giovedì 11 giugno 2020

Film: “Favolacce” e i draghi spariti dalle mappe d'Italia



da: https://www.gqitalia.it/ - di Ferdinando Cotugno

Quello dei fratelli D'Innocenzo è finora il miglior film italiano del 2020 e contiene alcune verità spietate

«Ci sono strade che non si dovrebbero percorrere», dice Lorne Malvo, l'assassino interpretato da Billy Bob Thornton nella prima stagione di Fargo. «Una volta le mappe dicevano: qui ci sono i draghi. Oggi non lo dicono più, ma questo non significa che non ci siano più i draghi». Favolacce dei fratelli D'Innocenzo (visibile su Mio Cinema) fa esattamente quella cosa lì: ti porta a vedere i draghi di un'Italia nella quale abbiamo smesso di indicarli cartograficamente, convinti che in questo modo sarebbero spariti, e invece esistono ancora, eccome se esistono. Il cinema italiano è un posto dove non succede quasi più niente di importante, i film sono diventati inutilizzabili come mappa di quello che vediamo nella vita, sono da tempo un mondo a parte, nel quale si parla una lingua a parte. Damiano e Fabio D'Innocenzo hanno trovato la loro strada quasi alla cieca, senza appoggiarsi a niente che non fosse la loro storia, stando addosso ai personaggi, annusandoli. Alla fine ti sembra di sapere che odore avevano i protagonisti.

Favolacce inizia con un depistaggio, l'unico modo per imbattersi nei mostri in Italia. La voce narrante enuncia: «Quanto segue è ispirato a una storia vera, la storia vera è ispirata a una storia falsa, la storia falsa non è molto ispirata». È Max Tortora, così familiare per chiunque possieda una televisione, il suo è un timbro di cui fidarsi. La voce dice
di aver trovato il diario di una bambina nella spazzatura, il testo è incompleto, lui prende la storia da lì e la porta noi, alle condizioni sopra spiegate. Sono le premesse ideali per essere depistati, a un film non si può chiedere di meglio. Ci sono tre famiglie più o meno  insoddisfatte, è estate, la stagione italiana in cui quelle felici lo sono tutte allo stesso modo e quelle infelici tendono a esplodere. Il meccanismo della detonazione è centrale in Favolacce, che è la storia di una rivolta dei bambini che silenziosamente, senza dare fastidio a nessuno, provano a far saltare in aria Spinaceto.

Si possono fare letture urbanistiche molto interessanti di Favolacce, che è insieme specifico e bugiardo sul posto dove è ambientato. Scrive Stefano Ciavatta: «Nella realtà delle cose la Spinaceto pettinata di Favolacce, soffice come le palette Pantone, non esiste». Non solo perché il film è stato girato altrove (in provincia di Viterbo), ma perché sembra compiere l'ennesimo abuso ai danni della periferia di Roma, un capro espiatorio di comodo, che ha confessato le sue colpe da tempo e quindi se le deve prendere anche per tutti gli anni a venire. La borgata romana è il maggiordomo del cinema italiano. Spinaceto per altro «non è niente male», come diceva Nanni Moretti in Caro Diario. Solo che Nanni Moretti non sapeva niente di Spinaceto, parlava di sé, non è un colpa peggiore di altre, ma il peso è rimasto sul quartiere, stereotipo di non si sa nemmeno più cosa. Favolacce però non ha una missione sociologica, perché è una storia di draghi. La toponomastica è accurata come quella del libro pop-up della locandina, quindi Spinaceto dei fratelli d'Innocenzo è un posto qualsiasi che per fare paura deve sembrare molto specifico. La credibilità urbanistica  è una valuta da spendere altrove, per parlare di altro.

Di cosa parla Favolacce, allora? Delle creature più mostruose e spaventose che un narratore possa scegliere di raccontare: le famiglie italiane. C'è una scena, nei primi dieci minuti di film, che fa paura quanto un horror giapponese degli anni '90. Una famiglia a cena, una sera d'estate. I genitori sono Elio Germano e Barbara Chichiarelli. Nella presentazione del mondo di Favolacce, i Placido sembrano i più normali, i figli prendono buoni vuoti a scuola, i genitori non sono fanatici o spostati, solo gente normale di un'Italia normale. A cena Dennis, il figlio maschio, rischia di strozzarsi con un boccone di carne. Bruno, il padre, non riesce a capire, poi capisce, non sa che fare, fa qualcosa di insensato, rovescia il piccolo, in qualche modo il destino è clemente con lui e Dennis sputa il boccone anche se la manovra era tutta sbagliata. Bruno invece di essere grato e consolare il figlio, se la prende con lui, poi con la moglie, poi con la vita intera. I bambini sono terrorizzati, la moglie impietrita, lui prende tutto il contenuto della cena e la butta via in un cassonetto, prima di uscire dalla scena urlando. Erano anni che il nostro cinema non mostrava in modo così spietato e accurato la famiglia italiana in tutta la sua insensatezza.

Quello che segue è parzialmente uno spoiler.
C'è una scena, verso la fine del film, ancora più accurata. Quando Elio Germano scopre l'esito della rivolta dei bambini di Spinaceto, fa quello che avrebbero fatto molti padri italiani: torna a dormire. Si rimette a letto e aspetta, non perché non abbia visto l'orrore, la sconfitta e la fine di tutto, ma perché vuole che sia sua moglie a farsi carico del bisogno di urlare. In quella scena c'è tutta la debolezza dei maschi italiani adulti, Favolacce è ambiguo sul periodo in cui è ambientato, a volte sembra il presente, altre gli anni '90, questo per dire che la sconfitta di quei padri italiani, la loro debolezza, sono una faccenda ampia, generazionale, più che generazionale, quasi genetica, come se tutte le famiglie italiane fossero in qualche modo state costruite per occultare e tramandare la debolezza dei padri. È una verità spietata, come i draghi cancellati dalle mappe di quella scena di Fargo.

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