da: https://www.glistatigenerali.com/ - di Fabio Salamida
C’era una volta Matteo Renzi il “rottamatore”, l’astro nascente della politica italiana che in jeans e maniche di camicia aveva sgominato i grigi perdenti della “vecchia ditta” e lanciato una nuova generazione di arrembanti pronti a guidare il Paese per almeno un ventennio. “Con Renzi si vince” dicevano in tanti, ma era solo una bella favola destinata a durare il (poco) tempo necessario a far capire ai più che dietro il clima ovattato delle convention alla vecchia stazione Leopolda c’era un giovane uomo strappato ai riflettori delle tv commerciali, qualche discreto sponsor e poca, pochissima, politica.
E dire che tutto era partito col piede giusto: il personaggio c’era, l’entusiasmo di una sinistra stanca di perdere c’era, la voglia di “nuovo” tipica dell’italiano medio c’era, l’agenzia di comunicazione di grido c’era, lo spazio politico lasciato colpevolmente libero da altri c’era ed era un’immensa prateria. Matteo Renzi è stato abilissimo – almeno in un primo momento – a sparigliare le carte e a destabilizzare il precario equilibrio su cui reggeva la sua area politica di riferimento e parte di quella avversa, ma tutti i suoi sforzi sono stati vanificati dal suo più grande nemico: Matteo Renzi.
Sì perché il senatore di Rignano sull’Arno va immaginato come qualcosa di doppio: l’uomo alle prese con le difficoltà del vivere quotidiano e dietro di lui un gigantesco fantasma composto di puro ego, un fantasma simile a quello a forma di omino della pubblicità dei Marshmallow in quell’indimenticabile finale del Ghostbusters del 1984. Nei momenti più importanti, Matteo Renzi “asfalta” Matteo Renzi, per usare una terminologia a lui
cara. È accaduto in maniera evidente in occasione del referendum costituzionale del 2016, quando ha promesso di lasciare per sempre la politica in caso di sconfitta, convincendo tantissimi indecisi a votare no per votare contro Renzi. È successo in occasione di questo folle tentativo di mandare in crisi il Governo Conte, quando invece di incassare il risultato delle modifiche chieste sul Recovery Plan (i famosi contenuti, quelli di cui parlerebbe solo lui mentre gli altri sarebbero impegnati a spartirsi poltrone…), ha voluto strafare cercando di costringere alle dimissioni il Presidente del Consiglio nel pieno di una pandemia e con la crisi economica più dura da affrontare dal dopoguerra.
Quella contro Giuseppe Conte è stata una battaglia che ha mostrato ancora una volta gli enormi limiti umani e politici di quello che un giorno verrà ricordato come il personaggio più sopravvalutato di questi anni. L’epilogo è stato umiliante, con il “capo” che ha dovuto annunciare l’astensione in aula dopo due interventi – il suo e quello dell’ex ministra Teresa Bellanova – assai più duri di quelli pronunciati da molti esponenti dell’opposizione: un’astensione – raccontano i ben informati – a lui imposta dai gruppi parlamentari pronti ad abbandonare la nave (più che una nave è un motoscafo a largo di Capri…) e a mettere di fatto fine all’esperienza di Italia Viva, un partito che esiste solo nelle aule parlamentari e che nel Paese era stimato al 2% prima di quest’ultima “operazione simpatia”.
C’è da aggiungere che l’ormai non più giovane leader non è circondato da fuoriclasse: possiamo solo immaginare “l’unità di crisi” ormai convocata in seduta permanente con Luciano Nobili, Teresa Bellanova, Ivan Scalfarotto, Maria Elena Boschi, Luigi Marattin ed Ettore Rosato: “vai Matteo! Ti seguiremo ovunque! Qualunque cosa accada… forse”. E che dire dei suoi fan? Sono ormai ridotti a una piccola setta digitale che assale chiunque osi mettere in discussione il “verbo” renzucolo: persone sulla mezza età, rancorose e fintamente vittimiste (se critichi il loro idolo è perché lo odi, perché sei invidioso o perché ti sta semplicemente sulle palle…), che armati di una decina di profili twitter a testa si condividono tra di loro e organizzano simpatici shitstorm contro il “nemico” di turno; un piccolo fanclub che ricorda nei modi i seguaci di QAnon, ma è infinitamente meno divertente delle cellule digitali negazioniste. I fan di Renzi sono così respingenti che se pure a qualcuno venisse voglia di votare quel partito con il simbolo che ricorda un sapone intimo, loro gli farebbero passare per sempre la voglia. I fan di Renzi riescono a farti rivalutare l’eloquio erudito di Giorgia Meloni, ti fanno amare i riccioli Danilo Toninelli.
Cosa
farà ora Matteo Renzi? Quello che ha sempre fatto:
proverà a sfruttare i fragili equilibri di questa folle legislatura per
ottenere visibilità e per creare confusione alla prima occasione utile, ormai
totalmente incapace di comprendere che il suo rapporto con il popolo è
irrimediabilmente logoro. Smetterà probabilmente la sera delle prossime elezioni politiche, quando
quello stesso popolo, in un atto di infinito amore, lo lascerà finalmente
andare; quando quello stesso popolo smetterà di trattenerlo con violenza, permettendogli
di fare ciò che sogna da quella notte del 4 dicembre 2016: lasciare per sempre
la politica.
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