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La
vicenda di Imma, la colf del presidente della Camera, rivela il legalismo
impossibile dei Cinque Stelle, i problemi di un capo politico editore Tv come
Berlusconi, e i pretesti un po’ farlocchi a cui si attacca un Pd in crisi di
proposte e di idee
di Francesco
Cancellato
Aspettando Godot e un governo che forse non
arriverà mai - siamo a due mesi dal 4 marzo e ancora al punto di partenza -
forse vale la pena soffermarsi qualche minuto sulla storia minima della
colf del Presidente della Camera Roberto Fico. In estrema sintesi: questa
donna, secondo una delazione anonima, lavorerebbe
in nero nella casa in cui vive la compagna di Fico, a Napoli. Lei,
raggiunta dalle telecamere, dice di avere un contratto regolare, laddove la versione del Presidente della Camera è che questa tale Imma e la
sua compagna Yvonne «sono persone che
hanno un’amicizia insieme molto forte e molto bella». È evidente che
uno dei due menta, forse entrambi. Ma non è questo il punto. Il punto è che questa storia minima scoperchia, in un
colpo solo, tutte le ipocrisie della politica italiana. E sì,
forse vale la pena enumerarle, una per una.
La
prima ipocrisia riguarda il Movimento Cinque Stelle, ma
più in generale l’idea che mandando dei comuni
cittadini, com’era Roberto Fico fino a qualche anno fa, a rappresentarci, ci libereremmo in un colpo solo di tutti i
vizi e gli stravizi della Casta. No, cari. Mandando i cittadini in
Parlamento non facciamo altro che
mettere in mostra i nostri, di vizi. Ad esempio, la nostra gigantesca
economia informale fatta di colf in nero, baby sitter in nero, badanti in nero,
parrucchiere in nero. Che finché toccano a noi sono l’unica via per
sopravvivere a uno Stato sanguisuga che tassa il lavoro come pochi altri al
mondo e che richiede alle famiglie adempimenti burocratici che nemmeno una
società per azioni. Ma se toccano il politico, diventano pietra dello scandalo.
No, cari: non funziona così. I politici servono a prendere atto dei problemi e
a cercare di risolverli, non come capri espiatori che ci assolvono da ogni
peccato. Prima lo impariamo, meglio è. E se cominciasse a impararlo il
Movimento Cinque Stelle, che su questa clamorosa ipocrisia ha costruito il suo
successo elettorale, sarebbe un’ottima cosa.
La
seconda ipocrisia riguarda Silvio Berlusconi e Mediaset,
editori del programma televisivo Le Iene, che ha scoperchiato il caso. Non vi
fossero bastati venticinque anni così, ecco l’ennesima prova di cosa vuol dire
avere un tycoon televisivo come leader politico. Il Movimento Cinque Stelle non
vuole sedersi al tavolo con Berlusconi per trattare un’alleanza di governo?
Ecco la cara vecchia macchina del fango
che arriva a scatenare la coscienza collettiva del telespettatore medio contro
la faccia istituzionale del Movimento, caso vuole, proprio nei giorni in cui è
impegnato nelle consultazioni per provare a costruire un governo tra Pd e
Cinque Stelle. Giusto qualche giorno prima, non dimentichiamolo, Mediaset ha
pure tagliato dai palinsesti le trasmissioni di Maurizio Belpietro, Paolo Del
Debbio e Mario Giordano, i cosiddetti tre alfieri del populismo televisivo che
avevano imperversato contro i governi Renzi e Gentiloni nei quattro anni
precedenti. A quanto pare, il risultato
elettorale, che ha premiato oltre
misura Salvini e Di Maio anziché Berlusconi, ha convinto le reti del Biscione
a cambiare i propri palinsesti. Se vi sembra tutto normale, contenti voi.
La
terza ipocrisia, infine, riguarda il Partito Democratico.
Che qui si spera sempre possa essere il baluardo di ragionevolezza in grado di
scoperchiare le due ipocrisie di cui sopra. Ma che di fronte a casi di questo
tipo assume l’insopportabile
atteggiamento di chi ne sta fuori, ma sotto sotto gode. Come per lo “scandalo” dei mancati rimborsi elettorali,
a echeggiare è la risatina sommessa, unita a commenti del tipo «Fanno la
morale, ma sono uguali a tutti gli altri», scomodando Nenni e i più puri che
epurano, sperando di specularci
qualcosa, nel gradimento dell’opinione pubblica. No, non succederà, così
come non è mai successo. Al contrario, si
legittimerà, una volta di più, sia la retorica anti-casta, sia la gogna
mediatica, berlusconiana o meno. E si perderà un’ottima occasione per dire
due cose semplici. Che il problema italiano dell’economia sommersa e irregolare
non nasce con Fico e non si risolve mettendo alla gogna il capro espiatorio di
turno. Che la gogna televisiva è aberrante, senza se e senza ma,
indipendentemente da chi viene messo alla gogna. Che non bisogna dimenticare
mai chi è il proprietario della gogna. E che non si fa politica con gli
scandaletti altrui, tanto più se strumentali e chirurgici. Problemucci un po’ più cogenti di una presunta colf in nero, o no?
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