Oggi
piangono, ma sono Pd e Forza Italia che hanno ucciso il Parlamento, non Lega e
Cinque Stelle
Negli
ultimi vent’anni il voto di fiducia è servito ad approvare manovre, a salvare
governi, a cambiare la legge elettorale: ma tutti piangono per il maxi
emendamento del governo Conte. Che avrà tante colpe, ma non è certo il killer
di Camera e Senato
di Alberto
Quaranta
Nell’ultimo
ventennio di Repubblica italiana il Parlamento è stato ucciso in serie dai
molteplici governi del Cavalier Berlusconi, dalle maggioranze di centrosinistra
targate Ulivo, Unione e Pd, e dalle varie sperimentazioni di
stampo centrista e di rito nazarenico. La famosa centralità del Parlamento è
servita solo a far sciacquare la bocca alla classe dirigente che ha dominato la
scena. Non a caso quando ieri palazzo
Madama ribolliva di urla, invettive, spintoni e le opposizioni condannavano
l’atteggiamento dell’esecutivo gialloverde (“Vergogna, dove è finita l’onestà.
Vogliamo vedere il testo…”), c’era chi come un vecchio arnese del Carroccio si
lasciava andare in questi termini: «Vien
da ridere che oggi democratici e azzurri scoprano la democrazia parlamentare.
Ma non si rendono conto di essere in malafede?».
Certo, siamo tutti d’accordo nel dire che in passato il maxiemandamento alla legge di
bilancio avrebbe almeno recepito le richieste della commissione mentre
quest’anno i membri della Bilancio non hanno nemmeno avuto il tempo di leggere
il testo scritto a più mani da Juncker, Moscovici, Tria, Mattarella più una
serie di tecnici di Bruxelles e via XX Settembre. Tutto verissimo. Eppure la
protesta di Pd e Forza Italia lascia di stucco, appare più un capriccio per
ricordare ai cittadini: “Siamo ancora vivi”.
Se riavvolgiamo il nastro, ricordava ieri il vecchio arnese del leghismo attorniato da una serie di cronisti, le malefatte degli esecutivi che oggi si professano «i paladini» della democrazia parlamentare, raggiungono e per certi aspetti superano la forzatura di Di Maio e Salvini.
Se riavvolgiamo il nastro, ricordava ieri il vecchio arnese del leghismo attorniato da una serie di cronisti, le malefatte degli esecutivi che oggi si professano «i paladini» della democrazia parlamentare, raggiungono e per certi aspetti superano la forzatura di Di Maio e Salvini.
In testa alla classifica di questo lungo
elenco non può non esserci il tycoon Berlusconi.
L’uomo di Arcore odiava le perdite
tempo, gli oppositori interni ed esterni. Da self made man qual è, ha
sempre considerato il Parlamento un
ostacolo alla politica del «fare». Fosse
stato per lui avrebbe fatto tutto da palazzo Grazioli. Ecco perché quando
dominava la scena si serviva del voto di fiducia ogniqualvolta era in
difficoltà. Al punto da sbottare in questi termini davanti alle telecamere: «A
cosa serve il Parlamento, basterebbero soltanto i capigruppo…». Insomma
nell’immaginario del Cavaliere Camera e Senato si sarebbero dovuti ridurre al
massimo a un drappello di dieci persone a dir tanto. Un concetto di democrazia
parlamentare quello berlusconiano che stride oggi con gli appelli di Annamaria Bernini
(«Verrebbe voglia di aderire al famoso “vaffaday”. Non ne possiamo più. Non
stanno imbavagliando noi ma gli italiani»), di Mara Carfagna, della pasionaria
Licia Ronzuli, eccetera.
Quanto ai governi di centrosinistra, la solfa non cambia. Basti pensare che
il 15 dicembre 2006 l’aula del Senato ha
approvato il solito maxiemandamento alla legge di bilancio con 162 voti a
favore, 157 contrari. Con un dettaglio: la differenza di cinque voti è stata
determinata dal voto di cinque senatori a vita. Tutto normale, vero? E poi
come non rimembrare le performance della maggioranza di centrosinistra a guida Matteo Renzi. Chi era presente la
scorsa legislatura mette in fila «le undici
fiducie sulla legge elettorale». U-n-d-i-c-i. Soltanto sull’Italicum, sistema di voto poi bocciato dalla Corte
Costituzionale, l’esecutivo renziano ha
posto 3 volte il voto di fiducia a Montecitorio. Di più: nel corso del
dibattito in commissione Affari costituzionale l'ex premier decise di
sostituire i componenti dissidente al renzismo. Fuori con un colpo di mano
Alfredo D’Attorre, Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo. E poi cosa dire sempre
della riforma costituzionale di stampo
boschian-renziano che avrebbe voluto abolire sempre a colpi di fiducia il
Senato facendo diventre quest'ultimo un museo? Il tutto in barba alla famosa centralità del
Parlamento ma con sedute notturne e i cosiddetti «canguri» a farla da padroni
per bypassare gli emendamenti delle opposizioni. L’obiettivo di quella
riforma costituzionale era quello di trasformare il Parlamento in una sorta di
consiglio di comunale. Con il primo cittadino d’Italia pronto a fare e disfare
Camera e Senato. Anzi, no. Solo Montecitorio. Perché il Senato sarebbe
diventato il bivacco dei consiglieri regionali. Ecco, il Parlamento italiano è
stato già ucciso da quelli che oggi protestano. E allora per quale motivo gli
stessi che lo hanno ucciso se la prendono con M5S e Lega?
Nessun commento:
Posta un commento