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di Alessandro Calvi
È un peccato che in così tanti si siano
concentrati sulle cose economiche e si siano un po’ distratti – per così dire –
con la propaganda sullo spread, perché invece nell’accordo di governo tra Lega
e M5S ci sono molte cose notevoli: cose notevolmente di destra, e cose persino
reazionarie. C’è, in generale, un’idea di Italia schiettamente autoritaria. C’è
una idea di giustizia la cui ispirazione vira verso la repressione. C’è una
idea di società tutta legge e ordine che però guarda soprattutto alla forma delle
cose, lasciando sullo sfondo le persone. C’è una idea di cultura come fenomeno
sostanzialmente economico, tanto che si confonde col turismo. Ma la cosa più
notevole di tutte è certamente la sterilizzazione – quasi una abolizione di
fatto – della democrazia parlamentare. Dunque, si può partire da qui.
A ciò, infatti, si arriverebbe con
l’introduzione del vincolo di mandato, oggi significativamente proibito
direttamente dalla Costituzione, nell’articolo 67.
Nel documento a firma Lega-M5S se ne può leggere al punto 20, sotto il titolo: «Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta». È qui che si prevede l’introduzione di «forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo.». Per la verità, in una precedente bozza del contratto veniva utilizzata una formula molto più perentoria: «È necessario introdurre espressamente il “vincolo di mandato popolare” per i parlamentari». Per qualche ragione, alla fine ha prevalso una enunciazione politicamente più sfumata. E ciò fa sperare un un momento di ragionevolezza dell’ultim’ora. Tuttavia, tecnicamente il senso è lo stesso.
Nel documento a firma Lega-M5S se ne può leggere al punto 20, sotto il titolo: «Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta». È qui che si prevede l’introduzione di «forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo.». Per la verità, in una precedente bozza del contratto veniva utilizzata una formula molto più perentoria: «È necessario introdurre espressamente il “vincolo di mandato popolare” per i parlamentari». Per qualche ragione, alla fine ha prevalso una enunciazione politicamente più sfumata. E ciò fa sperare un un momento di ragionevolezza dell’ultim’ora. Tuttavia, tecnicamente il senso è lo stesso.
Introducendo il vincolo di mandato, si
obbligherebbero i parlamentari a votare, in sostanza e in ultima analisi,
sempre e soltanto secondo le indicazioni del proprio capo politico, pena
sanzioni che potrebbero arrivare sino alla decadenza dalla carica. Considerando
ciò che è accaduto in parlamento negli ultimi decenni – a partire dai
tantissimi cambi di casacca in corsa – potrebbe sembrare una norma del tutto
ragionevole. Eppure, è evidente che ciò significherebbe la riduzione del
parlamento a un organismo di mera ratifica della volontà delle segreterie di
partito o poco più. Tanto varrebbe abolirlo del tutto, poiché nei fatti già sarebbe
così.
Se poi si aggiunge che il capo del partito
di maggioranza è spesso anche il presidente del consiglio, è facile immaginare
come l’introduzione del vincolo di mandato per i parlamentari avrebbe un
impatto devastante anche nel rapporto tra parlamento e governo. Basti pensare
al fatto che, da un sistema nel quale il governo sta in carica sulla base della
fiducia del parlamento, ci si ritroverebbe in una situazione di fatto nella
quale i parlamentari di maggioranza sarebbero costretti – sotto la minaccia di
sanzioni – a rispondere agli ordini del presidente del consiglio, con un
evidente ribaltamento delle regole che reggono le democrazie parlamentari che
vogliono, appunto, che sia il governo – potere, non a caso, esecutivo – ad
avere bisogno della fiducia delle camere elette dal popolo e non il contrario,
poiché – e si dovrebbe ricordare sempre – il popolo elegge il parlamento, non
il governo.
Insomma, il prezzo da pagare per evitare i
voltagabbana sarebbe altissimo: sarebbe, appunto, la democrazia parlamentare.
Si sarebbero potute trovare soluzioni migliori.
Si potrebbe a questo punto ricordare come
anche Silvio Berlusconi anni fa si era espresso per una riforma in questo
senso, sebbene all’epoca non si era arrivati a tanto: l’idea era quella di prevedere,
in determinate circostanze, la possibilità che il voto del capogruppo potesse
sostituire il voto dell’intero gruppo parlamentare. Era una mezza furbata per
arrivare allo stesso risultato del vincolo di mandato. Non se ne fece nulla.
Ora, a quanto pare, ci penseranno Salvini e Di Maio.
Ma, come si diceva, nel contratto Lega-M5S
c’è molto altro. C’è ad esempio una idea di giustizia che sembra avere nella
repressione la propria stella polare. E così, «per far sì che chi sbaglia torni
a pagare», vengono annunciati innalzamenti di pena, la revisione delle misure
che tendono alla rieducazione dei condannati poiché il lavoro in carcere sarà
la «forma principale di rieducazione», e si annuncia persino la revisione,
anche qui in senso restrittivo, delle «norme che riguardano l’imputabilità, la
determinazione e l’esecuzione della pena per il minorenne». Nello stesso tempo,
si intende procedere alla riforma della legittima difesa in «difesa sempre
legittima» e alla introduzione della figura dell’agente provocatore. Si prevede
naturalmente anche la costruzione di nuove carceri per far fronte al
prevedibile aumento della popolazione carceraria.
Tra le righe, si annuncia anche
l’intenzione di smantellare la riforma delle circoscrizioni giudiziarie del
2012, attesa da anni e che non si riusciva a realizzare anche perché per farlo
si doveva intervenire su un assetto di potere consolidato. A quanto pare fu uno
sforzo inutile: si rischia di tornare indietro anche su questo.
Di economia e lavoro s’è già scritto
abbondantemente in queste settimane. A leggere la bozza di accordo forse c’è
però ancora qualcosa da dire sull’idea di società che hanno Lega e M5S. Si
annuncia, ad esempio, che si procederà agli sgomberi degli immobili occupati
abusivamente «attraverso l’azione ferma e tempestiva qualora non sussistano le
condizioni di necessità certificate» e si precisa che, però, «le sole
condizioni di difficoltà economiche non possono mai giustificare l’occupazione
abusiva»; il che suona quasi come un avvertimento ai poveri. Legge e ordine,
insomma, ma nella sua versione più vuota e formale.
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