da: Il Fatto Quotidiano - di Luca De Carolis e Wanda Marra
In Consiglio dei ministri, ecco i renziani che dettano le condizioni sulla vera partita, il Recovery Fund. “Non possiamo accettare la cabina di regia così come ci viene presentata: perché significa commissariare i ministri e i ministeri”. La ministra all’Agricoltura, Teresa Bellanova, è pronta a far saltare il banco per conto di Matteo Renzi. E avverte: “Se dovesse essere inserito un emendamento nella legge di Bilancio, si valuti con attenzione, perché in Parlamento potrebbero mancare i voti”.
Il premier Giuseppe Conte prova a mediare: “La struttura del Recovery va fatta così, altrimenti non riusciremo a realizzare i progetti in tempo. Ma nessuno vuole commissariarvi”. Il Pd pare defilato: ma in realtà questa volta manda avanti l’ex premier. Le perplessità sono molte, ma si possono intanto concentrare su un punto cruciale: la struttura di governance che dovrà gestire i fondi del Recovery Fund appare fatta ad hoc per esautorare il governo. E la posta in gioco si incrocia pericolosamente con le fibrillazioni politiche in vista del voto di domani sulla riforma del Mes. Ieri i 5Stelle sono stati riuniti per ore con i rappresentanti dei dissidenti. E sono convinti di aver fatto scendere a 5-6 i senatori sicuramente contrari, assicurando loro che nella risoluzione di maggioranza sarà scritto chiaramente che la riforma del Mes non verrà approvata se non in una logica di pacchetto con altre riforme, e solo da qui ai prossimi mesi.
Nel frattempo però Renzi lavora con parte del Pd a un nuovo governo, o quantomeno a un Conte ter. Già domani sarà fondamentale capire se in Senato i cosiddetti Responsabili, forzisti o no, saranno necessari per compensare i vuoti nel M5S. Se così fosse, si aprirebbe un problema politico nella maggioranza. E ne sono consapevoli anche al Quirinale, dove ci si chiede ormai se, al di là del voto di mercoledì, non sia il caso di arrivare a una sorta di verifica.
Nell’attesa, i ministri lamentano di aver ricevuto le 125 pagine sul Recovery alle due della notte tra domenica e lunedì, poche ore prima del Cdm. Così ieri la riunione dalle 9 slitta alle 11. E va avanti per oltre cinque ore. Conte illustra i contenuti del Piano. Il ministro degli Affari europei, Vincenzo Amendola, descrive il funzionamento della struttura di governance. Ma ministri “pesanti” del Pd come Lorenzo Guerini e Dario Franceschini vogliono circoscrivere i poteri della cabina di regia, che prevede sei manager per ognuna delle sei linee del Piano, oltre a task force da decine di componenti. In questi giorni c’è stata una vera e propria sollevazione degli alti burocrati di stato. Non a caso, i dem fanno trapelare che i ministri e le strutture dei ministeri saranno centrali per l’attuazione. Ma si discute anche sul “comitato esecutivo”, per ora composto da Conte, Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli: senza Iv. E si tratta sui sei manager. Il sospetto di Pd e Iv è che Conte voglia sceglierli tutti. La tensione è altissima, ma nella maggioranza si cerca una via d’uscita. Far entrare lo stesso Renzi (o la Bellanova) nella struttura di governance, o far scegliere a Iv uno dei manager. Poco si parla dei contenuti del piano, ma il percorso sarà lungo. E infatti si ragiona su un decreto ad hoc, per evitare l’emendamento osteggiato da Iv. Molti dei big dei Cinque Stelle sono convinti che Renzi abbia già deciso di far saltare il banco. “Cerca l’incidente”, sibila un ministro grillino. E l’ex premier con i suoi si tiene aperte tutte le porte.
Convinto
che Mattarella non manderà il paese al voto in piena emergenza, lascia
intendere che potrebbe aprire la crisi anche prima di gennaio. Da pokerista
gioca su più tavoli. E continua a mandare segnali. Ieri in Senato è stata
presentata una prima risoluzione da Licheri (M5s), Marcucci (Pd) e De Petris
(LeU): “Sentite le comunicazioni del presidente del Consiglio, il Senato le
approva”. Ma il renziano Faraone non ha firmato. Fedele alla logica: “No a sì
al buio”.
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