martedì 1 ottobre 2019

Stop all’Iva e poco altro: il primo Def dei giallorosa


da: Il Fatto Quotidiano - di Carlo Di Foggia

Approvato - Niente scontro con l’Ue. Il deficit da solo non basterà: ci sono tagli e una “lotta all’evasione” monstre. Sul cuneo fiscale la riduzione promessa è mini

L’obiettivo finale sarà raggiunto: disinnescare i 23 miliardi di aumenti automatici dell’Iva previsti nel 2020. Oltre questo, però, al momento la manovra giallo-rosa promette poco o nulla, se non un libro degli impegni fatto di maggiori investimenti verdi, la riduzione del cuneo fiscale, ma anche tagli di spesa, qualche aumento di imposte e una lotta all’evasione che dovrebbe portare una dotazione monstre di 7 miliardi. Tutto grazie a una tregua sul 2020 per quanto riguarda la riduzione del deficit, che però ripartirà dal 2021.

È in sintesi il quadro che emerge dalla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza approvato ieri dal Consiglio dei ministri. Sul primo documento, che fa da cornice alla legge di Bilancio, attesa dopo la metà di ottobre, c’erano forti aspettative. La realtà, però, è che per ora si tratta di piccolo cabotaggio.
In conferenza stampa, il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia sono cauti. “Non si tratta di una manovra restrittiva”, spiega Roberto Gualtieri. Difficile, però, chiamarla espansiva. La crescita nel 2019 si fermerà allo 0,1% per salire allo 0,6% il prossimo anno. Il governo porterà il deficit pubblico nel 2020 al 2,2% del Pil,
sostanzialmente in linea con quello del 2019 e di poco superiore agli impegni fissati ad aprile scorso. In sostanza una tregua sul 2020: invece di correggere il deficit strutturale (al netto del ciclo economico e delle misure una tantum) dello 0,6% come chiesto da Bruxelles, il saldo peggiora dello 0,1%. Già dal 2021, però, il governo si impegna a ridurre il deficit all’1,8% per arrivare all’1,4 nel 2022. Una stretta fiscale da quasi 7 miliardi l’anno in un biennio. Il debito pubblico è previsto in lieve calo il prossimo anno, dal 135,7 al 135,1% del Pil.
Nonostante le pressioni della sua maggioranza, Gualtieri non ha voluto scontrarsi con Bruxelles e la nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen, dove pure agli Affari economici siede un italiano, Paolo Gentioloni, accontentandosi di un piccolo ritocco del disavanzo.
Dalla cornice ristretta discende tutto il resto, comprese le fibrillazioni della maggioranza. A conti fatti la manovra vale quasi 30 miliardi, di cui 14 arrivano dal maggior disavanzo. Gli altri 14 andranno trovati. Nel documento il governo spiega che oltre 1,7 miliardi arriveranno da tagli di spesa, altrettanti dalle riduzione delle tax expenditures, cioè le detrazioni fiscali e dei sussidi ambientali dannosi. Stesso importo si pensa di ottenere prorogando l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione di terreni e partecipazioni. Il grosso, però, arriverà dai 7 miliardi cifrati sotto la voce “lotta all’evasione”. È la cifra da aggiungere ai 23 miliardi di aumenti Iva automatici da sterilizzare (le “clausole di salvaguardia”) per chiudere il conto della manovra. Queste risorse serviranno per finanziare un primo taglio del cuneo fiscale, cavallo di battaglia del Pd, che per il 2020 vale solo 2,5 miliardi. Dovevano essere 5 ma la coperta è corta e quindi la misura partirà da luglio. Nel 2021, promette il governo, raddoppierà.
Per riuscire anche in questa piccola operazione è vitale che dal capitolo fiscale arrivino tutte le risorse previste. Sulle misure, però, nella maggioranza è guerra aperta (lo leggete a destra). Il Pd, con l’avallo di Conte, vorrebbe prenderle con aumenti selettivi dell’Iva da compensare con rimborsi per chi paga con strumenti elettronici e riducendo le aliquote su alcuni beni (come la pasta o le bollette). Ipotesi bocciata da M5S e Italia Viva di Matteo Renzi. L’accordo finora non c’è stato e quindi il documento si limita solo a fissare l’obiettivo.

Impegni vaghi e ridimensionati riguardano anche l’altro capitolo rilevante del programma giallorosa: la riconversione energetica (il green new deal). Il governo punta a chiedere flessibilità a Bruxelles per scorporare gli investimenti dal deficit per lo 0,5% del Pil nel 2020, circa 9 miliardi. Difficile riesca a ottenerli tutti. Il Def annuncia che saranno creati due nuovi fondi di investimento, assegnati a Stato e Enti territoriali, per un ammontare complessivo di 50 miliardi “su un orizzonte di 15 anni”, cioè circa tre l’anno. Le risorse andranno a finanziare progetti di rigenerazione urbana, riconversione energetica e incentivo alle rinnovabili. Al momento, poco o nulla c’è sul fronte università, scuola e sanità. Il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti aveva chiesto 3 miliardi (“O mi dimetto”). Ieri ha preso atto “che sulla scuola non ci sono tagli”. La partita si sposterà nella manovra. Salvini già attacca: “È una truffa, hanno tradito tutte le promesse”.

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