martedì 29 ottobre 2019

I protagonisti del caso Conte-Vaticano tirati in ballo dal Financial Times



Dal presidente del Consiglio al finanziere Raffaele Mincione, passando per la segreteria di stato vaticana ecco spiegata la complicata vicenda di investimenti in immobili e telecomunicazioni

La vicenda con la quale il Financial Times ha tirato in ballo il premier Giuseppe Conte riguarda alcuni incarichi professionali collegati con la sua attività forense e ricevuti poche settimane prima di essere indicato come premier della coalizione Lega-M5s, nell'estate del 2018.

Più nel dettaglio Conte, a maggio del 2018, riceve l'incarico di elaborare un parere pro veritate "a favore della Fiber 4.0, un gruppo coinvolto nel controllo della Reselit, una compagnia di tlc italiana. Il principale investitore della Fiber 4.0 era il Fondo Athena Global Opportunities, finanziato interamente dalla segreteria di Stato vaticana".
Questo fondo, a sua volta, è "di proprietà del finanziere Raffaele Mincione". Al di là degli aspetti giudiziari e politici della vicenda vediamo chi sono i soggetti coinvolti.

IL FONDO FIBER 4.0 
È un fondo, di proprietà al 40% del finanziere Raffale Mincione. Nell'aprile del 2018 il fondo viene sconfitto in una votazione per il controllo di Retelit. Fiber 4.0 possedeva già il 9% di Retelit e pianificava di collocare Mincione a capo del cda. Secondo il Ft, per cercare di rovesciare il risultato, Fiber avrebbe ingaggiato Conte come consulente per un parere legale, o meglio avrebbe cercato di invalidare il voto degli azionisti con un escamotage tecnico legale che richiedeva l'approvazione del governo e, a tal fine, avrebbe assunto proprio Conte, cioè un avvocato che avrebbe rilasciato un parere legale pochi giorni prima di diventare primo ministro.

Questa ricostruzione è stata seccamente smentita dal premier che all'epoca era
professore di diritto all'Università di Firenze. La cordata che si è opposta con successo a Fiber 4.0 è formata dal gruppo statale libico delle tlc e della Shareholder Value, un fondo tedesco.

LA SOCIETA’ DI TLC RETELIT
Retelit, come si legge sul suo sito, è uno dei principali operatori italiani di servizi digitali e infrastrutture. Opera nel mercato delle telecomunicazioni. Dal 2000 è quotata alla Borsa di Milano, dal 26 settembre 2016 è nel segmento STAR. L'infrastruttura in fibra ottica di proprietà della società si sviluppa per oltre 12.500 chilometri (equivalenti a circa 321.000 km di cavi in fibra ottica) e collega 10 reti metropolitane e 15 Data Center in tutta Italia. Con 4.000 siti on-net e 41 Data Center raggiunti, la rete di Retelit si estende anche oltre i confini nazionali con un ring paneuropeo con PoP nelle principali città europee, incluse Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Marsiglia, raggiungendo anche New York e il New Jersey, negli USA.
Retelit è membro dell'AAE-1 (Africa-Asia-Europe-1), un consorzio che gestisce il sistema di cavo sottomarino che collega l'Europa all'Asia attraverso il Medio Oriente. Offre servizi che vanno dalla connessione Internet in fibra ottica al Multicloud, dai servizi di Cyber Security e Application Performance Monitoring ai servizi di rete basati su tecnologia SD-WAN.

IL FONDO ATHENA GLOBAL OPPORTUNITIES 
È un fondo di investimenti, gestito dal finanziere Raffaele Mincione. Lui stesso, in un'intervista al Corriere della Sera, ha rivelato che l'unico investitore del fondo Athena era la Segreteria di Stato vaticana, con 200 milioni di dollari, pari a circa 147 milioni dell'epoca, nell'ottobre 2013. Di quei milioni, circa 80 vennero utilizzati per rilevare il 45% di un palazzo di lusso a Londra (a vendere le quote fu lo stesso Mincione), mentre il resto dei soldi venne utilizzato per investimenti mobiliari, fondamentalmente in tre titoli di società quotate a Piazza Affari: Banca Carige, Tas (socieà che si occupa di pagamenti digitali), e Retelit.
È lo stesso Mincione a rivelare al Corriere di aver scalato queste tre società, soprattutto Tas e Retelit, coi soldi del Vaticano. Di fatto la segreteria di Stato sarebbe stata l'effettivo proprietario delle azioni fino al novembre del 2018, quando la transazione tra Mincione e il Vaticano non portò a una divisione delle attività: al Vaticano andò l'intero palazzo; a Mincione gli investimenti mobiliari più un conguaglio di 44 milioni di euro in contanti. È in quel periodo che Mincione scala Retelit, candidandosi anche come presidente della società e che spunta il nome di Conte.

IL FINANZIERE RAFFAELE MINCIONE
Raffaele Mincione, 53 anni, è un finanziere italiano, originario di Pomezia, noto per aver tentato la scalata alla Popolare di Milano e alla Banca Carige. Mincione, appassionato velista, di professione fa il raider finanziario. La sua base è Londra, ma si muove a suo agio tra fondi lussemburghesi, speculazioni in Russia, affari immobiliari e operazioni tra Malta, il New Jersey e i Caraibi.
Coltiva importanti amicizie nel mondo politico, della diplomazia e dell'alta burocrazia. Tra i suoi consulenti, secondo una ricostruzione de L'Espresso, c'è l'ex presidente del Consiglio Lamberto Dini e Alain Economides, ex capo di gabinetto del ministro degli Esteri Franco Frattini e poi ambasciatore nella capitale britannica. Da Londra, Mincione si specializza nella scalata delle banche italiane.
Nel 2012 compra l'1% circa del Monte dei Paschi quando già la banca senese si trova sull'orlo del baratro. Dura poco. Nel giro di un anno esce di scena vendendo, in perdita, il suo pacchetto di azioni. Gli va meglio con la Popolare di Milano (Bpm), dove già nel 2011 rastrella in Borsa l'8,7% del capitale. Da allora, nella banca lombarda succede di tutto: cambi della guardia al vertice, indagini della magistratura, battaglie tra cordate contrapposte di azionisti.
A fine 2016, la Bpm si fonde col Banco Popolare di Verona. Dall'operazione nasce la terza banca italiana e Mincione mantiene una quota che nel frattempo si è diluita fin sotto il 2%. Da Milano nel 2017 il finanziere fa rotta su Genova ed entra nel cda di Carige, al fianco dei rappresentanti dei due maggiori azionisti: l'imprenditore Vittorio Malacalza, forte del 20,6% e il petroliere Gabriele Volpi, con il 9% circa. Lui nel febbraio 2018 annuncia di possedere il 5,4% della banca ligure, che nonostante le difficoltà resta comunque tra i primi dieci istituti di credito in Italia.
Alla fine del 2017 Carige deve ricapitalizzarsi e dentro la banca Malacalza e Volpi incrociano le spade, con Mincione, che è sempre ben presente in tutte le operazioni di ricapitalizzazione e agisce come terzo incomodo tra i due litiganti. Nel settembre 2019 Mincione ha circa il 7%. La famiglia Malacalza si sfila e non fa pesare il suo 27,55% che avrebbe potuto di bloccare la delibera dell'assemblea che da' l'ok all'aumento di capitale, sponsorizzato dal governo. Per Mincione comunque Carige è solo uno dei tanti tavoli a cui gioca. Un'altra partita è quella di Retelit.

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