introducono limiti e regole per questa tipologia di contratti. Ovviamente, purchè tutto questo sia gestito normativamente in modo tale da non creare contenziosi inutili che sono costosi per le imprese ma anche per lo Stato. Purchè si tenga conto delle diverse realtà produttive. Che debbano esistere contratti temporanei ci sta, per alcun tipologie di attività.

C’è però un’osservazione (contenuta anche nell’articolo del Sole 24 Ore) sui cui battono particolarmente gli avversari della riforma contrattuale di Di Maio. Nel contesto economico attuale l’imprenditore non se la sente di assumere a tempo indeterminato.
Comprensibile. Ma questo che significa? Che dobbiamo lasciare unicamente alle imprese la legislazione in materia di contratti? Decidono loro come devono essere? No, dico, stiamo scherzando.
Per conciliare le esigenze degli imprenditori senza dare un calcio a una norma equa, anziché discutibili scelte che aumentano il debito pubblico senza creare investimenti, si dovrebbero incentivare le aziende ad assumere a tempo indeterminato.

Il fatto che siamo da tanti anni sommersi da un enorme debito pubblico non significa che ci debba essere impedito di adottare una politica sociale. Non si possono ignorare i numeri, non si può ignorare che non possiamo giocare con il debito pubblico, ma ancor di più non possiamo ignorare le diseguaglianze reali, l’assenza di uno stato sociale (ma non assistenziale), verso cui dovrebbe tendere la politica degli onesti e dei capaci.

Ma qui arriviamo al punto. Il governo di Salvini e del “cuginetto” Di Maio sono questo tipo di politici? Ne dubito….ogni giorno di più. Per cui, il rischio è che alla fine i numeri prendano il sopravvento e coloro cui non fotte nulla di una società più equa, più giusta, impongano la “forza dei numeri”, decimali inclusi. A pagare il prezzo maggiore saranno ancora una volta i poveri reali e il ceto medio su cui grava il maggior carico fiscale.

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