da: https://www.fanpage.it/
- di Annalisa Girardi
L’Italia ha dato il via libera alla vendita
di due fregate della marina militare all’Egitto. Una notizia che ha innescato
diverse polemiche sia per la mancanza di risposte de Il Cairo sulla morte di
Giulio Regeni, sia per il coinvolgimento del Paese nel conflitto libico.
Fanpage.it ha fatto il punto della situazione con Francesco Vignarca, il
coordinatore nazionale della Rete italiana per il disarmo.
Il governo italiano ha autorizzato la
vendita di due fregate Fremm, tra le navi più moderne della marina militare,
all'Egitto. Si tratta della Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi: una commessa
da oltre 1 miliardo di euro, che però potrebbe fare parte di un accordo ancora
più grande. Anche se non ci sono ancora informazioni ufficiali a riguardo, l'Italia
potrebbe presto vendere ingenti forniture militari alle forze armate egiziane,
tra velivoli, caccia e altre fregate, per un valore compreso tra i 9 e gli 11
miliardi di euro. La prima intesa sarebbe arrivata dopo la telefonata tra
Giuseppe Conte e il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi. La notizia
sarebbe anche stata confermata Fincantieri, già in trattativa con Il Cairo e in
attesa del via libera per l'esportazione. Il tutto mentre l'Italia attende
ancora la verità su Giulio Regeni. Così come aspetta risposte sulla vicenda di
Patrick Zaki, lo studente dell'università di Bologna arrestato incarcerato
nella capitale egiziana come detenuto politico. Tra i due Paesi pesa anche la questione
libica, ma tutti questi elementi non sarebbero sufficienti a fermare l'accordo.
"Un oltraggio alla memoria di Giulio
Regeni"
Intanto la Commissione d'inchiesta sulla
morte di Giulio Regeni ha convocato "urgentemente" Conte in audizione
"alla luce degli ultimi rilevanti sviluppi in ordine alle relazioni
bilaterali italo-egiziane". Lo ha confermato il presidente della
Commissione, Erasmo Palazzotto. Anche la Rete italiana per il disarmo è
intervenuta sulla questione, definendo l'ultima commessa come "oltraggiosa
nei confronti della memoria di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano
barbaramente assassinato in Egitto e sulla cui morte le autorità egiziane non
hanno mai contribuito a fare chiarezza, ma anche nei confronti di tutti coloro
– oppositori politici, sindacalisti, giornalisti, difensori dei diritti umani –
che vengono perseguitati perché non sono graditi al regime imposto dal generale
al-Sisi, come dimostra anche il caso di Patrick Zaki".
Ma la Rete aggiunge anche come sia inaccettabile
rilasciare licenza ad esportare un arsenale militare a un Paese che da anni
"destabilizza ogni negoziato per la pacificazione in Libia". Secondo
i dati comunicati dagli attivisti, l'Egitto nel 2019 è stato il principale
destinatario dell'export di armi da parte dell'industria bellica italiana, per
un giro di affari da 871 milioni di euro. Fanpage.it ha fatto il punto della
situazione con Francesco Vignarca, il coordinatore nazionale della Rete
italiana per il disarmo, che ha spiegato come ci siano vari aspetti
problematici sull'accordo in questione, anche al di là delle posizioni
politiche e ideologiche in merito all'industria delle armi.
L'implicazione dell'Egitto in Libia
Vignarca spiega i vertici dell'Uama,
l'Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento, dopo i rumors delle
scorse settimane sulla commessa all'Egitto erano già apparsi davanti alla
Commissione alla Camera. Ma ora gli attivisti vogliono promuovere una forte
mobilitazione sui social network, a partire da domani mattina, che abbia come
obiettivo il blocco della vendita di armi al Paese di Al Sisi. Il coordinatore
sottolinea poi come in questo caso la vendita delle fregate all'Egitto
rappresenti una grande preoccupazione anche considerato il coinvolgimento del
Paese nelle partita libica. "Fondamentalmente noi stiamo andando a vendere
armi all'Egitto e alla Turchia, che sono entrambi coinvolti in Libia ed
entrambi sospettati di violare l'embargo delle armi imposto dalle Nazioni Unite
verso Tripoli".
Inoltre, se Ankara supporta il governo di
Fayez Al Sarraj, riconosciuto dalla comunità internazionale, Il Cairo supporta
invece le milizie del generale Khalifa Haftar: "Quindi stiamo contribuendo
a rendere ancora più complicato lo scacchiere libico, mentre da sempre tutti
dichiarano che la stabilità in Libia sia fondamentale per l'Italia per una
questione di risorse e di vicinanza. Facciamo tutti questi grandi discorsi di
geopolitica, ma poi andiamo a vendere armi a tutti. Anche a quelli che
sostengono Haftar, che solo qualche settimana fa ha portato avanti un attacco
vicino all'ambasciata italiana", prosegue Vignarca. E ancora: "Il
tutto avendo preteso, puntando anche i piedi, di essere a capo della missione
Irini", promossa dall'Unione europea per il controllo dell'embargo sulle
armi in Libia. Proprio oggi, inoltre, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio,
in conferenza stampa con il suo omologo greco, Nikos Dendias, ha annunciato che
l'Italia metterà a disposizione della missione una fregata e due velivoli.
Il paradosso economico della vendita di
armi all'Egitto
"Al di là di tutte le valutazioni che
si possono fare sui diritti umani e sulle violazioni di un regime autoritario
come quello di Al Sisi, è una pazzia dal punto di vista della logica e della
coerenza", continua Vignarca, commentando la vendita delle due fregate
alla Libia. C'è inoltre un'altra questione, messa in evidenza dal coordinatore
della Rete italiana per il disarmo, di natura economica: "L'unico modo che
hanno in mente alcuni esponenti della politica per uscire da problematiche
economiche è il sostegno all'industria degli armamenti. Mentre ci sarebbero
tanti altri comparti economici da favorire molto più remunerativi, importanti dal
punto di vista dell'occupazione, e soprattutto senza le controindicazioni che
si presentano con la vendita di armi in una regione così problematica".
Vignarca parla quindi del rischio che una commessa di questo tipo, alla fine,
comporti anche maggiore spesa militare per l'Italia: "La marina voleva due
navi. Queste erano quasi pronte per andare a ruolo, ma le vengono tolte per
essere inviate in Egitto. Ovviamente la marina vorrà ancora le sue navi, che
saranno nuove, più potenti e più costose. Alla fine della fiera, per garantire
una commessa a Fincantieri, peraltro in una situazione problematica del genere,
ancora una volta il contribuente italiano dovrà tirare fuori i soldi".
Vignarca afferma anche che in questa
partita tra Italia ed Egitto potrebbe essere coinvolta anche la Sace, la
società pubblica controllata dalla Cassa di depositi e prestiti che durante
l'emergenza coronavirus sta fungendo da garanzia per le imprese che richiedono
investimenti alla banche per superare la crisi. E che ha anche un'importante
ruolo come agenzia che sostiene il credito all'esportazione. "Non si
capisce perché dovrebbero essere coinvolte delle banche, a meno che uno non
sappia, come noi sappiamo, che l'Egitto è solito comportarsi in un certo modo,
come ha già fatto con la Francia per una commessa su degli aerei: paga una
parte dell'ordine e si fa finanziare da delle banche per l'altra parte. O
addirittura dal credito all'esportazione italiana. Con il rischio poi che non
solo l'Italia non veda quei soldi, ma si trovi anche a pagarli a caro prezzo
perché il Paese è esposto con le banche e con la Sace: è assurdo", spiega
Vignarca. Il coordinatore sottolinea che aspetti di questo tipo siano un
dettaglio tecnico, in confronto alla questione sui diritti umani, ma comunque
rilevanti: "Ci troviamo cornuti e mazziati: perché diamo armi a chi ci sta
creando problemi in Libia, le diamo a chi insabbia le vicende di Giulio Regeni
e di Patrick Zaky, a un regime autoritario, e alla fine dobbiamo pure tirare
fuori i soldi per fargliele avere".
La legge 185 / 1990
La Rete italiana per il disarmo si appella
anche alla legge 185 del 1990, che vieta la vendita di armi a quei Paesi i
cui governi sono responsabili di
accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti
umani o dove vige l'embargo delle armi proclamato dall'Onu o dall'Unione
europea. Negli ambienti favorevoli all'industria bellica, racconta Vignarca, si
può notare una certa insofferenza verso questa norma, che a detta di molti
dovrebbe essere cambiata. "Non vorrebbero nemmeno questi pochi controlli
che abbiamo e che spesso e volentieri non vengono neanche rispettati, come
abbiamo visto. Peccato per loro che oltre la 185 ci sia anche la posizione
comune dell'Ue e il trattato internazionale sul commercio di armi (Att): sono
norme a cui l'Italia deve sottostare perché le ha ratificate", prosegue il
coordinatore, aggiungendo che nell'Att si stabilisce addirittura il divieto di
vendere armi anche solo in presenza del rischio di violazioni di diritti umani.
Il quadro normativo, sia nazionale che
internazionale, quindi avrebbe tutti gli elementi a disposizione per vietare
commesse di queste tipo. "Noi di Rete italiana per il disarmo chiediamo
che ne discuta il Parlamento. Se vogliono eliminare alcuni criteri della legge
185 possono farlo solo in un modo: il Parlamento deve votare una risoluzione o
una delibera del Consiglio dei ministri che affermi che in quel caso, per
ragioni di Stato o di alleanze politiche, si superino i criteri della 185. Però
vengano in Parlamento a dirlo e a spiegare perché bisogna sputare in faccia
alla famiglia Regeni e a Patrick Zaky, o ignorare tutte le norme
internazionali, solo per favorire i produttori di armi. Che vengano a dirlo in
Parlamento", conclude Vignarca.
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