martedì 9 giugno 2020

La storia dei camici forniti alla Lombardia dall’azienda del cognato di Fontana




Report ha scoperto una fattura da mezzo milione di euro trasformata poi in una donazione in circostanze un po' dubbie

Nella puntata della trasmissione di Rai 3 Report di lunedì è andato in onda un servizio che accusa un’azienda di abbigliamento di proprietà del cognato del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana di aver ottenuto senza appalto una commessa da circa mezzo milione di euro per una fornitura di camici. Secondo i documenti citati da Report, la fornitura è poi stata trasformata in una donazione, ma soltanto dopo che la trasmissione aveva iniziato a indagare sulla vicenda. La procura di Milano ha aperto un’indagine sulla vicenda, senza indagati né ipotesi di reato.

La storia era uscita inizialmente sul Fatto Quotidiano di domenica, e coinvolge Andrea Dini, imprenditore di Varese proprietario di Dama S.p.A., società che produce il marchio di abbigliamento Paul & Shark. Per il 10 per cento, la società è partecipata dalla sorella Roberta Dini, moglie di Fontana. Il 16 aprile, nel pieno dell’emergenza coronavirus, la centrale acquisti della Lombardia Aria assegnò a Dama S.p.A. la fornitura per i camici e altri materiali di dispositivi di protezione, per un totale di 82mila pezzi e un valore di 513mila euro.


    Il 16 aprile la ditta del cognato e della moglie del presidente Attilio Fontana si è aggiudicata, senza gara pubblica, una fornitura di camici da 500.000€. Il cognato di Fontana a #Report: "Appalto assegnato a mia insaputa. Non avremo 1€ dalla Regione" pic.twitter.com/GlRmwL2vgw

    — Report (@reportrai3) June 8, 2020

Secondo Report, la documentazione sulla fornitura non compare nel database ufficiale degli acquisti sul sito di Aria, ma è reperibile soltanto un accenno senza dettagli su una pagina interna. La trasmissione ha però mostrato la lettera di acquisto indirizzata da Aria a Dama S.p.A., in cui si dice che il bonifico con i 513mila euro sarebbe stato erogato dalla centrale acquisti entro due mesi dal 16 aprile.

Report ha parlato con Dini – dal citofono di casa – e gli ha chiesto conto della vicenda. Inizialmente l’imprenditore ha parlato di una donazione, ma poi ha ammesso che i camici erano originariamente destinati a una fornitura, decisa da altre persone di Dama S.p.A. quando lui non era in azienda. Quando ha saputo della questione, ha detto, ha «immediatamente rettificato tutto perché doveva essere una donazione». «Non avremo mai un euro da Aria» ha assicurato Dini.

Report dice di aver verificato che esistono le note di credito che annullano le fatture per i camici, emesse tra il 22 e il 28 maggio, «nello stesso periodo in cui la notizia comincia a circolare nella Regione e Report inizia ad occuparsene». Report inoltre ha mostrato una mail inviata da Dini al direttore generale di Aria il 20 maggio in cui scrive di aver deciso di «trasformare il contratto di fornitura in donazione». C’è poi un’incongruenza: le note di credito per annullare la fattura ammontano a 359mila euro, quindi mancano circa 150mila euro.

Fontana si è difeso dalle accuse su Facebook, spiegando che Dama S.p.A. è una delle tante aziende lombarde che ha riconvertito la produzione per distribuire e donare dispositivi di protezione individuale durante l’emergenza. La fattura di 513mila euro alla società per la fornitura di camici è stata un errore dovuto a un «automatismo burocratico», dice Fontana, ed è stata successivamente annullata.

Secondo il Fatto Quotidiano, Dama S.p.A. compare regolarmente tra le aziende fornitrici di Aria, ma a differenza delle altre non ha sottoscritto un “patto di integrità” che tra le altre cose garantisce l’assenza di conflitti di interessi. Un avvocato ha poi spiegato al quotidiano che quella dei camici difficilmente avrebbe potuto essere stata intesa inizialmente come donazione, perché per una cifra di quelle dimensioni in teoria sarebbe stata necessaria una decisione del consiglio d’amministrazione con relativo avviso al collegio sindacale, e anche un atto notarile.

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