da: https://www.startmag.it/
- di Paolo Rubino
Genericità,
retorica e irresolutezza delle classi dirigenti.
In attesa del grande evento degli “Stati
generali dell’economia” il comitato di esperti di finanza e management
reclutato dal governo e guidato da Colao ha prodotto il suo documento strategico.
Articolato in sei capitoli esso
propone 120 schede colorate, dense
di raccomandazioni qualitative, il
cui obiettivo dichiarato è fornire gli indirizzi strategici per il rilancio
dell’Italia dopo la grande crisi mondiale del Covid-19.
Di primo acchito colpisce l’inversione dei ruoli nel teatro della
classe dirigente nazionale. Se agli esperti sembra delegata la formulazione
di un pensiero strutturato sulla visione del futuro della nazione, ai politici,
che si riuniranno a breve negli stati generali, resta dunque il compito di
trasformare quella visione in un piano operativo? Per intenderci, è come se,
all’alba degli anni ’50, Enrico Mattei avesse elaborato la visione di una
relativa autonomia energetica nazionale dando poi l’incarico ad Alcide De Gasperi
di realizzare il progetto Eni. Per rendere più popolare il paradosso, come se a
un comitato di calciatori della squadra nazionale fosse richiesto di elaborare
una visione del gioco del calcio adatta alla squadra e al commissario tecnico
di scendere in campo e fare goal.
La confusione
dei ruoli all’interno di un’organizzazione è la maggior causa
dell’insuccesso.
La sua conseguenza principale è la deresponsabilizzazione
degli attori che perdono il focus su azioni e risultati da loro attesi. L’azione diventa mero atto di comunicazione,
il risultato diventa il gradimento
mediatico della comunicazione. La realizzazione
dell’opera una fastidiosa, pressoché inutile, incombenza. L’augurio e la
speranza è che il governo pro-tempore
del paese, e quelli che seguiranno nei prossimi anni, si riappropri della
sua missione primaria: raccogliere le
indicazioni del Parlamento, mandatario della volontà nazionale, per
strutturare la visione del futuro della nazione, prendere decisioni
organizzative concrete e coerenti con quella visione, affidare incarichi
operativi a tecnici qualificati per eseguire le opere decise, controllare
costantemente che l’esecuzione delle opere avvenga con perizia e diligenza. E
fin qui siamo al metodo.
Questa può sembrare una noiosa questione,
ma purtroppo per noi adottare, e praticare, il metodo è determinante per le chance di successo. Paesi a noi
vicini, tra i nostri cugini europei, probabilmente meno creativi e immaginifici
di noi, hanno più spesso successo perché, adottato un metodo, si impegnano a
seguirlo ed a contenere il più possibile le pur inevitabili, umanissime, forze
centrifughe. Vi è poi una non meno rilevante questione di merito nel documento strategico prodotto dal comitato
di esperti. Si ravvisano in esso i peccati
routinari della classe dirigente nazionale nella sua storia più recente. Si
tratta dei peccati di analisi carente,
genericità, retorica e irresolutezza.
A quegli esperti non può sfuggire che un documento del genere,
presentato agli azionisti di una delle tante imprese per le quali hanno
lavorato e lavorano, ne avrebbe prodotto insoddisfazione e probabile
licenziamento.
Nel documento manca una seria valutazione analitica su quali siano le forze e
debolezze competitive del nostro sistema nazionale. Pochi fugaci accenni, soprattutto
scorrelati fra loro, all’anomalia di un’età media della popolazione troppo
elevata, a un rapporto squilibrato in eccesso tra il patrimonio privato e il
reddito nazionale, al livello patologico raggiunto dalla divisione del valore
aggiunto tra capitale, soprattutto finanziario, e lavoro. Alla progressiva
prevalenza, anch’essa oramai patologica, della rendita patrimoniale sul
profitto gestionale.
Al nanismo
delle imprese, tra cui le poche grandi rimaste progressivamente spogliate
dei loro centri decisionali nazionali affidati a mani straniere con le
inevitabili conseguenze sul drenaggio di liquidità necessaria agli
investimenti, nonché sul dirottamento dei flussi fiscali. Alla fragilità del sistema delle PMI,
retorico vanto nazionale, che, private dei clienti captive nazionali, le grandi
imprese, sono esposte senza difese alla tempesta dell’economia globale.
Ai dissennati innesti di common law nel
sistema giuridico, soprattutto procedurale, che hanno prodotto l’inefficiente,
e inefficace, ircocervo dell’attuale situazione nazionale in questo campo. Agli
altrettanto disorganici innesti di
organizzazione della formazione terziaria di spirito anglosassone nel sistema
universitario e scolastico italiano con la conseguenza di indebolire
l’eccellenza elitaria della scuola e università nazionale senza però
raggiungere la fama delle grandi scuole anglosassoni costruita sull’enormità
dei mezzi finanziari di cui esse possono disporre. Allo stato del sistema
sanitario nazionale, che, nella furia privatizzatrice dell’ultimo ventennio, ha
reso più fragile la componente pubblica senza raggiungere alcuna eccellenza in
quella privata se non l’ingente arricchimento di coloro, tra i privati, capaci
di convenzionarsi col pubblico.
La carenza
analitica del documento è la causa principale della sua genericità. Manca,
infatti, qualsiasi indicazione sul posizionamento obiettivo del sistema paese
nel contesto competitivo globale. Quale dovrà essere il ruolo dell’Italia? Tra
le righe sembrerebbe delinearsi quello di luogo
di turismo e vacanza, supportato in ciò dal notevole patrimonio artistico,
architettonico e naturale. Una sorta di “giardino del mondo” in altri termini.
Certamente questa è un’opportunità per l’Italia, il cui potenziale per essere
colto richiede comunque una meticolosa pianificazione ed una diligente
organizzazione delle risorse. Ma gli esperti non dovrebbero omettere l’inevitabile
conseguenza di una focalizzazione esclusiva dell’economia nazionale sulla
vocazione turistica, ovvero una tale monovocazione potrebbe sostenere
probabilmente una popolazione residente di non più di 30/40 milioni di
abitanti.
A questo punto paradossalmente il declino
demografico sarebbe benvenuto, seppure non si può immaginare una popolazione di
sessantenni che svolge attività turistica, ma bisognerebbe ristrutturarla in
una popolazione di venticinquenni. E per questo scopo ci vorrebbe una fantastica
formula alchemica di cui non sembriamo disporre. Quindi, il futuro nazionale
non può prescindere dal rilancio dell’industria manifatturiera. Ma al riguardo nulla si dice nel documento sul futuro dei
settori dell’acciaio, dell’automotive, della cantieristica, dell’aerospaziale,
degli armamenti, delle telecomunicazioni, dei trasporti, dell’energia, delle
reti, dei nuovi materiali. Se è ragionevole immaginare che tessile, moda,
agroalimentare e perfino farmaceutica possano progredire sulla base della mera
iniziativa dei privati, è impossibile che questa da sola riesca a sviluppare
iniziative durevoli in quei grandi settori ad alta intensità di capitale e di
lavoro. Quale di essi ha ancora chance di successo nel sistema competitivo
globale e quale di essi risulta congeniale alle attuali caratteristiche e
dotazioni della nazione è un’omissione nel documento che lo priva di
concretezza. Ma forse bisogna sperare che, invero, tale analisi sia stata fatta
e prudentemente secretata per la sua natura riservata e sensibile in termini
competitivi.
La genericità del documento ne favorisce le
caratteristiche retoriche. Ovviamente pochi
saranno contrari a sostenere la sopravvivenza e ripartenza delle imprese,
ridurre l’economia sommersa, modernizzare il tessuto economico e produttivo,
promuovere la fibra digitale, il risparmio energetico, la mobilità sostenibile,
l’economia circolare, le infrastrutture strategiche, rendere la pubblica
amministrazione trasparente, moderna e veloce trasformandola da controllore in
alleato dei cittadini, favorire la parità di genere, incentivare la generosità
del terzo settore (si intende la carità privata forse?). Eccellenti temi per
numerose campagne pubblicitarie. Non si capisce bene, tuttavia, quali siano i
prodotti promossi da queste campagne. Nel dizionario della lingua italiana il
termine “irresolutezza” è spiegato come incertezza e titubanza causata
specialmente dalla percezione della propria soggettiva inferiorità, magari
inconsapevole, nei confronti di un compito o di una situazione. Resta solo da
augurarsi che questa inabilitante condizione psicologica sia velocemente
rimossa dalla coscienza collettiva della classe dirigente nazionale, fin dalle
prossime settimane magari.
Nessun commento:
Posta un commento