Report
ha scoperto una fattura da mezzo milione di euro trasformata poi in una
donazione in circostanze un po' dubbie
Nella puntata della trasmissione di Rai 3
Report di lunedì è andato in onda un
servizio che accusa un’azienda di abbigliamento di proprietà del cognato del
presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana di aver ottenuto senza appalto una commessa da
circa mezzo milione di euro per una fornitura di camici. Secondo i
documenti citati da Report, la fornitura è poi stata trasformata in una
donazione, ma soltanto dopo che la trasmissione aveva iniziato a indagare sulla
vicenda. La procura di Milano ha aperto un’indagine sulla vicenda, senza
indagati né ipotesi di reato.
La storia era uscita inizialmente sul Fatto Quotidiano di domenica, e
coinvolge Andrea Dini, imprenditore di
Varese proprietario di Dama S.p.A., società che produce il marchio di
abbigliamento Paul & Shark. Per il 10 per cento, la società è partecipata
dalla sorella Roberta Dini, moglie di Fontana. Il 16 aprile, nel pieno
dell’emergenza coronavirus, la centrale acquisti della Lombardia Aria assegnò a
Dama S.p.A. la fornitura per i camici e altri materiali di dispositivi di
protezione, per un totale di 82mila pezzi e un valore di 513mila euro.
Il 16 aprile la ditta del cognato e della moglie del presidente Attilio
Fontana si è aggiudicata, senza gara pubblica, una fornitura di camici da
500.000€. Il cognato di Fontana a #Report: "Appalto assegnato a mia
insaputa. Non avremo 1€ dalla Regione" pic.twitter.com/GlRmwL2vgw
—
Report (@reportrai3) June 8, 2020
Secondo
Report, la documentazione sulla fornitura non compare nel database ufficiale degli
acquisti sul sito di Aria, ma è reperibile soltanto un accenno senza
dettagli su una pagina interna. La trasmissione ha però mostrato la lettera di acquisto indirizzata da Aria a Dama S.p.A.,
in cui si dice che il bonifico con i 513mila euro sarebbe stato erogato dalla
centrale acquisti entro due mesi dal 16 aprile.
Report ha parlato con Dini – dal citofono
di casa – e gli ha chiesto conto della vicenda. Inizialmente l’imprenditore ha parlato di una
donazione, ma poi ha ammesso che i
camici erano originariamente destinati a una fornitura, decisa da altre persone
di Dama S.p.A. quando lui non era in azienda. Quando ha saputo della questione,
ha detto, ha «immediatamente rettificato tutto perché doveva essere una
donazione». «Non avremo mai un euro da Aria» ha assicurato Dini.
Report dice di aver verificato che esistono
le note di credito che annullano le
fatture per i camici, emesse tra il 22 e il 28 maggio, «nello stesso periodo in cui la notizia
comincia a circolare nella Regione e Report
inizia ad occuparsene». Report inoltre ha mostrato una mail inviata da Dini
al direttore generale di Aria il 20 maggio in cui scrive di aver deciso di
«trasformare il contratto di fornitura in donazione». C’è poi un’incongruenza: le note di credito per
annullare la fattura ammontano a 359mila euro, quindi mancano circa 150mila
euro.
Fontana
si è difeso dalle accuse su Facebook, spiegando che Dama S.p.A. è
una delle tante aziende lombarde che ha riconvertito la produzione per
distribuire e donare dispositivi di protezione individuale durante l’emergenza.
La fattura di 513mila euro alla società per la fornitura di camici è stata un
errore dovuto a un «automatismo burocratico»,
dice Fontana, ed è stata successivamente annullata.
Secondo il Fatto Quotidiano, Dama S.p.A.
compare regolarmente tra le aziende fornitrici di Aria, ma a differenza delle
altre non ha sottoscritto un “patto di
integrità” che tra le altre cose garantisce l’assenza di conflitti di
interessi. Un avvocato ha poi spiegato al quotidiano che quella dei camici difficilmente avrebbe
potuto essere stata intesa inizialmente
come donazione, perché per una cifra di quelle dimensioni in teoria sarebbe
stata necessaria una decisione del consiglio d’amministrazione con relativo
avviso al collegio sindacale, e anche un atto notarile.
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