da: Domani - di Daniela Preziosi
Il risultato del primo giorno di “esplorazioni” da parte del presidente della Camera Fico è che i due partiti della maggioranza stanno cedendo alle pressioni di Italia viva che ora pretende un contratto di governo
«Noi siamo pronti a fare la nostra parte su un documento scritto che tolga a tutti gli alibi». Dopo un’ora e dieci di confronto con il presidente della Camera, Roberto Fico, Matteo Renzi si gode la sua posizione di vantaggio. Dice di essere d’accordo con l’idea di «cronoprogramma» che qualche ora prima aveva chiesto il collega M5s, Vito Crimi. Si toglie il gusto di sottolineare di «non aver fatto nomi», che vuol dire di non aver detto sì all’incarico per Giuseppe Conte. E infine replica al segretario Pd Nicola Zingaretti, che un’ora prima aveva fatto appello alla «lealtà». «Lealtà», dice Renzi, «è dire in privato quello che si dice in pubblico», allusione velenosa a come è iniziata la crisi. Renzi ha sempre sostenuto che il Pd era d’accordo con lui.
Il primo giro di “esplorazioni” è iniziato ieri con M5s, Pd, Iv e Leu. Per ora Renzi si gode la convinzione che tutto giri a suo favore. Crimi, parlando ai cronisti della sala della Regina della Camera – pochi, le misure anti Covid sono stringenti – chiede di «accantonare definitivamente alcuni temi provocatori, utilizzati a volte in maniera strumentale per essere
divisivi, come il Mes». Renzi risponde che per questo «serve un tavolo». Il reggente M5s non dice la parola «contratto» giusto perché sa che il termine è incostituzionale secondo l’alleato dem. Piacerebbe invece a Renzi. Le condizioni dei Cinque stelle per tornare in maggioranza con Italia viva sono poche. E più a uso interno, per arginare la vena che si è aperta al Senato e la fuoriuscita di quelli che vogliono tenere fede al «mai più con Renzi». In primis un pezzo da novanta come Alessandro Di Battista. Del resto in questo primo giro M5s ha già ottenuto il suo: l’ipotesi su cui il presidente della Camera deve valutare se si possono rimettere insieme i cocci è il Conte ter. E al Colle è stato fatto capire con chiarezza che se non si rimette insieme la maggioranza uscente, non ci saranno i voti per nessun altro governo politico. Le destre, del resto, non hanno la maggioranza in parlamento. Renzi dice di preferire un «governo politico» ma non esclude il sì a uno istituzionale. Tutto pur di non votare. Zingaretti chiede un programma di fine legislatura, come del resto fa dallo scorso novembre (non ascoltato), nella cui scrittura «bisogna coinvolgere la maggioranza del governo Conte e le forze che hanno votato la fiducia sia alla camera che al senato». Si riparte insomma dai 321 deputati e dai 157 senatori dell’ultima fiducia, più i parlamentari di Italia viva. Che sembra però essere un modo per dire che, in qualche maniera, Iv non è così determinante per la ripartenza. Comunque il Pd, soprattutto grazie alla realpolitik di Dario Franceschini, è stato il primo alleato a riaprire le porte a Renzi. E ha tenuto momentaneamente a freno gli attacchi dei suoi sulla vicenda della partecipazione dell’ex premier a una conferenza con il principe Bin Salman, petromonarca saudita, calpestatore di diritti umani. Il leader Iv dice che risponderà «più avanti». Intanto ieri Roberto Saviano e padre Alex Zanotelli gli hanno chiesto di dimettersi. Alla fine per il Pd prevale il segno positivo sulla giornata. Anche perché ancora le carte non sono state scoperte. Renzi chiede impegni sul Recovery plan. Ma non è ancora chiaro se pretenderà anche la testa dei ministri Bonafede, Azzolina e Gualtieri. «Ci saranno altri mo menti, altri incontri», dice Crimi. Basta guardare il calendario. Oggi saranno consultati i «responsabili» del Maie, i nuovi «Europeisti» del Senato, il gruppo delle Autonomie, il Misto della Camera (limitatamente alle componenti che fanno riferimento alla maggioranza), e il Misto del Senato. Fico ha tempo tutto lunedì prima di riferire, martedì, al presidente Mattarella. Cioè il tempo di un altro giro di incontri.Le colpe di Conte
E comunque «quelle di Fico non sono le consultazioni della maggioranza, è la
consultazione di Renzi». La battuta di un notabile dem dice molto. La
fotografia realistica della situazione la fornisce Pier Ferdi- nando Casini
parlando a Sky TG24: «Se la crisi finisce così, Renzi ne esce rafforzato, al di
là dei suoi meriti. Le elezioni sono ogni cinque anni, quindi si vedrà. Il
problema vero è che è stato assistito dalla dea fortuna» e questa fortuna di Renzi ha un nome e un cognome:
Giuseppe Conte, «che si è messo a cacciare
i responsabili. Se Conte
non fosse stato
mal consigliato sui responsabili e non si fosse avventurato in
questa ricerca frenetica, che lo ha ridicolizzato, come nel caso Vitali (il
senatore forzista passato alla maggioranza e poi tor- nato indietro in una notte,
ndr) Renzi oggi sarebbe più debole e probabilmente molti dei suoi avrebbero avuto dissensi». È stato
Conte a «intronizzare Renzi, sono stati i suoi errori». A questa foto va
aggiunto un particolare, un dettaglio non da poco: la convinzione generale diffusa in tutto il parlamento che la minaccia
del voto è solo uno spauracchio. Un’eventualità
che, in caso, non dispiacerebbe a Conte stesso, pronto a capitalizzare la
grande popolarità che ha in questi mesi, e che l’apertura della crisi da
parte di Renzi gli ha rafforzato. E che ora il segretario Pd Zingaretti descrive come «un pericolo» ma che viene accarezzata dall’ala
sinistra del suo gruppo dirigente (quella uscita falcidiata dalle liste del 2018,
compilate in prima persona dall’allora segretario Renzi). Il voto è considerata
un’eventualità lunare da Franceschini, e dalla maggioranza sempre meno
silenziosa dei parlamentari. In linea, del resto, con quello che filtra dal
Colle. Il Covid, tanto più con una incipiente terza ondata, rende di fatto il
voto una via impraticabile. Se mai il tentativo di Fico fallisse, sarebbe più
probabile un governo tecnico per approvare il Recovery plan.
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