Il
decreto dignità di Di Maio funziona (per il momento): boom di contratti a tempo
indeterminato
di Giuliano
Balestreri
L’economia crolla a picco insieme ai dati
su ordinativi e fatturato dell’Industria, ma il governo può issare la sua
bandiera sui dati del lavoro: a novembre e dicembre – da quando cioè il decreto
dignità è in pieno vigore – sono crollate le assunzioni e termine e in
somministrazione, mentre sono letteralmente esplose le conversioni verso i
contratti a tempo indeterminato. E’ quanto emerge dall’Osservatorio sul
precariato dell’Inps per l’intero 2018.
“Il tempo ci dirà se si tratta di una
tantum o di un trend, ma per il momento questo era l’obiettivo del governo”
dice Francesco Seghezzi, direttore della Fondazione Adapt (associazione per gli
studi sul diritto del lavoro fondata da Marco Biagi) che poi aggiunge: “La
situazione economica lascia presagire che la domanda di lavoro si contrarrà nei
prossimi mesi, ma molto dipenderà da come reagiranno le imprese. Di certo il
decreto dignità ha stretto molto sulla flessibilità per i tempi determinati”.
Un buon compromesso, secondo Seghezzi, sarebbe quello di togliere la causale
per i contratti a termine oltre i 12 mesi mantenendo il limite a 24: “Un tempo
ragionevole per capire se il lavoratore è l’azienda possono continuare il loro
rapporto”.
Nel frattempo, però, il ministro del Lavoro
può rivendicare i primi risultati positivi. Nel 2018,
le trasformazioni a tempo
indeterminato di rapporti a termine sono state 527mila contro le 299mila del
2017: sono cresciute tutto l’anno scorso, ma negli ultimi due mesi sono
aumentate del 119% contro un +67% dei primi 10 mesi del 2018. Situazione ancora
più accentuata per i lavori somministrati: nel 2017 le conversioni erano state
1.365, lo scorso anno sono arrivate a 9.291 di cui il 50% negli ultimi due mesi
del 2018.
Insomma se l’obiettivo del decreto dignità
era quello di spingere le aziende verso l’agognato contratto unico, la strada –
per il momento – pare quella giusta. Seghezzi, tuttavia, mette in guardia da
facili entusiasmi: “Il grosso dei numeri è dato da lavoratori che erano già in
azienda, quindi le imprese hanno probabilmente valutato che fosse più
conveniente investire nella loro conferma, piuttosto che nella formazione ex
novo di nuovi dipendenti. Dobbiamo aspettare per capire come si muoveranno nei
prossimi mesi”. Nel complesso, lo scorso anno sono stati creati 431mila nuovi
posti di lavoro di cui 200mila a tempo indeterminato: nel 2017 erano stati
465mila, ma gli indeterminati erano calati di 148mila unità.
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