Nel post sotto ho riportato un articolo del
Sole 24 Ore relativo agli effetti del cosiddetto “Decreto Dignità” perché ritengo
che bisogna anche fare i conti con i numeri.
Detto che, non si possono ignorare i
numeri, trovo allucinante e sintomo di
una crisi morale, mentale, che in
questo paese non si possano adottare provvedimenti per cercare di ridurre le
distanze sociali, per cercare di trovare un equilibrio, un senso di giustizia
sociale.
Cercare di limitare o regolare i contratti a tempo determinato è cosa buona e
giusta. Se un imprenditore assume per più tempo con contratto a tempo
determinato è perché c’è lavoro. Ha bisogno di quel lavoratore. E, allora, perché
non assumere a tempo indeterminato? Ci sta che per un anno, due anni, si
facciano contratti a tempo determinato. Ma poi, stop. E’ una questione di
equità, di correttezza. Ben vengano, quindi, norme che introducono limiti e
regole per questa tipologia di contratti. Ovviamente, purchè tutto questo sia
gestito normativamente in modo tale da non creare contenziosi inutili che sono
costosi per le imprese ma anche per lo Stato. Purchè si tenga conto delle
diverse realtà produttive. Che debbano esistere contratti temporanei ci sta,
per alcun tipologie di attività.
C’è però un’osservazione (contenuta anche
nell’articolo del Sole 24 Ore) sui cui battono particolarmente gli avversari della riforma contrattuale di Di Maio. Nel contesto economico
attuale l’imprenditore non se la sente di assumere a tempo indeterminato.
Comprensibile. Ma questo che significa? Che dobbiamo lasciare unicamente alle
imprese la legislazione in materia di contratti? Decidono loro come devono
essere? No, dico, stiamo scherzando.
Per conciliare le esigenze degli
imprenditori senza dare un calcio a una norma equa, anziché discutibili scelte
che aumentano il debito pubblico senza creare investimenti, si dovrebbero
incentivare le aziende ad assumere a tempo indeterminato.
Il fatto che siamo da tanti anni sommersi da un enorme debito pubblico non significa che ci debba essere impedito
di adottare una politica sociale. Non si possono ignorare i numeri, non si
può ignorare che non possiamo giocare con il debito pubblico, ma ancor di più non
possiamo ignorare le diseguaglianze reali, l’assenza di uno stato sociale (ma
non assistenziale), verso cui dovrebbe
tendere la politica degli onesti e dei capaci.
Ma qui arriviamo al punto. Il governo di
Salvini e del “cuginetto” Di Maio sono questo tipo di politici? Ne dubito….ogni
giorno di più. Per cui, il rischio è che alla fine i numeri prendano il sopravvento
e coloro cui non fotte nulla di una società più equa, più giusta, impongano la “forza
dei numeri”, decimali inclusi. A pagare il prezzo maggiore saranno ancora una
volta i poveri reali e il ceto medio su cui grava il maggior carico fiscale.
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