da: https://www.huffingtonpost.it/ - di Angela Mauro
Distante dalle diatribe tra partiti, l'ex ambasciatore è l'ispiratore delle svolte europeiste di 'Giuseppi'. Uno che conosce i dossier. E infatti la chiacchiera politica su di lui si zittisce
La distanza che accuratamente coltiva con la politica è siderale. E forse proprio per questo Piero Benassi è diventato uomo di fiducia di Giuseppe Conte, il premier che da due anni e mezzo è punto di equilibrio tra le forze politiche in Parlamento: dalla destra, quando governava con M5s e Lega, alla sinistra, ora che governa con M5s e Pd. Non è un caso che sulla sua persona non si sia scatenata la solita rissa politica, ora che è stato nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delicata delega ai servizi che finora Conte si è tenuto per sé e che è stata uno dei motivi scatenanti della crisi di governo aperta da Matteo Renzi.
Benassi è il contropiede di Conte rispetto alle accuse dei tifosi della crisi. Sessantadue anni, romano e soprattutto romanista, alle spalle una carriera diplomatica che lo ha visto partire dal dipartimento affari economici della Farnesina, tappa a Cuba e Varsavia e poi ambasciatore a Tunisi negli anni delle ‘primavere arabe’ (2009-2013), capo di gabinetto di Emma Bonino quando era ministro degli Esteri del governo Letta, ambasciatore a Berlino dal 2014 al 2018. Benassi è anche la carta europeista che Conte lascia planare sul tavolo per rafforzare la sua immagine rispetto ai partner Ue: più che una carta, un vero e proprio poker.
L’ex ambasciatore è al fianco del premier in tutti i vertici europei e internazionali. Sinceramente appassionato di geopolitica, solidi legami diplomatici a Berlino e nelle cancellerie del continente, Benassi ha dovuto gestire anche la fase più acuta dei rapporti di Conte con l’Ue, quella del governo gialloverde all’epoca della manovra economica 2019 e, ancor prima, la levata di scudi italiana sull’immigrazione in un vertice europeo del giugno 2018.
Ma è sopravvissuto a tutto ciò. Anzi si è rafforzato nel suo ruolo a Palazzo Chigi. Ci sono anche i suoi consigli dietro le svolte europeiste di Conte nell’ultimo anno e mezzo. C’è un lavoro, goccia dopo goccia, che spesso ha fatto squadra con le personalità del governo (tipo il ministro Enzo Amendola, con cui l’ex ambasciatore ha un ottimo rapporto) più lontane dall’anti-europeismo strumentale, privo di quella critica costruttiva che pure Benassi legittimamente coltiva verso l’Ue. La vorrebbe ‘più Ue’. Una critica che evidentemente è anche collante del rapporto con Conte, capo del governo uscito comunque dal cappello cinquestelle.
Premier inedito della storia italiana, ‘sui generis’ per genesi di leadership e ‘cursus honorum’ da Lega a Pd, nessuno più dell’avvocato aveva bisogno di una figura così fuori dagli schemi della politica di oggi, felicemente lontana dai battibecchi via social, le risse dei talkshow e le invettive di bassa lega per accaparrare voti, eppure mai schiacciata sull’europeismo di maniera: anche questa è una sciagura. Un mix che finora è risultato perfetto per ‘surfare’ sulle creste populiste del premier, ancora alte, come quando, nel finale di una conferenza stampa in piena pandemia in primavera, sorprese tutti con un secco: “Sì agli eurobond, no al Mes”. Era previsto nella sostanza, non era previsto l’aut aut mediatico che risuonò fino a Bruxelles, naturalmente.
Affidare a uno come Benassi la delega ai
servizi, farne il sottosegretario alla presidenza del Consiglio che questo
governo non ha mai avuto, risolve a Conte il problema di tirar fuori i servizi
segreti dallo scontro politico, come ha promesso in Parlamento. Ma gli serve
anche per dimostrare di saper schivare le pretese dei partiti, mettendo sul
piatto uno di sua fiducia (quale premier avrebbe fatto diversamente, scusate?),
ma che conosce i dossier: la sostanza contro la chiacchiera per partito preso,
cioè la politica di oggi. Vince la prima, senza dubbio. La seconda si
ammutolisce.
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