da “La politica come professione” - gennaio 1919
Ci sono due modi per fare della politica la propria professione.
Si vive “per” la politica oppure “di” politica. Le due alternative non si escludono affatto l’una con l’altra. Al contrario, accade di regola che si facciano – per lo meno idealmente, ma per lo più anche materialmente - entrambe le cose: chi vive “ per” la politica costruisce in senso interiore “tutta la propria esistenza intorno a essa”: egli gode del puro possesso della potenza che esercita, oppure alimenta il proprio equilibrio interiore e il proprio sentimento di sé con la coscienza di dare un senso alla propria vita per il fatto di servire una “causa”. In questo senso interiore ogni uomo serio che vive per una causa vive anche di questa causa. La differenza riguarda anche un aspetto assai più concreto della questione: quello economico. “Della” politica come professione vive colui che cerca i trarre da essa una fonte durevole di guadagno; “per” la politica, invece, colui per il quale ciò non accade. Affinché qualcuno possa vivere “per“ la politica in questo senso economico, devono darsi, nel quadro di un ordinamento fondato sulla proprietà privata, alcuni presupposti, se volete assai banali: egli dev’essere, in condizioni normali, economicamente indipendente rispetto ai proventi che la politica può procurargli. Ciò significa, assai semplicemente, che egli deve essere facoltoso o trovarsi in una condizione personale che gli procuri sufficienti entrate. Cosi stanno le cose per lo meno in condizioni normali. Certo, il seguito di un condottiero in guerra, cosi come quello di un eroe rivoluzionario della piazza, è assai poco interessato alle condizioni di una economia normale. Entrambi vivono di bottino, di rapina, di confische, di tributi, dell’imposizione di mezzi
di pagamento forzosi privi di alcun valore: ciò che nella sostanza è sempre la stessa cosa. Ma questi sono necessariamente fenomeni straordinari: nell’economia ordinaria soltanto il patrimonio personale svolge questa funzione. Ciò, peraltro, non basta ancora: chi vive “per” la politica deve inoltre essere economicamente “disponibile”, nel senso che le sue entrate non devono dipendere dal fatto che egli ponga continuativamente e personalmente la sua forza lavorativa e il suo pensiero, in modo totale o comunque in misura assai ampia, al servizio del proprio guadagno. In questo senso è disponibile nel modo più incondizionato chi vive di rendita, vale a dire colui che percepisce reddito senza lavorare nel modo più assoluto, sia che tragga un tale reddito, come i signori fondiari del passato, i grandi proprietari terrieri e la grande nobilta del presente, da rendite fondiarie - nell’antichità e nel Medioevo anche da rendite derivanti da schiavi oservi - sia che lo tragga da titoli o da simili fonti moderne di rendita. Né l’operaio né - si badi bene – l’imprenditore, anche e in special modo il grande imprenditore moderno, sono disponibili in questo senso. Infatti, anche e in special modo l’imprenditore – l’imprenditore industriale assai più di quello agricolo, dato il carattere stagionale dell’attività agricola - è vincolato alla sua impresa e non è dunque disponibile. Per lui é spesso assai difficile farsi sostituire anche solo temporaneamente. E’ altrettanto poco disponibile, per esempio, il medico, e ciò in misura tanto maggiore quanto più egli èeminente e ricercato. E’ già migliore, per ragioni puramente tecniche e professionali, la situazione dell’avvocato, il quale ha perciò esercitato un ruolo di gran lunga più importante e spesso addirittura dominante anche come politico di professione. Non vogliamo procedere oltre con questa casistica. Fissiamo piuttosto alcune conseguenze.La direzione di uno stato o di un partito a opera di persone le quali vivono (nel senso economico del termine) esclusivamente per la politica, e non della politica, implica necessariamente un reclutamento “plutocratico” dei gruppi politicamente dirigenti. Non si vuole in tal modo affermare anche il contrario, e cioè che una tale direzione plutocratica implichi al tempo stesso che lo strato politicamente dominante non cerchi anche di vivere “della” politica, e quindi non sia solito sfruttare il proprio potere politico anche per i suoi privati interessi economici. Ciò é naturalmente fuori discussione. Non vi è mai stato nessun gruppo che, in un modo o nell’altro, non l’abbia fatto. Quanto abbiamo poc’anzi affermato significa soltanto una cosa: che i politici di professione non sono immediatamente costretti a ricercare un compenso per la propria attività politica, come invece deve semplicemente pretenderlo chiunque sia privo di mezzi. E, d’altra parte, ciò non significa in alcun modo che i politici privi di un proprio patrimonio vedano nella politica esclusivamente, o anche solo prevalentemente, un mezzo per il proprio sostentamento economico privato, e non pensino del tutto o in primo luogo “alla causa”. Nulla sarebbe più scorretto. Per l’uomo agiato la preoccupazione per la “sicurezza” economica della propria esistenza costituisce per esperienza - consapevolmente o no - un punto cardinale del suo intero orientamento di vita. L’idealismo politico più intransigente e incondizionato si trova invece, se non in modo esclusivo certo in modo prevalente, presso quegli strati che, essendo privi di patrimonio, sono del tutto al di fuori della cerchia di quanti sono interessati alla conservazione dell’ordinamento economico di una determinata società: questo vale principalmente in epoche straordinarie e quindi rivoluzionarie.
Tutto ciò significa soltanto una cosa: che
un reclutamento non plutocratico di coloro che sono interessati alla politica,
del gruppo dirigente e del suo seguito, é legato all’ovvio presupposto che tali
persone possano trarre dall’esercizio continuativo dell’attività politica
redditi regolari e sicuri. La politica può essere esercitata o “a titolo
onorifico” e quindi, come si usa dire, da persone “indipendenti”, vale a dire
agiate, in primo luogo da coloro che vivono di rendita. Oppure viene resa
accessibile a persone prive di un patrimonio personale, nel qual caso il suo
esercizio deve essere retribuito. Il politico di professione che vive “della”
politica può essere un semplice “beneficiario”oppure un “funzionario”
stipendiato. E dunque o percepisce dei redditi da tasse ed emolumenti per
determinate prestazioni - mance e bustarelle costituiscono una variante
irregolare e formalmente illegale di questo genere di proventi - oppure riceve
un compenso fisso in natura o uno stipendio in denaro, o entrambe le cose. Egli
può assumere il carattere di un “imprenditore”, come il condottiero o
l’appaltatore o il venditore di cariche pubbliche del passato, oppure come il boss
americano, il quale considera le sue spese come un investimento di capitale da
far fruttare avvalendosi della propria influenza. Oppure può ricevere uno
stipendio fisso, come un redattore o un segretario di partito o un moderno
ministro o un funzionario politico. Nel passato feudi, concessioni di terre,
benefici di ogni genere e, con lo sviluppo dell’economia monetaria, soprattutto
emolumenti costituivano la tipica ricompensa che principi, conquistatori
vittoriosi o capipartito vincitori elargivano al proprio seguito; oggi sono
cariche di ogni tipo in partiti, giornali, cooperative, casse di malattia,
comuni, stati che vengono distribuite dai capipartito per i leali servizi loro
prestati. Tutte le lotte tra i partiti
non si svolgono soltanto per fini oggettivi, ma anche e soprattutto per il
patronato delle cariche. In Germania tutti i contrasti tra le aspirazioni
particolaristiche e centralistiche gravitano anche e soprattutto intorno al
problema di quali poteri - di Berlino o di Monaco, di Karlsruhe, di Dresda -
debbano controllare il patronato delle cariche. I ridimensionamenti nella
partecipazione alla distribuzione delle cariche vengono vissuti dai partiti
come uno scacco ben più grave di qualsiasi insuccesso rispetto ai loro fini
oggettivi. In Francia un’infornata di prefetti a opera di un partito politico è
sempre stata considerata come un sovvertimento maggiore e ha provocato più
chiasso di un cambiamento del programma di governo, il quale ha un significato
quasi meramente retorico. Alcuni partiti, così soprattutto in America, con il
venir meno delle antiche controversie circa l’interpretazione della
Costituzione, sono diventati puri partiti di cacciatori di posti, i quali
modificano il loro programma oggettivo a seconda delle probabilità di catturare
voti. In Spagna, fino a pochi anni or sono, i due grandi partiti si
avvicendavano al potere nella forma di “elezioni” manipolate dall’alto, secondo
un turno fissato per convenzione, ai fine di sistemare il loro seguito nelle
cariche. Nei territori coloniali spa gnoli, sia nelle cosiddette “elezioni” sia
nelle cosiddette “rivoluzioni”, si tratta sempre della greppia dello stato,
alla quale i vincitori desiderano foraggiarsi. In Svizzera i partiti si
spartiscono in modo pacifico le cariche con il sistema proporzionale, e alcuni
dei nostri “rivoluzionari” progetti di costituzione, come per esempio il primo
proposto per i Baden, miravano a estendere questo sistema alle poltrone
ministeriali, trattando così lo stato e le sue cariche come una mera
istituzione di distribuzione di prebende. Soprattutto il partito del Centro si
entusiasmò per questa proposta, e nel Baden giunse persino a fare della
distribuzione proporzionale delle cariche secondo le confessioni - dunque senza
alcun riguardo ai risultati - un elemento del proprio programma. Con il numero
crescente di cariche prodotto dalla burocratizzazione universale e con la
domanda crescente di esse inquanto forma di sostentamento particolarmente
sicura, questa tendenza va crescendo presso tutti i partiti, i quali per i loro
seguaci diventano sempre più un mezzo rispetto allo scopo di essere in talmodo
sistemati. A questi sviluppi si
contrappone oggi la trasformazione della moderna burocrazia in un corpo di
lavoratori intellettuali altamente qualificati, dotati di una preparazione
specialistica maturata nel corso di lunghi anni di studio e provvisti di un
onore di ceto particolarmente sviluppato nell’interesse della propria
integrità. Senza di esso
saremmo fatalmente esposti
al pericolo di
una terribile corruzione e di un
filisteismo generalizzato e ne risulterebbe minacciato anche il funzionamento
puramente tecnico dell’apparato statale, la cui importanza per l’economia - in
particolare con l’intensificarsi dei processi di socializzazione - é costantemente
aumentata e aumenterà ancora.
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