-
C’è gente che si accusa di un delitto che non ha commesso, per costrizione, per
amor materno, per cavalleria, per allucinazione, per un falso senso del dovere,
per un pervertito egoismo, per pura vanità, o per cento altri motivi. La
confessione è una delle prove più incerte e traditrici; tanto è vero che la
legge stessa la ripudia, a meno che essa non sia corroborata da altre prove
evidenti.
-
Sei molto eloquente! – esclamò Markham. – Ma se la legge non prendesse in
considerazione tutte le confessioni, e ignorasse tutti gli indizi positivi,
come tu consigli, tanto varrebbe chiudere tutti i tribunali e demolire tutte le
prigioni.
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C’è un mezzo infallibile per determinare la colpa e la responsabilità umana, ma
finora la polizia ne è completamente ignara. La verità può solamente scaturire
dall’analisi degli elementi psicologici del delitto. I soli, veri indizi sono
psicologici, non materiali. Il vero conoscitore di pittura, per esempio,
nell’attribuire un’opera, non giudica in base a un esame fisico della tela o a
un’analisi chimica dei colori, ma studiando la personalità creativa rivelata
nella concezione e nell’esecuzione del quadro. Egli chiede a se stesso: questo
dipinto presenta le qualità formali, la tecnica, l’attitudine mentale che
caratterizzavano il genio, cioè la personalità del Veronese, di Tiziano, del
Tintoretto?
-
Temo che la mia mente – confessò Markham – sia ancora così grossolana da subire
l’influenza dei fatti concreti. Sfortunatamente per te e per la tua
originalissima teoria di analogia artistica, ti dirò che nel caso nostro sono a
conoscenza di una serie di elementi positivi i quali tutti concorrono ad
indicare che una giovane donna è l’autrice dell’”opus criminale” che ha per
titolo “L’assassinio di Alvin Benson”.
Vance
si strinse nelle spalle.
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Vorresti dirmi, in confidenza, quali sono i fatti?
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Con piacere. “In primis”, la ragazza era nella casa di Benson nel momento in
cui è stato sparato il colpo.
Vance
espresse la sua incredulità.
-
La sua presenza è certa – continuò Markham. – Come sai, i suoi guanti e la sua
borsetta sono stati trovati sulla mensola del caminetto del salotto.
-
Toh! – fece Vance. – Non la ragazza, dunque, ma i suoi guanti e la sua borsetta
erano presenti; distinzione senza dubbio trascurabile per la mentalità poliziesca.
Sarebbe come dire: i miei pantaloni sono in tintoria e perciò sono in tintoria
anch’io.
-
Non ti dicono nulla quegli oggetti appartenenti a una donna che li aveva
portati tutta la serata e che sono stati trovati l’indomani in casa della
vittima? Non può averli lasciati durante il pomeriggio, per il semplice fatto
che lei non sarebbe potuta entrare durante l’assenza di Benson senza che la
cameriera lo sapesse. Dimmi, dunque, come quegli oggetti potevano trovarsi lì
la mattina dopo, se non ce li avesse portati e dimenticati nella serata, la tua
innocente.
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Non ne ho la minima idea. Meglio di me potrebbe illuminarti lei stessa. Ma vi
sono infinite e possibili spiegazioni. Benson può averli portati lui stesso a
casa sua nella tasca del soprabito; le donne fanno sempre portare dagli uomini
le loro cose, e sono pronte a chiedere: “Mi metti questo nella tua tasca?...”.
Si affaccia quindi la possibilità che il vero assassino se ne sia impossessato
in qualche modo, e li abbia messi sul caminetto apposta per sviare la polizia.
Le donne, sai bene, non mettono mai le loro cose dove vanno messe, sul
caminetto o sull’attaccapanni; generalmente te le buttano sulla tua poltrona
preferita o sul tavolo.
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Allora supponiamo che Benson si sia portato in tasca anche i mozziconi di
sigaretta della ragazza.
-
Sono avvenute cose molto più strane – replicò Vance sempre calmo. – Ma io non
voglio lanciare accuse per ora…I mozziconi di sigaretta potevano essere già lì
da prima.
-
Heath, che tu prendi in giro, è stato accorto da chiedere alla cameriera se
puliva il caminetto tutte le mattine; gli fu risposto di sì.
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Andate proprio a fondo delle cose, voialtri!...- disse Vance con ironica
ammirazione. – Ma non sarà l’unica prova che hai contro la signorina.
-
Non di certo – assicurò Markham. – Ma per quanto tu ritenga il contrario, è già
un indizio importante. L’agente da me incaricato ha saputo anzitutto che Benson
aveva cenato con la ragazza al “Marseilles”, un piccolo ristorante nella
Quarantesima Strada. Ha saputo anche che hanno bisticciato, che sono usciti dal
ristorante a mezzanotte e che sono saliti insieme su un tassì. Bisogna tener
presente che l’assassinio è stato compiuto alle zero e trenta; e siccome la
signora abita in Riverside Drive, appare chiaro che Benson non ha potuto
accompagnarla a casa, come avrebbe fatto certamente se non l’avesse condotta
nella propria abitazione; poiché in tal caso non avrebbe fatto in tempo a
essere di ritorno per l’ora in cui è stato sentito il colpo. Ma abbiamo altre
prove di lei nella casa di Benson. Il mio incaricato è riuscito a sapere
nell’”hotel meublé”dove lei abita, che è rincasata dopo l’una, senza guanti e
senza borsetta, e che era dovuta entrare in casa servendosi di un passe partout
perché aveva smarrito la propria chiave. Ricorderai che abbiamo trovato la
chiave nella borsetta. Ricorderai anche che i mozziconi di sigaretta trovati
nel caminetto corrispondono alla sigaretta intatta nel suo portasigarette.
Markham
tacque per riaccendere il sigaro. Poi riprese:
-
Quanto ho detto riguarda la famosa serata. Ma stamattina, appena identificata
la donna, ho incaricato altri due agenti di scoprire qualcosa sulla sua vita
privata. Hanno già saputo che è fidanzata con un giovane di nome Leacock,
capitano dell’esercito, che probabilmente potrebbe avere un’arma del modello di
quella usata per uccidere Benson. E’ risultato inoltre che questo Leacock, nel
giorno del delitto, aveva pranzato con la signorina e che era passato da lei la
mattina seguente. Come vedi, abbiamo già un movente, l’occasione e l’arma. Tu,
probabilmente, mio ottimo Vance, mi dirai che manca la prova assoluta.
-
Dico che non sei arrivato a nulla di straordinario; anche un ragazzo potrebbe
trovare una spiegazione innocua per tutto quello che hai saputo mettere insieme.
Il guaio è, però, che con simili indizi vien tolta la libertà e magari la vita
alla gente!
Markham
era seccato.
-
Vorrai compiacerti di indicarmi, dall’alto della tua sapienza, dove stanno i
miei errori?
-
Per quanto posso capire – rispose Vance – i particolari raccolti contro la
ragazza mancano anzitutto di logica. Hai semplicemente considerato vari fatti
grezzi e sei giunto a una falsa conclusione. Tutte le indicazioni psicologiche
del delitto lo dimostrano, mentre gli indizi reali segnano tutt’altra
direzione. Qualsiasi donna tu arresti per aver ucciso Alvin Benson, commetterai
un altro delitto; e tra l’uccidere uno scellerato come Benson e rovinare la
reputazione e la vita di una donna, considero questa ultima azione come la più
condannabile.
Markham
parve punto sul vivo, ma non si offese. I due erano amici e si capivano e
rispettavano le loro opposte indoli. La loro franchezza, talvolta mordace, era
il frutto di quella reciproca stima.
-
Mi hai colmato di sfiducia, Vance – disse in tono semiserio il magistrato dopo
una leggera pausa. – Devo dichiararti però che non avevo ancora preso la
decisione di arrestare la ragazza, per ora.
-
Riveli una prudenza lodevole, caro Markham; ma sono certo che hai in mente di
interrogarla per farla cadere in qualcuno di quei tranelli così cari al cuore
dei giudici istruttori; cucinartela, insomma, come si dice da quando bruciavano
la gente, non è vero?
-
La interrogherò di sicuro - rispose
Markham risolutamente, guardando l’orologio. – Fra mezz’ora i miei uomini la
condurranno nel mio ufficio; devo interrompere questa piacevole chiacchierata.
-
Credi davvero di cavarne qualcosa interrogandola? – chiese Vance. – Quanto
desidererei esser presente per assistere alla tua umiliazione.
-
Caro Vance, non ho nulla in contrario a che sia presente anche tu, se ci tieni
tanto.
Secondo
me, lui pensava che l’umiliazione dovesse, in definitiva, esser riserbata a
Vance.
Poco
dopo eravamo su un tassì diretti al Palazzo di Giustizia.
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