venerdì 4 ottobre 2019

Colf e badanti, qual è l’ipotesi del governo che spaventa le famiglie


da: https://www.corriere.it/economia/ - di Valentina Santarpia

L’ipotesi del governo
«Non trasformiamo le famiglie in sostituti d’imposta»: a lanciare l’allarme è Assindatcolf, il sindacato di categoria, che dopo aver visto la nota di aggiornamento che prepara la manovra, ha chiesto un incontro al ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, per pensare a un «intervento organico». Anche se per ora non è stato ancora deciso niente- quello a cui si riferisce il sindacato è solo uno studio allegato, un’ipotesi- cerchiamo di capire cosa potrebbe cambiare per le famiglie che hanno in carico una persona di servizio, colf, badante o baby sitter che sia.

Gli obiettivi
Partiamo da un presupposto. Il settore è uno di quelli in cui il lavoro nero è purtroppo ampiamente diffuso. Secondo Assindatcolf, il 60% dei lavoratori domestici non è assunto regolarmente, con conseguenze importanti per le casse dello Stato. Il comparto «ha registrato all’Inps 850mila rapporti di lavoro ma stimiamo ce ne siano altrettanti in nero», dice il segretario nazionale Teresa Benvenuto. Ed è per questo che il governo, per fare cassa, sta pensando di introdurre delle novità che potrebbero far emergere le irregolarità. La più importante è proprio quella di trasformare i datori di lavoro in sostituti d’imposta.

Che cosa significa sostituto d’imposta

Il datore di lavoro non è tenuto a trattenere dallo stipendio del lavoratore le ritenute fiscali. Versa semplicemente i contributi previdenziali (Inps/Inail), ed è poi il lavoratore a dover pagare le tasse in dichiarazione dei redditi (Irpef). L’ipotesi è quindi ora quella di obbligare invece le famiglie a effettuare le trattenute mensili, da versare poi all’Erario, mediante modello F24 o altri metodi semplificati.

Cosa succederebbe
In questo modo i lavoratori avrebbero stipendi più bassi, pur venendo meno per loro l’obbligo di pagare le tasse successivamente. E i datori di lavoro dovrebbero pagare non solo i contributi previdenziali ma anche l’Irpef per i lavoratori.

Chi si oppone
Una soluzione che non piace al sindacato dei lavoratori domestici: per fare emergere dal sommerso, anche dal punto di vista fiscale, i lavoratori domestici non si può dare «un ulteriore aggravio alle famiglie, burocratico e amministrativo», come quello di trasformare questi datori di lavoro «in sostituti di imposta». Il primo costo sarebbe quello necessario «per rivolgersi a un professionista che dia una mano a gestire» questa nuova contabilità. Infatti per calcolare i contributi da trattenere bisognerebbe valutare prima l’aliquota (fino a 1 5mila euro è il 23%, poi il 27%), poi le detrazioni da lavoro (se determinato o indeterminato) e familiari (se il lavoratore ha coniuge o figli a carico), e poi le addizionali regionali e comunali in base alla Regione e al Comune di appartenenza. Non proprio un’operazione semplicissima.

La no tax area
Tanto più che, rileva il sindacato, esiste un’ampia fascia di «no tax area», cioè lavoratori che non raggiungono stipendi oltre gli 8100 euro all’anno e che quindi sono esentati dal pagamento delle tasse. E che è proprio qui che si annida gran parte del nero. I lavoratori avrebbero infatti tutto l’interesse a far sì che le famiglie non dichiarino interamente l’orario di lavoro in modo da evitare di pagare l’Irpef, dal 23 al 27% per le cifre oltre gli 8100 euro. Una circostanza confermata dal rapporto sul sommerso allegato alla Nota di aggiornamento al Def, dove si rileva che anche tra chi risulta all’Inps ce n’è almeno un quarto (circa 221mila) che si collocano in modo «anomalo» sulla soglia della no tax area, attorno agli 8mila euro.

L’ipotesi di marzo: l’Irpef al 15%
Un’ipotesi per provare a far emergere lavoro nero era stata formulata a marzo, nell’ambito del decreto sul reddito di cittadinanza e quota 100: ma è stato bocciata la possibilità di portare al 15% l’Irpef per i lavoratori domestici per spingerli pagare le tasse. Il prelievo al 15% si sarebbe applicato con una ritenuta d’acconto delle imposte su redditi sulle retribuzioni erogate ai lavoratori domestici effettuata dal datore di lavoro, che così come oggi avviene per i il versamento trimestrali dei contributi previdenziali, avrebbe versato direttamente all’Inps anche la quota di Irpef agendo da sostituto d’imposta pagando con il bollettino precompilato inviato dallo stesso istituto di previdenza. Un’opportunità persa per lo Stato di guadagnare circa 500 milioni di emerso senza aggravi aggiuntivi in termini di adempimenti per datori di lavoro e lavoratori domestici.

La proposta del sindacato: la deduzione per le famiglie
La segretaria di Assindatcolf ricorda, peraltro, che quando si tratta di sgravi per le assunzioni, come è accaduto da ultimo con l’incentivo per le imprese che assumono chi beneficia del reddito di cittadinanza, le famiglie «non vengono considerate tra i datori di lavoro» a cui concedere gli sconti. Assindatcolf, sottolinea Benvenuto, «chiede da sempre la defiscalizzazione del lavoro domestico» così come accade «per i costi aziendali del personale». Questo darebbe alla famiglia-datore di lavoro «maggiore potere contrattuale nei confronti di richieste che spesso vengono dal lavoratore: si avrebbe interesse a dichiarare l’intero orario di lavoro e anche l’effettiva retribuzione che, per una badante convivente supera ampiamente la no tax area. Così i lavoratori domestici pagherebbero le loro tasse, mentre i datori avrebbero un vantaggio sui costi che rispondono a una esigenza di welfare e non a una produzione di reddito».

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