da: https://www.radiopopolare.it/
La dottoressa Anna Carla Pozzi, Segretaria della sezione provinciale di Milano della Federazione Italiana Medici di Famiglia (Fimmg), spiega a Radio Popolare come si curano a casa i pazienti COVID secondo le recenti linee guida pubblicate dal Ministero della Salute.
L’intervista di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni a Prisma
A distanza di mesi, il Ministero della Salute ha pubblicato un documento che spiega come trattare i pazienti COVID a casa. È un documento che prevede delle cure divise per fasi: cosa prevedono?
È un documento di cui sentivamo la necessità. Era stato preceduto da un documento fatto dalla Federazione italiana degli ordini dei medici, e i due documenti sono pressoché sovrapponibili. Questa circolare del Ministero della Salute suddivide i malati di COVID in tre gruppi di rischio: persone stabili che hanno un rischio basso, instabili che hanno un rischio medio e casi critici a rischio alto. Ovviamente noi trattiamo a domicilio le persone a basso e medio rischio, se non si complicano ulteriormente. È fondamentale il monitoraggio quotidiano della saturazione e questo può avvenire anche attraverso un approccio telefonico. Le cooperative dei medici di famiglia hanno messo a disposizione dei centri servizi e dei
saturimetri, che vengono dati al paziente, contattato anche due volte al giorno, a seconda della gravità. Vengono raccolti i dati di saturimetria, di febbre e di frequenza cardiaca, e se scatta l’allerta viene immediatamente contattato il medico di famiglia. Nei casi lievi abbiamo circa un 10-15% di persone che progrediscono verso forme severe, quindi questo monitoraggio è fondamentale. Il documento spiega che quando si arriva a una saturazione del 92% dobbiamo somministrare ossigeno. Raccomanda altresì di continuare ad assumere le terapie che il paziente assume se cronico, e si addentra anche nei discorsi di altri farmaci, oggetto di moltissime discussioni. L’utilizzo del cortisone è raccomandato solo per i casi gravi e che necessitano anche di supplementazione d’ossigeno. Per quanto riguarda l’utilizzo di eparina, raccomanda di utilizzarlo solo se il paziente è immobilizzato per l’infezione: quando una persona è affetta da COVID rimane a letto perché le forze gli vengono meno e quindi non riesce a stare in piedi. Attenzione all’uso degli antibiotici: non servono per curare il virus, ma per le eventuali superinfezioni batteriche, quindi bisogna iniziare con l’antibiotico dopo 72 ore che si ha la febbre e che non scende. Il documento specifica di non usare l’idrossiclorochina perché l’efficacia di questo farmaco non è stata confermata da nessuno studio clinico condotto fino ad ora. Riassumendo sono queste le linee guida della circolare del Ministero.Che cosa sono il “test del cammino” e il “test della sedia”?
Sono dei test che vengono fatti per capire se la saturimetria è stabile o no, e sono facilmente eseguibili anche telefonicamente, basta che il paziente abbia un saturimetro a casa. Lo deve indossare a riposo, deve comunicare il valore e dopodiché lo si fa camminare. Se la saturimetria scende a questo punto bisogna essere più all’erta, perché vuol dire che sotto sforzo non riesce a compensare gli scambi di ossigeno. Sono dei test importanti e ci aiutano moltissimo per capire se il paziente possiamo continuare a seguirlo a domicilio oppure se dobbiamo attivare l’USCA, che va a visitarlo a domicilio, o addirittura se dobbiamo mandarlo al pronto soccorso.
L’utilizzo degli antinfiammatori e del paracetamolo è complementare nei primi giorni?
La circolare consiglia, nei primi giorni, l’utilizzo del paracetamolo, che serve fondamentalmente per abbassare la febbre. Ci sono linee di pensiero che preferiscono l’uno all’altro. L’antinfiammatorio, oltre ad avere una blanda azione sull’abbassare la febbre, ha anche un’azione antinfiammatoria. Anche se le linee del ministero non citano gli antinfiammatori, questi potrebbero essere comunque utilizzati per abbassare lo stato infiammatorio, che sappiamo esserci in questi casi.
È un po’ tardi per questo vademecum del Ministero.
Sì, ma meglio tardi che mai. Un mesetto fa è arrivata la circolare della Federazione dei medici, che praticamente ricalca questo vademecum, quindi ci siamo regolati di conseguenza. Durante la prima ondata abbiamo usato l’idrossiclorochina, che invece i trial clinici (sia nazionali sia internazionali) hanno dimostrato non essere efficace, e ad oggi tutti sconsigliano l’utilizzo di questa molecola. Il problema è che il paziente ha bisogno di sentirsi curato e per sentirsi curato ha bisogno della somministrazione di medicine. Per cui, generalmente partendo o dal paracetamolo o dall’antinfiammatorio, se vediamo che la febbre non scende si va sull’antibiotico, che non ha molto senso perché non cura il virus ma cura le superinfenzioni batteriche che tavolta ci sono in questi casi.
A volte si è avuta la sensazione di restare in attesa e nel giro di un giorno vedere la situazione aggravarsi e precipitare. Non sarebbe utile anticipare queste cure?
Anch’io mi sono sentita impotente come medico in certe situazioni, perché prendere certe decisioni diventa molto difficile essendo una malattia assolutamente nuova e sconosciuta a tutti. Ho però notato che la precipitazione dei sintomi è indipendente dalla terapia e non è prevedibile, perché nessuno ad oggi è riuscito a trovare un filo logico, tranne nei casi di pazienti cronici, sicuramente più delicati e candidati ad aggravarsi. Certo è che non c’è nessuna medicina preventiva: ho ricevuto tante telefonate di pazienti che richiedevano la prescrizione di certe medicine cosi da non ammalarsi.
Il presupposto di partenza di questo vademecum è che il medico di base possa seguire con continuità il paziente COVID che sta a casa, però sappiamo anche che ci sono stati pazienti che hanno faticato a mantenere un contatto con il proprio medico. Adesso sta andando un po’ meglio, con i numeri che si abbassano?
Sottolinerei, innanzitutto, che i medici di famiglia sono pochi, molti posti sono carenti e ci sono molti sostituti temporanei. I pochi che stanno lavorando si ritrovano con dei massimali aumentati, talvolta fino anche a 2.000 pazienti. Diventa molto difficile dare una risposta efficace a tutti. Io sono arrivata a fino 100 telefonate al giorno, ed è stato veramente difficile. Ho personale che mi aiuta e siamo stati presi tutto il giorno a cercare di evadere tutte le telefonate. Adesso devo dire che si sta mollando un po’ la presa perché i casi sono in diminuzione, e quindi riusciamo a migliorare la comunicazione con tutti i pazienti. Non dimentichiamoci che esistono ancora patologie croniche con le richieste di salute di questi pazienti per altri motivi che non sono il COVID. Noi dobbiamo far fronte a tutte queste richieste, e quindi l’impegno lavorativo in questo momento è molto importante, e molto faticoso.
I dispositivi di protezione e il distanziamento ci aiuteranno anche nei confronti delle influenze stagionali?
Direi proprio di sì. Il distanziamento e la mascherina impediscono la circolazione dei virus, qualunque essi siano. Stiamo completando la vaccinazione antinfluenzale con le dosi di vaccino che mancano, perché non arrivate a sufficienza per tutti. I primi vaccini sono arrivati ad ottobre ma a goccia lenta, e dovrebbero arrivare a breve gli ultimi ma non siamo riusciti a vaccinare tutti perché mancano. Quindi la mascherina e il distanziamento sicuramente ci aiuteranno a completare l’opera.
Vi hanno dato recenti assicurazioni sui tempi d’arrivo degli altri vaccini che servono?
Gli ultimi dovrebbero arrivare penso – e spero – la settimana prossima. I vaccini non vengono più distribuiti dalle farmacie, com’era d’uso, ma si fa richiesta direttamente in ATS. I primi medici che riceveranno i vaccini sono quelli che all’inizio non li hanno ricevuti, perché esauriti, e dopo se ne avanzeranno li daranno a tutti. Ho fatto però un sondaggio tra colleghi e, su 500 richiesti, sono arrivati circa 300 vaccini.
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