3a Relazione - Comunicazione: per tutte le
persone
di Valentina
Alazraki
Introduzione
Buon pomeriggio a tutti, Santità, Eminenze,
Eccellenze, Padre Lombardi. Non leggerò l’introduzione iniziale perché padre
Lombardi mi ha già presentato, per cui non mi sentirete ripeterlo.
Mi hanno invitato a parlarvi della
comunicazione e, in particolare, di come una comunicazione trasparente sia indispensabile
per combattere gli abusi sessuali sui minori da parte di uomini della Chiesa.
Ad un primo sguardo, c’è poco in comune tra
voi ed io, voi, vescovi e cardinali, e me, una donna laica, senza incarichi
nella Chiesa, e per di più giornalista; suppongo questo non aiuti. Eppure
condividiamo qualcosa di molto forte: tutti abbiamo una madre, tutti siamo qui
perché un giorno una donna ci ha generati. Rispetto a voi, io ho forse un
privilegio in più: sono prima di tutto una mamma.
Non mi sento quindi solo rappresentante dei
giornalisti, ma anche delle mamme, delle famiglie, della società civile.
Desidero condividere con voi le mie esperienze, il mio vissuto e – se me lo
permetterete – aggiungere alcuni consigli pratici.
Il
mio punto di partenza, la maternità
Mi piacerebbe partire proprio da questo,
dalla maternità per sviluppare il tema che mi avete affidato, vale a dire: come
la Chiesa dovrebbe comunicare sul tema degli abusi.
Dubito che qualcuno in quest’aula non pensi
che la Chiesa sia, prima di tutto, madre. Molti di noi qui presenti abbiamo o
abbiamo avuto un fratello o una sorella. Ricordiamo che le nostre madri, pur
amandoci tutti allo stesso modo, si dedicavano specialmente ai figli più
fragili, più deboli, a quelli che magari non sapevano procedere con le proprie
gambe nella vita e avevano bisogno di una piccola spinta.
Per una madre non ci sono figli di prima o
seconda classe: ci sono figli più forti e figli più vulnerabili. Lo dico come
mamma.
Neanche per la Chiesa ci sono – o avrebbero
potuto esserci - figli di prima o seconda classe.
I suoi figli apparentemente più importanti, come siete voi, i vescovi e i cardinali (non oso dire il Papa), non lo sono di più di qualsiasi altro bambino, bambina o giovane che abbia vissuto la tragedia di essere vittima di abuso da parte di un uomo della Chiesa, da parte di un sacerdote.
I suoi figli apparentemente più importanti, come siete voi, i vescovi e i cardinali (non oso dire il Papa), non lo sono di più di qualsiasi altro bambino, bambina o giovane che abbia vissuto la tragedia di essere vittima di abuso da parte di un uomo della Chiesa, da parte di un sacerdote.
Qual è la missione della Chiesa? è
ovviamente predicare il Vangelo, ma per farlo ha bisogno di una guida morale;
la coerenza tra ciò che predica e ciò che vive rappresenta la base per essere
un’istituzione credibile, degna di fiducia e di rispetto.
Perciò, di fronte a condotte delittuose
come gli abusi su minori, pensate che un’istituzione come la Chiesa, per essere
fedele a se stessa, abbia un’altra via se non quella di denunciare questo
crimine? Che abbia un’altra via se non quella di stare dalla parte della
vittima e non del carnefice? Chi è il figlio più debole, più vulnerabile? Il
sacerdote che ha abusato, il vescovo che ha abusato e coperto, o la vittima?
Siate certi che i giornalisti, le mamme le
famiglie e l’intera società, per noi, gli abusi sui minori sono uno dei
principali motivi di angoscia. Ci preoccupa l’abuso sui minori per ciò che
comporta: la distruzione delle famiglie. Riteniamo tali abusi come uno dei crimini
più abominevoli.
Chiedetevi: siete nemici di quanti
commettono abusi o li coprono tanto quanto lo siamo noi, le mamme, le famiglie,
la società civile?
Noi abbiamo scelto da quale parte stare.
Voi, lo avete fatto davvero, o solo a parole?
Alleati
o nemici
Se siete contro quanti commettono abusi o
li coprono, allora stiamo esattamente dalla stessa parte. Possiamo essere
alleati, non nemici. Vi aiuteremo a trovare le mele marce e a vincere le
resistenze per allontanarle da quelle sane.
Ma se voi non vi decidete in modo radicale
di stare dalla parte dei bambini, delle mamme, delle famiglie, della società
civile, avete ragione ad avere paura di noi, perché saremo i vostri peggiori
nemici. Perché noi giornalisti desideriamo il bene comune.
Mi occupo del Vaticano da 45 anni. Cinque
pontificati diversi, importantissimi per la vita della Chiesa e per la vita del
mondo. In questi quattro decenni ho visto proprio di tutto, e vi chiedo di
credermi. Ho visto davvero tutto.
Quante volte mi è toccato ascoltare che lo
scandalo degli abusi è «colpa della stampa, che è un complotto di certi mass
media per screditare la Chiesa, che dietro ci sono poteri occulti, per mettere
fine a questa istituzione»!
Noi giornalisti sappiamo che ci sono
informatori più o meno rigorosi di altri, lo sappiamo. Sappiamo che ci sono
mass media più o meno dipendenti da certi poteri, che siano interessi politici,
ideologici o economici. Ma credo non si possa in alcun caso colpevolizzare i
mass media per aver rivelato gli abusi o informato su di essi. Sappiamo
cosa pensate dei media, ma credo che questo punto sia importante da ricordare.
Gli abusi contro i minori non sono
pettegolezzi né chiacchiere, sono crimini. Ricordo le parole di papa
Benedetto XVI, durante il volo per Lisbona, Portogallo, quando
ci ha detto che la più grande persecuzione alla Chiesa non viene dai nemici
esterni ma nasce dall’interno, dal peccato al suo interno.
Vorrei che usciste da quest’aula, non so se
sia una speranza troppo grande, con la convinzione che noi giornalisti non
siamo vostri nemici, non siamo né quelli che abusano né quelli che coprono. La
nostra missione è di esercitare e difendere un diritto, che è il diritto a
un’informazione basata sulla verità per ottenere giustizia.
Sappiamo che gli abusi non sono
circoscritti alla Chiesa, sappiamo che avvengono nelle famiglie, nelle scuole,
nel mondo dello sport, ma dovete capire che con voi dobbiamo essere più
rigorosi, in virtù del vostro ruolo morale. Rubare, per esempio, è sbagliato,
ma se chi ruba è un poliziotto ci indigna di più, perché è il contrario di
quello che dovrebbe fare, cioè proteggere la comunità dai ladri. Se un medico o
infermiere avvelena i suoi pazienti invece di curarli, ci indigniamo di più
perché va contro la loro etica, il loro codice deontologico.
La
mancanza di comunicazione, un altro abuso
Come giornalista, come donna e madre,
vorrei dirvi che pensiamo che abusare sia tanto spregevole quanto coprire
l’abuso. E voi sapete meglio di me che gli abusi sono stati coperti in modo
sistematico, dal basso verso l’alto.
Credo che dovreste prendere coscienza che
quanto più coprirete, quanto più farete come gli struzzi, quanto meno
informerete i mass media e, quindi, i fedeli e l’opinione pubblica, tanto più
grande sarà lo scandalo. Se qualcuno ha un tumore, non si curerà nascondendolo
ai propri familiari o amici, non sarà il silenzio a farlo guarire, saranno le
cure più indicate a evitare alla fine le metastasi e a portare alla
guarigione.
Comunicare è un dovere fondamentale, perché,
se non lo fate, diventate automaticamente complici degli abusatori. Non
fornendo le informazioni che potrebbero evitare che queste persone commettano
altri abusi, non state dando ai bambini, ai giovani, alle loro famiglie gli
strumenti per difendersi da nuovi crimini. È come una malattia contagiosa: se
si ha una malattia contagiosa e non si avvertono le persone con cui si entra in
contatto, non si impedisce a quella persona di infettarsi e di ammalarsi. E'
esattamente la stessa cosa.
I fedeli non perdonano la mancanza di
trasparenza, perché è una nuova violenza, è una nuova violenza verso le
vittime. Chi non informa, incoraggia un clima di sospetto e di sfiducia e
provoca rabbia, e ’odio verso l’istituzione.
L’ho visto con i miei stessi occhi nel
viaggio di Papa Francesco in Cile nel 2018. Non c’era indifferenza: c’erano
indignazioni e rabbia per l’occultamento sistematico, per il silenzio, per
l’inganno ai fedeli e il dolore delle vittime che per decenni non sono state
ascoltate, non sono state credute.
Le vittime hanno prima di tutto diritto a
sapere che cosa è successo, che cosa avete fatto per allontanare e punire
quanti hanno commesso abusi. Anche se il colpevole può essere morto, il dolore
della vittima non si finisce, non finisce nulla. Non si può più punire il
colpevole, ma almeno si può consolare la vittima, che forse ha vissuto molti
anni con quella ferita nascosta. Inoltre altre vittime che restano in silenzio
oseranno uscire, e voi favorirete la loro guarigione e la loro consolazione.
Prendete
l’iniziativa
In spagnolo diciamo che chi colpisce per
primo colpisce tre volte. Ovviamente non si tratta ovviamente di colpire, ma si
tratta d’informare.
Penso che sarebbe molto più sano, più
positivo e più utile se la Chiesa fosse la prima a dare l’informazione, in modo
proattivo e non sempre reattivo, come normalmente avviene. Non dovreste
attendere per rispondere a domande legittime della stampa (che finalmente sono
domande che provengono della gente, della vostra gente) che un’inchiesta
giornalistica scopra il caso.
Nell’epoca in cui viviamo nascondere un
scandalo è molto difficile. Con l’auge delle reti sociali, la facilità di
postare foto, audio e video, e i veloci cambiamenti sociali e culturali, la
Chiesa ha solo una strada, credo: quella di puntare sul rendere conto e sulla
trasparenza, che vanno di pari passo.
Raccontate le cose quando le sapete. Certo,
non sarà piacevole, ma è l’unica via, se volere che vi crediamo quando voi dite
che «d’ora in poi non saranno più tollerati occultamenti». Il primo a
beneficiare della trasparenza è l’istituzione, sempre, perché si
focalizza sui colpevoli e non su voi stessi sul colpevole.
Imparare
dagli errori del passato
Sono messicana e non posso non menzionare
il caso forse più terribile che sia accaduto all’interno della Chiesa, quello
di Marcial Maciel, il fondatore messicano della Legione di Cristo. Sono stata
testimone di questo triste caso dall’inizio alla fine. Al di là del giudizio
morale sui crimini commessi da questa persona, che per alcuni è stato una mente
malata e per altri un genio del male, vi assicuro che alla base di quello
scandalo, che tanto male ha fatto a migliaia di persone, fino a macchiare la
memoria di un uomo che oggi è santo, mi riferisco a San Giovanni Paolo II, c’è
stata una comunicazione malata.
Non bisogna dimenticare che nella Legione
c’era un quarto voto secondo il quale se un legionario vedeva qualcosa che non
lo convinceva di un superiore, non poteva né criticarlo né tanto meno
commentarlo o informare qualcuno.
Senza questa censura, senza questo
occultamento totale, se ci fosse stata trasparenza, Marciel Maciel non avrebbe
potuto abusare per decenni di seminaristi e avere tre o quattro vite, mogli e
figli, che sono arrivate ad accusarlo di avere abusato di loro stesse.
Per me questo è il caso più emblematico di
una comunicazione malata, corrotta, da cui si possono – penso - e si
devono imparare molte lezioni.
Papa Francesco, in occasione del Natale, a
dicembre, ha detto alla Curia che, in altre epoche, nel
trattare questi temi, c’erano state ignoranza, mancanza di preparazione e
incredulità. Io oso dire che c’è stata anche corruzione.
Dietro al silenzio, alla mancanza di una
comunicazione sana, trasparente, molte volte c’è non solo la paura dello
scandalo, la preoccupazione per il buon nome dell’istituzione, ma anche denaro,
assegni, doni, permessi per costruire scuole e università in zone dove magari
non si poteva costruire. Parlo di quel che ho visto e indagato a fondo.
Non me lo hanno raccontato.
Papa Francesco ci ricorda sempre che il
diavolo entra dalla tasca e credo che abbia pienamente ragione. La trasparenza
nel trattare il tema degli abusi verso i minori, vi aiuterà a lottare contro la
corruzione economica.
Nel processo d’informazione interna -
continuo a fare riferimento al caso di Marcial Maciel - qui in Vaticano, dal
basso verso l’alto, abbiamo saputo grazie a vari prelati, e a vari nunzi,
e io posso testimoniarlo perché me lo hanno raccontato in prima persona, che ci
sono stati casi di occultamento, ostacoli ad accedere al papa del momento, una
sottovalutazione della gravità delle informazioni o un loro screditamento, come
se fossero frutto di ossessioni o fantasie. Questo è stato detto a coloro
che volevano informare, a coloro che volevano essere fedeli ai loro servizi e
volevano che quell'informazione arrivasse.
La trasparenza, dunque, vi aiuterà anche a
lottare contro la corruzione politica nel governo.
È stato grazie ad alcune vittime
coraggiose, ad alcuni giornalisti coraggiosi e, penso di doverlo dire, a un
papa coraggioso come Benedetto XVI, se lo scandalo Maciel fu portato alla luce
e il cancro rimosso.
È importantissimo imparare la lezione e non
ricommettere lo stesso errore. La trasparenza vi aiuterà a essere coerenti con
il messaggio del Vangelo e a mettere in pratica il principio secondo cui nella
Chiesa non ci sono intoccabili: credo sia questa la lezione più importante,
tutti siamo responsabili dinanzi a Dio ovviamente, però allo stesso tempo siamo
responsabili dinanzi agli altri.
Evitate
la segretezza, abbracciate la trasparenza
Pertanto, credo che dovremmo evitare la
segretezza, intesa come una tendenza eccessiva al segreto, perché questa
segretezza purtroppo è strettamente legata all’abuso di potere. Oggi le nostre
società hanno adottato come regola generale la trasparenza, e il pubblico
ritiene che l’unico motivo per non essere trasparenti è il desiderio di
occultare qualcosa di negativo o di corrotto. Quella segretezza è come la rete
di sicurezza di chi abusa del potere.
La mia sensazione, durante il corso di
tutti questi anni, è che all’interno della Chiesa ci sia ancora molta
resistenza a riconoscere che il problema degli abusi esiste e che occorre
affrontarlo con tutti gli strumenti possibili. Alcuni credono che succeda solo
in certi paesi, io credo e credo che, alla fine di questo incontro qui in
Vaticano, è già ovvio, si può parlare di una situazione generalizzata, dove più
dove meno, che in ogni modo occorre affrontare e risolvere.
Chi occulta qualcosa non è forzatamente
corrotto, ma tutti i corrotti occultano qualcosa. Non tutti coloro che serbano
un segreto compiono un abuso di potere, ma tutti gli abusi di potere sono
solitamente occultati.
Sappiamo che la trasparenza ha i suoi
limiti, voi lo avete ripetuto; in questi giorni si è parlato molto di questo.
Perciò, non pretendiamo che c’informiate di
qualsiasi accusa a un sacerdote. Comprendiamo che può e ci deve essere
un’inchiesta previa, ma fatela celermente, adeguatevi alla legge del paese in
cui vivete, e se è previsto, presentate il caso alla giustizia civile.
Se l’accusa si dimostra credibile, dovete
informare sui processi in corso, su ciò che state facendo, dovete dire che
avete allontanato il colpevole dalla sua parrocchia o da dove esercitava,
dovete dirlo voi, sia nelle diocesi sia in Vaticano. A volte, il bollettino
della sala stampa della Santa Sede informa su una rinuncia senza spiegarne le
ragioni. Ci sono sacerdoti che sono andati subito a informare i fedeli che
erano malati e che non se ne andavano perché avevano commesso abusi o li
avevano coperti. Credo che la notizia della rinuncia di un sacerdote che ha
commesso abusi dovrebbe essere data con chiarezza, in modo esplicito.
In Camera Caritatis, sappiamo che esiste la
Camera Caritatis, il silenzio sui temi trattati è ammesso solo se non
pregiudica nessuno, ma mai quando può fare del male a nessuno.
Tre
consigli pratici per vivere la trasparenza
Vi ho già detto che penso che la
comunicazione sia indispensabile per risolvere questo problema. Permettetemi
ora di suggerirvi tre modi per mettere in pratica la trasparenza al momento di
comunicare sugli abusi sessuali a minori.
1)
Mettete le vittime in primo piano
Se la Chiesa vuole imparare a comunicare
sugli abusi, il suo primo punto di riferimento deve essere la vittima.
Papa Francesco ha chiesto ai partecipanti a
questa riunione di incontrare le vittime, di ascoltarle e di mettersi a loro
disposizione, prima di venire a Roma.
Non vi chiederò di alzare la mano per
vedere chi lo ha fatto, ma datevi una risposta in silenzio.
Le vittime non sono numeri, non sono
statistica, sono persone a cui è stata rovinata la vita, la sessualità,
l’affettività, la fiducia negli altri esseri umani, forse persino in Dio,
persone in cui è stata distrutta anche la capacità di amare.
E perché è tanto importante l’incontro con
le vittime? Perché è molto difficile informare qualcosa di cui non si conosce,
di cui non ha una conoscenza diretta.
Nel caso degli abusi è ancora più evidente.
Non si può parlare di questo tema se non si è ascoltato le vittime, se non si è
condiviso il loro dolore, se non si è toccato con mano le ferite che gli abusi
hanno provocato non solo nel loro corpo, ma anche nella loro mente, nel loro
cuore, nella loro fede. Questo lo abbiamo visto. Se le conoscerete, queste
persone, queste vittime, avranno un nome, avranno un volto, e l’esperienza
avuta con loro si rifletterà non solo sul modo in cui affronterete il problema,
ma anche sul modo in cui lo comunicherete e cercherete di risolverlo.
Nelle conferenze stampa di questi giorni,
tutti coloro che sono stati con noi ci hanno evidenziato come le testimonianze
che avete ascoltato in questa aula vi hanno toccato, come in qualche modo
quelle testimonianze hanno cambiato anche voi. Credo che questo sia essenziale
e crei empatia, questa sensibilità che è estremamente necessaria per affrontare
la questione e soprattutto per risolverlo.
Il Papa ci ha detto che incontra
regolarmente, a Santa Marta, le vittime, e che considera questa una delle sue
priorità; credo che sia un bene che anche voi lo facciate, non credo che
abbiate meno tempo di Papa Francesco.
Ricordate, la trasparenza è mostrare quello
che fate. Solo se metterete le vittime al primo posto, sarete credibile quando
direte che siete decisi a sradicare la piaga degli abusi.
2)
Lasciatevi consigliare
Prima di prendere decisioni, chiedete
consiglio a persone con giudizio che vi possono aiutare.
Tra questi consiglieri credo che ci
dovrebbero sempre essere dei comunicatori. Credo che la Chiesa dovrebbe avere,
a tutti i livelli, esperti della comunicazione, e ascoltarli quando le dicono
che conviene sempre più informare che tacere o addirittura mentire. È
un’illusione, come ho già detto, pensare che oggi si possa nascondere uno
scandalo. È come coprire il cielo con un dito. Non si può, non è più né
accettabile né ammissibile. Perciò, tutti voi dovete capire che il silenzio
costa molto più caro dell’affrontare la realtà e renderla pubblica.
Credo che sia indispensabile che investiate
nella comunicazione in tutte le vostre strutture ecclesiastiche, con persone
altamente qualificate e preparate a far fronte alle esigenze di trasparenza del
mondo attuale.
La figura del portavoce è fondamentale. Non
deve essere solo una persona molto preparata, ma deve anche poter contare sulla
piena fiducia del capo – diciamo così – del cardinale, ed avere un accesso
diretto a lui 24 ore su 24, perché questo non è un lavoro dalle 9 della mattina
alle 5 del pomeriggio. Tutto può succedere in qualsiasi momento.
E il portavoce deve sempre avere accesso
diretto alla persona a cui deve riferire.
Noi giornalisti preferiamo parlare
direttamente con il capo. Ma accettiamo di parlare con un portavoce, quando
sappiamo che ha accesso al capo e trasmette ciò che pensa con cognizione di
causa. Dico questo perché nel corso di 45 anni ho avuto in Santa Sede molti
modi di comunicare, molti modi di avere quel rapporto, con gli stessi
pontefici, e abbiamo visto quanto sia importante quella comunicazione diretta.
3)
Professionalizzate la comunicazione
Dovete comunicare meglio.
Che tipo di trasparenza si aspettano i
giornalisti, le mamme, le famiglie, i fedeli, l’opinione pubblica, da
un’istituzione come la Chiesa?
Credo che sia fondamentale che, a tutti i
livelli, dalla parrocchia fino a qui, in Vaticano, ci siano strutture forse
standardizzate, ma molto agili e flessibili, che offrano con rapidità,
informazioni accurate.
Possono essere informazioni incomplete per
mancanza di un’indagine più approfondita, ma la risposta non può essere il
silenzio o il no comment, allora, cercheremo le risposte chiedendo ad altri, e
saranno quindi terzi a informare la gente nel modo in cui vorranno farlo.
Se non disponete di tutta l’informazione
necessaria, se ci sono dubbi, se c’è già un’inchiesta, è meglio spiegarlo nel
miglior modo possibile affinché non si abbia la sensazione che non volete
rispondere perché state nascondendo qualcosa. Occorre dare seguito
all’informazione in ogni momento e soprattutto occorre reagire con
rapidità.
Insisto su questo punto, perché se non si
informerà in modo tempestivo, la risposta non interesserà più, sarà troppo
tardi e altri lo faranno, magari in modo non corretto. Allora è meglio
che tu lo faccia correttamente e il più velocemente possibile.
Il rischio è molto alto e il prezzo di
questo tipo di condotta è ancora più alto. Il silenzio dà la sensazione che le
accuse, siano totalmente false nel migliore dei casi vero, o nel
migliore dei casi mezzo vero e mezzo falso; se si risponde con il silenzio
tutto rimarrà con l'idea che queste accuse sono vere. E se non rispondono,
pensiamo che abbiano paura di rispondere perché hanno paura di essere smentiti
subito dopo.
Ho visto con i miei occhi, come ho già
detto, come la cattiva informazione, o la scarsa informazione, ha causato danni
enormi, ha fatto del male alle vittime e alle loro famiglie, non ha permesso
che si facesse giustizia, ha fatto vacillare la fede di molta gente. Credo che
Papa Francisco abbia vissuto in prima persona questa esperienza con il caso del
Cile e si è visto obbligato a scusarsi. Ecco perché la mancanza di informazioni
lo ha portato a prendere alcune decisioni in quel momento; poi ha capito che
non erano vere. Quindi, la responsabilità di coloro che devono far fluire le
informazioni è enorme.
Vi assicuro che investire nella
comunicazione è un affare molto redditizio, e non è un investimento a breve
termine, è un investimento a lungo termine.
Conclusione
Vorrei concludere questo intervento
menzionando un tema diverso da quello degli abusi sui minori, ma importante per
una donna giornalista come me.
Credo che tutti ci siamo resi conto del
fatto che siamo sulla soglia di un altro scandalo, quello delle suore e
religiose vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti e vescovi. Lo ha
denunciato la rivista femminile di «L’Osservatore Romano», e papa Francesco, durante
il volo di ritorno da Abu Dhabi, ha riconosciuto che si
sta lavorando da tempo su questo tema, che è vero che bisogna fare di più e che
c’è la volontà di fare di più.
Vorrei che in questa occasione la Chiesa
giocasse all’attacco e non in difesa, com’è avvenuto nel caso degli abusi sui
minori. Potrebbe essere una grande opportunità perché la Chiesa prenda
l’iniziativa e sia in prima linea nella denuncia di questi abusi, che non sono
solo sessuali, ma prima di tutto di potere.
Mi congedo ringraziando papa Francesco per
aver reso grazie, di fronte alla Curia, lo scorso mese di dicembre, per il
lavoro ai giornalisti, che sono stati onesti e obiettivi nello scoprire
sacerdoti depredatori e hanno fatto udire le voci delle vittime.
Spero che dopo questo incontro, torniate a
casa e non ci evitiate, anzi che ci cerchiate. Che possiate tornare alle vostre
diocesi pensando che non siamo noi i lupi feroci, ma, al contrario, che
possiamo unire le nostre forze contro i veri lupi.
Grazie mille.
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