da: Domani – di Salvatore Bragantini
La serie tv “via Filodrammatici Milano” è sugli schermi domestici da decenni. L’audience cala e chi legge perdonerà l’autore se, a oltre 35 anni dai suoi primi commenti su Mediobanca e zone limitrofe, traspaiono segni di sazietà. Ai tempi l’attuale amministratore delegato, Alberto Nagel, era una matricola; eppur bisogna. Della “galassia del nord”, su cui Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani scrissero Razza padrona, a parte alcune vestigia rilevanti per gli archeologi, resta solo assicurazioni Generali.
Qui Mediobanca, forte del proprio 13 per cento, da tempo immemorabile controlla consiglio di amministrazione (cda) e gestione; ogni volta che il vertice di Generali alzava troppo la testa, Mediobanca gliela mozzava senza riguardi. Perciò la compagnia ha visto violenti cambi al vertice, presidenti cacciati con disdoro di opaca motivazione e riammessi poi con onori di altrettanto opaca origine.
Chi comanda su Generali
In questi decenni sul nostro mercato finanziario sono arrivate norme moderne, spesso all’avanguardia, ed è stato approvato, dall’apposito comitato di Borsa italiana, un Codice di autoregolamentazione delle quotate con diverse prescrizioni rilevanti.
Permane però il grumo di potere di Mediobanca, che anzi si aggroviglia sempre più; lo vediamo nelle manovre intorno alle liste per il prossimo cda di Generali. Come accade
in alcune altre quotate, anche qui il consiglio di amministrazione in carica aveva deciso di presentare una propria lista, da sottoporre all’assemblea degli azionisti che si terrà in primavera. La “lista del cda”, frequente nelle public company Usa, è tema controverso, che oppone detrattori a difensori.Per i primi, la lista del cda perpetua un vertice chiuso e autoreferenziale, per i secondi invece può interpretare meglio l’interesse della quotata, che va distinto da quello dei suoi principali azionisti; ogni caso va visto a sé ma, per quanto vale, chi scrive propende per la seconda tesi.
Una minoranza del cda di Generali, prima favorevole alla lista, ora si oppone perché contraria a confermare – come invece vuole Mediobanca – l’attuale amministratore delegato, Philippe Donnet; essa contesta una lista del cda votata solo da una maggioranza e potrebbe presentarne un’altra. Il dissenso fa capo a due soci rilevanti, Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone, portatori di un 11 per cento di Generali, cui sta per aggiungersi l’un per cento di Fondazione cassa di risparmio di Torino. Questi hanno concluso un “accordo di preventiva consultazione” valido fino all’assemblea del 2022; sulla composizione della lista lavora il Comitato nomine, istituito ai sensi del codice di Borsa italiana e onusto di consiglieri indipendenti. Il codice che da qui in poi è necessario conoscere bene è però un altro, il Kamasutra, utile a decifrare i viluppi laocoonteschi della vicenda. Del Vecchio e Caltagirone, qui contrapposti a Mediobanca (di cui il cda Generali è oggi ampia espressione), sono anche importanti soci della stessa Mediobanca. Del Vecchio, in particolare, è stato autorizzato dalla Banca centrale europea (Bce) a sfiorare il 20 per cento della banca solo dopo essersi solennemente impegnato a non esercitare influenza rilevante su di essa.
Sostituire Donnet
In sostanza, due soci che hanno il 25 per cento circa di Mediobanca e detengono anche l’11 per cento di Generali – dove la banca ha il 13 per cento e controlla la gestione – vogliono sostituire l’amministratore delegato di Generali, (e, pare, anche il presidente, Gabriele Galateri), che Mediobanca vuole confermare.
Prima parliamo del metodo. Sono ampi i dubbi sull’indipendenza di chi supinamente si allinea ai diktat dei soci designanti; sorprende però che possa qualificarsi indipendente, ad esempio, il consigliere Romolo Bardin, amministratore delegato di Delfin, la finanziaria di Del Vecchio che detiene quote rilevanti in Generali e Mediobanca. È questo il caso più eclatante, ma dubbi simili sorgono sulla reale indipendenza di alcuni suoi colleghi, qui e in altre quotate. Per il codice di Borsa gli indipendenti non possono essere azionisti rilevanti né, nel triennio precedente, aver avuto significative relazioni economiche con la società.
Questa e altre vicende segnalano la necessità e l’urgenza della revisione dei requisiti; potrebbe farlo, se avanza tempo e gliene punge vaghezza, il comitato di Borsa italiana. C’è da chiedersi se Del Vecchio non stia violando (paradossalmente, e a causa di quei contorti viluppi) gli impegni con la Bce; si potrebbe infatti sostenere che egli stia pesantemente influenzando Mediobanca, quando cerca di cacciare, contro l’opinione di questa, il capo operativo di una sua importantissima partecipata. Lungi dal tenersi alla larga dal tema, egli ci si tuffa a capofitto; si vede che ai suoi consulenti, non apparsi ma forse intuibili, il tema pare solo un sofisma legalistico.
Nel merito, a chi dar ragione? Per chi, come Mediobanca e altri, lo sostiene, Donnet ha ben guidato Generali e non ha colpe nella sua perdita di peso sul mercato europeo. Ne ha semmai Mediobanca, che ha stoppato ogni mossa capace di metterla davanti al bivio fra due scelte che voleva evitare: partecipare a un aumento di capitale, o lasciarsi diluire. Per questo Generali non ha fatto grandi acquisizioni. I dissenzienti vorrebbero invece un vertice operativo più abile nel «creare valore per l’azionista», formula che dice tutto e niente, spesso a sostegno di una rapida «valorizzazione», anche volgarmente definita vendita.
In questa direzione gioca anche l’età non più verde del duo d’attacco, accomunato pure da situazioni familiari molto intricate, tali forse da inquietare i regolatori sul destino delle partecipazioni quando passeranno in altre mani. Ancor più all’oscuro è ovviamente il mercato. Ancora non si parla di difesa dell’italianità, ma presto essa apparirà un valore che entrambe le parti, siamone certi, dichiareranno di tutelare; sarebbe però bizzarro se Nagel e Del Vecchio, in testa alle contrapposte fazioni e residenti l’uno a Londra, l’altro a Montecarlo, si dipingessero alfieri del vessillo nazionale contro lo straniero, possibile futuro acquirente di Generali.
Prima della decisione del cda, prevista per il 27 settembre, Consob dovrebbe battere un colpo per far giungere al mercato informazioni atte a farsi un’opinione; altrimenti esso appoggerebbe l’uno o l’altro per superficiali simpatie o legami d’interesse, più spesso opachi che trasparenti.
Il “concerto”
Finiamo
con l’ultimo paradosso della vicenda. A quanto pare i pattisti temono che
Consob possa individuare in loro stessi, in lotta con Mediobanca, un “concerto”
con Mediobanca stessa. Se vi pare il mondo rovesciato di Alice, avete ragione,
ma tant’è; dato che Del Vecchio ha un quinto di Mediobanca, magari qualcuno
potrebbe anche sospettare che ci sia sotto un concerto. Per quanto paradossale
e improbabile sia l’idea, delle reali intenzioni dei contendenti non sappiamo
quasi nulla. A perderci di certo è Generali, sottoposta a un trattamento
simile a quello ventilato, a bella posta, da Salomone per dirimere la famosa disputa
delle madri: tagliare il neonato in due, per assegnare a ognuna metà di
un piccolo cadavere.
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