Come
funziona il mercato dei titoli di Stato, cos’è il «differenziale» tra Btp
italiano e Bund tedesco e i conti in tasca ai 2.300 miliardi che zavorrano i
nostri conti pubblici
di Giuditta
Marvelli e Gino Pagliuca
Perché
sale lo spread e l’effetto che fa
Lo spread misura la distanza tra il
rendimento dei nostri titoli di Stato e quelli della Germania. Ma come
funziona? E perché sale? I titoli di Stato vengono comprati e venduti sul
mercato secondario dove si formano i prezzi dei Btp già collocati in asta. Più
le quotazioni scendono - perché come accade in queste ore molti stanno vendendo
i titoli italiani per paura di quello che potrebbe accadere - più lo
spread sale. I Btp verranno comunque rimborsati a 100 pagando lungo la strada
cedole (fisse o variabili) e quindi la svalutazione del prezzo fa alzare la
posta del rendimento. Questo significa che chi ce li ha in portafoglio e non li
vende fino a scadenza non patisce perdite reali. Ma lo Stato, che deve
rifinanziare periodicamente il debito pubblico, in occasione delle successive
emissioni dovrà pagare di più, alzando l’onere a carico del Tesoro per il
servizio del debito. E’ esattamente quello che è successo per esempio oggi ai
Ctz: in un mese questi titoli biennali sono passati da un rendimento negativo a
0,35%, guadagnando più di mezzo punto che si è tradotto in minori entrate per
il Tesoro in sede di collocamento. E’ vero che i tassi in Europa stanno
lentamente salendo, ma in Italia corrono di più (almeno in questi giorni)
sull’onda dell’incertezza politica.
A
che cosa serve il debito pubblico?
Il debito pubblico, il grande imputato di
questi giorni, vale il 130% del nostro Pil e ammonta a 2.300 miliardi. Come si
forma? Lo Stato per molti anni ha speso più di quanto coprivano le sue spese
correnti per il welfare, gli stipendi, la pa e così via e quindi ha dovuto e
deve coprire il deficit. Per fare un esempio tutto il gettito Irpef di ogni
anno serve per pagare pensioni sociali e altre formule di assistenza pubblica
non coperte da contributi. Tutti gli Stati hanno debiti, come molte le imprese
o privati cittadini. Il problema è sempre la quantità in rapporto alla
ricchezza. Il debito tricolore è esploso alla fine degli anni Settanta: nel
1974 il rapporto tra debito e Pil era al 54,5%, in venti anni lievita al 124% e
la storia dice che è stato impossibile invertire il trend. Oggi per rinnovare i
titoli in scadenza e pagare le cedole di quelli in corso servono ogni anno
circa 400 miliardi. Nel 2017 il costo medio del servizio del debito è stato
pari all0 0,63%, mentre nel 2017 si è toccato il minimo storico dello 0,52%.
Per quest’anno siamo già sopra l’1% e, molto probabilmente, salirà ancora.
Spread
e mutui, la lezione del 2012
Tornare indietro di qualche anno può
servire a comprendere perché lo spread sui titoli di Stato e il tasso dei mutui
sono correlati. Torniamo all’epoca della crisi che portò alla nascita del
Governo Monti. Tra il secondo semestre 2011 e la prima metà del 2012
l’Euribor a tre mesi, il parametro benchmark dei finanziamenti variabili, è
sceso dall’1,6 allo 0,66%; l’Eurirs a 20 anni, parametro di riferimento per i
fissi, è passato dal 3,66 al 2,14%. Ebbene i migliori tassi variabili a metà
2012 erano offerti dalle banche al 4%, i fissi più convenienti sfioravano il 6%.
Le banche cioè, per scremare la clientela e per cercare di riguadagnare parte
di quello che stavano perdendo con le svalutazioni su titoli di Stato
applicavano ai pochi clienti cui davano il mutuo uno spread minimo del 3%. Oggi
lo spread tassi variabili Euribor in media si aggira sull’1,2%, quello tra
Eurirs e fissi è dello 0,5%. Uno scenario attendibile, se le tensioni sui
nostri titoli del debito perdurassero, è che si giunga a un incremento dei
tassi sui nuovi mutui indipendente dall’andamento dei parametri di riferimento
e tutto dovuto agli spread applicati dalle banche. Le conseguenze
sarebbero dolorose per tutta l’economia del Paese, perché oggi circa sette
compravendite di case su 10 sono assistite da mutuo e al credit crunch sui
finanziamenti farebbe seguito, come successo dopo il 2012, il calo dei rogiti.
Chi non rischia nulla in questa situazione è solo chi ha già in corso un mutuo
a tasso fisso, mentre il prospettiva potrebbe avere problemi, legato al rialzo
a questo punto possibile dell’Euribor, chi sta pagando a tasso variabile.
Gli
altri prestiti, come possono salire le rate del telefonino
La stretta sul credito più che
l’innalzamento dei tassi, potrebbe creare forti problemi anche nel settore del
credito al consumo. Perché diciamo questo? Suun finanziamento molto breve
e per somme di modesta entità anche tre o quattro punti di aumento in realtà
impatta poco: ipotizziamo un prestito al tasso reale del 13% per l’acquisto di
uno smartphone da 900 euro in 24 rate: il costo mensile effettivo
dell’operazione è di 42,79 euro; se si salisse al 17% la rata diventerebbe di
44,50 euro, con un incremento pressoché irrilevante di 171 centesimi al
mese. Ma se banche e finanziarie cominciano a stringere i cordoni del
credito al consumo interi settori dell’economia potrebbero pagare un prezzo
molto alto, soprattutto se si considera che le crisi finanziarie, una lezione
che abbiamo imparato con il precedente exploit dello spread, portano anche chi
in realtà non avrebbe problemi ad aumentare la propria capacità di risparmio
contraendo le spese per consumi, con forti conseguenze sul Pil e il rischio di
entrare in un circolo vizioso da cui è impossibile scappare: se non migliora il
rapporto tra debito e Pil il servizio del debito costa sempre di più
costringendo a una politica di tagli e di nuove tasse ulteriormente recessiva.
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